Il quadro istituzionale
Il Regno Hashemita di Giordania è una monarchia costituzionale. La Costituzione del 1952 prevede che il re nomini e revochi il Governo, che, a sua volta, è responsabile anche nei confronti del parlamento. La Camera dei deputati può sfiduciare il governo nel suo insieme e i suoi singoli ministri con il voto della maggioranza assoluta dei suoi componenti. Il re ha potere di scioglimento del Parlamento.
Il parlamento è bicamerale. Il Senato è composto di 55 componenti di nomina regia con mandato di quattro anni, mentre la Camera dei deputati è composta da 120 deputati eletti con un mandato di quattro anni con un sistema maggioritario uninominale a turno unico in 108 collegi con 12 seggi aggiuntivi riservati alle donne. La riforma elettorale del 2010 ha aumentato i seggi parlamentari da 110 a 120, senza tuttavia modificare il sistema maggioritario uninominale.
Il sistema elettorale prevede che in ciascun collegio venga proclamato eletto il candidato che ottiene il maggior numero dei voti; vengono quindi proclamate elette le dodici candidate donne con il maggior numero di voti non già risultate elette in ragione di una per ciascuno dei governatorati nei quali è suddiviso il paese.
Per Freedom House la Giordania è uno Stato non libero, non in possesso dello status di “democrazia elettorale”, mentre il Democracy Index dell’Economist Intelligence Unit la definisce “regime autoritario” (cfr. infra tabella Indicatori internazionali sul paese).Fonti indipendenti evidenziano come il processo legislativo sia fortemente influenzato dalla prerogativa regia. Insieme il re esercita una forte influenza sul governo. In particolare, nessuna legge può essere approvata senza l’approvazione del Senato, integralmente nominato dal re.
Secondo alcuni osservatori, anche l’attuale sistema elettorale di tipo maggioritario uninominale favorisce la prevalenza, nella scelta elettorale, di logiche tribali o personalistiche. In tal senso, anche nel corso del dibattito sulla riforma elettorale del 2010, è stata avanzata la richiesta di una riforma in senso proporzionale.
La Costituzione riconosce la libertà di opinione, di riunione, di manifestazione del pensiero, di stampa, di religione e di culto. Tuttavia, secondo alcune fonti, il concreto esercizio di tali libertà risulterebbe in numerose circostanze pregiudicato: in particolare, i mezzi di comunicazione di massa sono sotto controllo statale; esiste una stampa indipendente, anche se le autorità governative utilizzerebbero ampie possibilità di intervento per condizionare i contenuti pubblicati ed evitare la pubblicazione di materiale sgradito. Infatti il codice penale punisce severamente le critiche al re, la diffamazione di istituzioni e di esponenti governativi, nonché gli interventi pubblici che possano recare danno al prestigio o alle relazioni internazionali del paese. La legge sulle pubblicazioni del 2001 richiede per le pubblicazioni l’adesione ai “valori islamici”. Nonostante le modifiche del 2009, la legislazione in materia di organizzazioni non governative continua ad attribuire al governo vasti potere di scioglimento delle associazioni.
L’Islam è religione di stato, cristiani ed ebrei sono riconosciuti come minoranze religiose ed hanno libertà di culto, mentre per Ba’hai e Drusi, pur non avendo lo status di minoranza religiosa, è comunque consentito l’esercizio del culto. Lo Stato esercita un forte controllo sull’attività religiosa islamica, nominando il personale religioso e proibendo qualsiasi attività politica nelle moschee. Solo i consigli religiosi di nomina statale possono emettere sentenze (fatwa) che non possono essere discusse.
La libertà universitaria e della ricerca scientifica è invece generalmente rispettata.
La situazione politica interna
Capo dello Stato, dalla morte di re Hussein nel febbraio 1999, è il re Abdallah II (n. 1962).
Nel dicembre 2009 re Abdallah ha sciolto il parlamento, annunciando le nuove elezioni per la fine del 2010 e non entro il termine ordinario di quattro mesi. Tale dilazione ha consentito l’approvazione in assenza del parlamento di misure di liberalizzazione economica e della nuova legge elettorale (cfr. supra).
Le elezioni del novembre 2010 sono state boicottate dalla principale forza di opposizione, il fronte islamico di azione (FIA), emanazione dei fratelli musulmani. Alle precedenti elezioni del 2007 il Fronte aveva conquistato sette seggi.
