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Impugnazione dei licenziamenti individuali

L’articolo 32 della L. 183/2010 (c.d. Collegato lavoro ) disciplina le modalità e i termini per l’impugnazione dei licenziamenti individuali nonché i criteri di determinazione della misura del risarcimento nei casiin cui è prevista la conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato.

Al comma 1 (che sostituisce i commi 1 e 2 dell’articolo 6, della L. 604/1966) si prevede che l’impugnazione del licenziamento avvenga, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla ricezione, in forma scritta, della sua comunicazione ovvero dalla comunicazione dei motivi, con qualsiasi atto scritto anche extragiudiziale, purché idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore, anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale.

Tale impugnazione è inefficace se entro i successivi 270 giorni  il ricorso non è depositato nella cancelleria del tribunale competente o non viene data comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. Inoltre, viene fatta espressamente la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso.

Infine, qualora la conciliazione o l’arbitrato non vadano a buon fine, il ricorso deve essere presentato entro 60 giorni dal rifiuto o mancato accordo.

Si fa presente che l’articolo 2 comma 54, del D.L. 225/2010, recante la proroga di termini previsti da disposizioni legislative, ha stabilito che, in sede di prima applicazione, acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2011 le disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento sopra esposte.

 

Il comma 2 disponeche la nuova disciplina sull’impugnazione dei licenziamenti trovi applicazione in tutti i casi di invalidità del licenziamento.

I commi 3 e 4 precisano che i termini previsti al comma 1 per l’impugnazione del licenziamento si applicano anche:

a)   ai licenziamenti che presuppongano la risoluzione di questioni attinenti alla qualificazione del rapporto lavorativo ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto ;

b)   al recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, di cui all’art. 409, n. 3 del c.p.c. ;

c)    al trasferimento del lavoratore subordinato da un’unità produttiva ad un’altra, ai sensi dell’articolo 2103 c.c ;

d)   a tutte le tipologie di contratti di lavoro a tempo determinato. In particolare, vengono richiamate le disposizioni che fanno riferimento ai contratti di lavoro a tempo determinato disciplinati sia dal D.Lgs. 368/2001 sia dalla disciplina previgente, nonché all’azione di nullità del termine apposto a tale tipo di contratto ;

e)   alla cessione del contratto di lavoro ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile ;

f)     in ogni altro caso in cui, compresa la somministrazione irregolare (art. 27 del D.Lgs. 276/2003), si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto.

 

I commi 5, 6 e 7 dettano norme, valevoli anche per i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge, volte a disciplinare il risarcimento del lavoratore nel caso in cui, a seguito della violazione delle norme relative al contratto di lavoro a tempo determinato, sia prevista la sua trasformazione in contratto a tempo indeterminato.

In particolare, si prevede l’obbligo per il datore di lavoro di risarcire il lavoratore con una indennità onnicomprensiva da 2,5 a 12 mensilità, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della L. 604/1966.

L’indennità sopra indicata viene ridotta alla metà nel caso di contratti o accordi collettivi che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati a termine nell’ambito di specifiche graduatorie. Tali disposizioni trovano applicazione anche ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge.