Il 1° luglio 2011 si è svolto in Marocco il referendum sulle modifiche costituzionali annunciate dal re Mohammed VI lo scorso 17 giugno. Le modifiche sono state approvate con il 98 per cento dei sì, mentre a recarsi alle urne è stato il 78 per cento della popolazione.
Il processo di riforme costituzionali era stato avviato con un intervento televisivo del re dello scorso 9 marzo, nel quale il sovrano ne indicò anche le linee direttrici. L’intervento faceva seguito alle proteste popolari che, al pari di quanto avvenuto in tutta l’area del Nord Africa e del Medio Oriente, avevano colpito anche il Marocco ed erano culminate nelle manifestazioni del 20 febbraio.
Per le caratteristiche del sistema politico-costituzionale marocchino ed una cronologia degli ultimi eventi si rinvia alla scheda contenuta nel dossier La situazione in Medio Oriente e in Nord Africa. Schede paese politico-parlamentari e Indicatori internazionali (14 giugno 2011). Per alcuni indicatori internazionali sul medesimo Paese cfr. infra al termine della presente nota.
In particolare, le riforme costituzionali sottoposte a referendum prevedono:
- la conferma del Marocco come Stato islamico, nel preambolo della Costituzione, e quella dell’Islam come religione di Stato, all’articolo 3, che garantisce anche la libertà della pratica religiosa per tutte le fedi;
- il riconoscimento della lingua berbera come altra lingua ufficiale del Marocco insieme all’arabo
- la trasformazione del primo ministro in “presidente del Governo” e il vincolo per il re di nominare a tale carica un esponente del partito con più seggi nella camera bassa del Parlamento, la Camera dei rappresentanti; il presidente del Governo assume anche il potere di far dimettere i ministri;
- la limitazione delle aree di “dominio esclusivo” della prerogativa regia alle materie concernenti la religione, la sicurezza nazionale e le “scelte strategiche” (non meglio definite); conseguentemente il re presiederà le riunioni del Consiglio dei ministri quando verranno affrontati temi attinenti a queste aree, mentre negli altri casi le riunioni del Consiglio, ridenominato “Consiglio di governo”, saranno presiedute dal presidente del Governo
- ampliamento della possibilità di legiferare da parte del Parlamento (nel testo attuale ogni materia non espressamente citata dalla Costituzione è invece riservata alla potestà regolamentare del Governo);
- abbassamento ad un quinto dei componenti della Camera dei rappresentanti della soglia necessaria alla costituzione di commissioni di inchiesta;
- abbassamento ad un terzo dei componenti della camera alta, la Camera dei consiglieri, in luogo della maggioranza assoluta attualmente richiesta, del quorum per presentare una mozione di sfiducia (che deve essere approvata, aspetto che non appare aver subito modifiche, dai due terzi della Camera)
Le riforme sono state elaborate da una Commissione di nomina regia guidata dal giurista Abdelatif Menouni. Ai lavori della Commissione si sono associati quelli di un altro organismo, il “meccanismo di accompagnamento”, anch’esso guidato da un esponente di nomina regia, Mohammed Moatassim e che radunava rappresentanti di partiti politici, sindacati, associazioni imprenditoriali, organizzazioni dei diritti umani. Compito di tale organismo era quello di assicurare un collegamento tra la commissione regia e la società civile; molti dei suoi componenti hanno formulato e sottoposto alla Commissione regia progetti costituzionali che tuttavia non davano luogo a pubblico dibattito. I componenti del “meccanismo di accompagnamento” hanno ricevuto il progetto di riforma costituzionale solo alla vigilia della sua approvazione, cioè il 16 giugno. Anche il governo si è espresso sul progetto di riforma solo il giorno medesimo del suo annuncio.
I movimenti protagonisti delle proteste di febbraio, riuniti nella Coalizione 20 febbraio, hanno espresso insoddisfazione sia per le modalità con le quali è stato portato avanti il processo di riforme costituzionali sia per i suoi risultati, che non ridurrebbero in modo significativo la prerogativa regia. Conseguentemente la Coalizione ha invitato non recarsi a votare. Sulle posizioni della Coalizione sono confluiti altri movimenti politici che hanno costituito il Consiglio di sostegno della Coalizione del 20 febbraio: si tratta del movimento islamista “Giustizia e Carità” (recentemente conosciuto anche come “Giustizia e Spiritualità”); del partito di unità socialista e dell’associazione marocchina per i diritti umani. Altri movimenti hanno invece invitato a votare sì al referendum: si tratta del più grande movimento islamista (giunto secondo alle elezioni del 2007, principale partito di opposizione), il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, delll’Unione socialista delle forze popolari e del partito conservatore Istiqlal.
Indicatori internazionali sul paese[1]:
Libertà politiche e civili: Stato “parzialmente libero” (Freedom House); regime autoritario, 116 su 178 (Economist)
Indice della libertà di stampa: 135 su 178
Libertà di internet 2009: assenza di “filtraggio” su temi politici, ma selettivo per quanto riguarda le questioni sociali, i conflitti e la sicurezza e gli strumenti di internet (OpenNet Initiative)
Libertà religiosa: limitazioni alla libertà religiosa (ACS); Islam religione di Stato, riconoscimento della libertà religiosa ma divieto di proselitismo (USA)
Libertà economica: 93 su 179 (Heritage Foundation)
Corruzione percepita: 85 su 178
Variazione PIL 2009: + 4,9 per cento; 2010: + 3,1 per cento (stima)
Situazione di cessate il fuoco in conflitto armato interno
[1] Gli indicatori internazionali sul paese, ripresi da autorevoli centri di ricerca, descrivono in particolare: la condizione delle libertà politiche e civili secondo le classificazioni di Freedom House e dell’Economist Intelligence Unit; la posizione del paese secondo l’indice della corruzione percepita predisposto da Transparency International (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di minore corruzione percepita) e secondo l’indice della libertà di stampa predisposto da Reporters sans Frontières (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di maggiore libertà di stampa); la condizione della libertà religiosa secondo i due rapporti annuali di “Aiuto alla Chiesa che soffre” (indicato con ACS) e del Dipartimento di Stato USA (indicato con USA); la condizione della libertà di Internet secondo Open Net Iniziative; la condizione della libertà economica secondo l’Heritage Foundation il tasso di crescita del PIL come riportato dal Fondo Monetario internazionale; la presenza di situazioni di conflitto armato secondo l’International Institute for Strategic Studies (IISS). Per ulteriori informazioni sulle fonti e i criteri adottati si rinvia alla nota esplicativa presente in Le elezioni programmate nel periodo febbraio-aprile 2011 (documentazione e ricerche n. 85, 9 febbraio 2011).