Le elezioni hanno consegnato la maggioranza parlamentare a esponenti filogovernativi. Nonostante il boicottaggio proclamato dal Fronte islamico di azione, il dato sull’affluenza (contestato però dal Fronte medesimo) è risultato significativo e pari al 53 per cento degli aventi diritto.
A seguito delle elezioni, è stato confermato primo ministro Samir Rifai (in carica dal dicembre 2009), sostituito il primo febbraio 2011, sull’onda delle proteste popolari, con Marouf Bakhit.
Nel contesto giordano, il governo guidato da Samir Rifai ha adottato fin dall’inizio del suo mandato misure di riduzione del deficit di bilancio, attraverso aumenti delle tasse e dei prezzi di benzina, elettricità ed acqua.
Nonostante l’annuncio di misure di contenimento del caro-vita l’11 gennaio (il congelamento dell’aumento dei biglietti sui mezzi pubblici e il congelamento dei prezzi di riso e zucchero negli 85 negozi dell’esercito, aperti anche ai civili), da venerdì 14 gennaio hanno preso avvio le proteste, sollecitate in particolare da Mohamed Sneid, popolare sindacalista che rappresenta i braccianti agricoli. Il Fronte di azione islamica ha in un primo momento annunciato di voler assumere la guida delle manifestazioni del 13 gennaio, per poi annunciare di non partecipare ufficialmente al corteo. La manifestazione ha invece visto la partecipazione di movimenti di opposizione laica, come il Movimento socialista di sinistra. Il Fronte di azione islamica ha successivamente aderito alle più consistenti manifestazioni iniziate a partire dal 21 gennaio.
A fronte delle proteste, il primo febbraio 2011 re Abdallah II ha nominato, come già si è accennato, nuovo primo ministro Marouf Bakhit, ex militare e già ambasciatore in Israele, giudicato un riformista.
Il 3 febbraio re Abdallah II ha tenuto colloqui con rappresentanti del Fronte d’azione islamica; il 4 febbraio il Fronte ha comunque promosso nuove manifestazioni di protesta e il 6 febbraio ha annunciato la sua indisponibilità a far parte del governo.
23 febbraio: il Fronte per l'Azione Islamica (Fai), principale partito di opposizione. Ha organizzato una "giornata della collera" per venerdì 25 febbraio ad Amman, per "denunciare le violenze e chiedere le riforme".
25 febbraio: oltre cinquemila cittadini giordani partecipano alla manifestazione promossa dal Fronte per l’azione islamica per chiedere riforme politiche, tra cui la dissoluzione della camera bassa del Parlamento.
4 marzo: nuova manifestazione ad Amman per chiedere riforme, all'indomani del rifiuto del nuovo premier, Maaruf Bakhit, di concedere una vera monarchia costituzionale.
7 marzo: almeno 600 giornalisti giordani manifestano ad Amman per chiedere una 'informazione libera e indipendente' e respingere la censura del governo. Alla manifestazione hanno preso parte anche artisti, deputati e il ministro dell'Informazione Taher Adwan.
14 marzo: il governo di Amman nomina una Commissione per il dialogo nazionale, composta da 53 membri (tra cui accademici e componenti dell’opposizione), con il compito di mettere a punto una serie di riforme democratiche. La commissione, i cui lavori dovrebbero concludersi in tre mesi, si focalizzerà innanzitutto sulla stesura di una nuova legge elettorale.
24 marzo: centinaia di giovani giordani manifestano ad Amman chiedendo riforme politiche e misure contro la corruzione, invitando il re Abdullah II a sciogliere la camera bassa del parlamento e ad avviare riforme costituzionali. Durante la manifestazione un centinaio di sostenitori del governo ingaggia uno scontro con i dimostranti, che provoca un bilancio di due vittime e almeno 100 feriti.
25 marzo: si dimettono in segno di protesta 16 dei 53 membri del Comitato di dialogo nazionale istituito dal governo giordano per mettere a punto un piano di riforme. I 16 denunciano la violenta repressione delle forze di sicurezza contro i manifestanti nella capitale.
1° aprile: cinquecento giovani si sono radunati ad Amman, davanti alla sede del Municipio, invocando riforme costituzionali e lotta alla corruzione. Poco distante, un gruppo di circa 50 supporter di re Abdallah esprimeva solidarietà al sovrano.
Dopo gli scontri avvenuti il 24 marzo, il governo ha vietato ai lealisti di scendere in strada.
15 aprile: almeno quaranta poliziotti feriti, tra cui 7 accoltellati in modo grave. E’ questo il bilancio della manifestazione di piazza organizzata dagli islamisti salafiti nella città di Zarqa, città a nord della Giordania.
25 aprile: il governo giordano conferma la chiusura da parte delle autorità siriane del confine tra Siria e Giordania.
20 maggio: migliaia di manifestanti scendono in piazza ad Amman e in altre grandi città della Giordania dopo la preghiera del venerdì per protestare contro il fallimento del governo nel combattere la corruzione e nell'attuare riforme economiche e politiche. I manifestanti chiedono poi le dimissioni del governo del primo ministro Marouf Bakhit e lo scioglimento della camera bassa del parlamento. Almeno 25 persone, tra cui 11 agenti della polizie e alcuni giornalisti, sono rimasti feriti negli scontri. Manifestazione anche vicino all'ambasciata israeliana nel quartiere di Rabia, con i partecipanti che hanno chiesto la fine della missione diplomatica ebraica e l'abrogazione del trattato di pace che la Giordania ha raggiunto con Israele nel 1994.
2 giugno: forze di opposizione di sinistra ed islamiste, comprese la Fratellanza musulmana costituiscono il Fronte per la riforma nazionale, guidato dall’ex-primo ministro Ahmad Obeidat
8 giugno: le forze di opposizione giordane contestano il progetto di riforma elettorale elaborato dalla Commissione per il dialogo nazionale, in quanto non adotta una piena rappresentanza proporzionale.
9 giugno: un decreto reale approva un’amnistia per il 2011.
13 giugno: in un intervento televisivo re Abdallah II promette riforme in senso parlamentare dell’assetto istituzionale giordano, senza però specificare i tempi entro i quali si procederà alle stesse.
28 giugno: la Camera bassa del Parlamento giordano respinge la richiesta di porre in stato di accusa il primo ministro Bakhit per un caso di corruzione.
30 giugno: il Fronte per la riforma nazionale ribadiscono il sostegno ad una riforma elettorale pienamente proporzionale.
11 luglio: la Camera bassa del Parlamento giordano approva un’amnistia (dalla quale sono esclusi gli esponenti di movimenti salafiti).
15 luglio: durante scontri tra manifestanti antigovernativi e forze dell’ordine, appartenenti alle forze dell’ordine aggrediscono dei giornalisti.
Si ricorda, infine, il ruolo strategico della Giordania negli equilibri regionali: in particolare, a seguito del trattato del 1994, la Giordania è, insieme all’Egitto, tra gli unici due Stati della regione ad aver siglato un trattato di pace con Israele. Anche nei confronti dell’Iraq, successivamente all’invasione di USA e Gran Bretagna del 2003, la Giordania ha svolto un ruolo equilibrato e di stimolo alla riconciliazione tra sunniti (la monarchia giordana come la stragrande maggioranza della popolazione è sunnita) e sciiti: lo ha testimoniato la visita che re Abdallah, primo leader arabo, ha svolto a Baghdad nell’agosto 2008. La Giordania si è caratterizzata per una severa politica antiterroristica, in particolare a seguito degli attacchi del novembre 2005 ad Amman, attribuibili al ramo iracheno di Al Qaida, nei quali rimasero uccisi circa settanta civili. In questo contesto, le recenti tensioni regionali hanno avuto delle ripercussioni anche sulla Giordania. In particolare, in più occasioni negli ultimi mesi (da ultimo nel mese di luglio) degli attentati in Egitto hanno interrotto le forniture di gas dall’Egitto alla Giordania. Inoltre, la Giordania ha richiesto l’ingresso nel Consiglio di cooperazione del Golfo; i colloqui per l’ingresso avranno inizio nel mese di agosto.
Indicatori internazionali sul paese:
Libertà politiche e civili: Stato “non libero”, diritti politici:6 libertà civili:5 (Freedom House); regime autoritario 117 su 167 (Economist)
Indice della libertà di stampa: 120 su 178
Libertà di Internet 2009: sostanziale assenza di evidenza di filtraggi, con l’eccezione dei temi politici ai quali viene applicato un selettivo “filtraggio” (OpenNet Initiative)
Libertà religiosa: limitazioni alla libertà religiosa (ACS); Islam come religione di Stato e limitazioni alla libertà delle altre religioni (USA)
Libertà economica: 38 su 179 (Heritage Foundation)
Corruzione percepita: 50 su 178
Variazione PIL 2009: + 2,4 per cento (stima)