Il 25 novembre si sono svolte in Marocco le elezioni parlamentari per la camera bassa del Parlamento marocchino, la Camera dei rappresentanti, le prime, dopo l’approvazione, nello scorso mese di luglio, della riforma costituzionale elaborata da re Mohammed VI.
Le elezioni hanno visto una significativa affermazione del partito islamista moderato Giustizia e Sviluppo, guidato da Abdelillah Benkirame che, in base ai risultati resi noti dal Ministro dell’interno, si sarebbe aggiudicato 107 dei 395 seggi della Camera dei rappresentanti; altro partito ad aver ricevuto una significativa affermazione sarebbe il partito di governo conservatore di governo Istiqlal con 60 seggi. Sulla base della riforma costituzionale approvata nel luglio scorso, il re è stato vincolato a nominare primo ministro un esponente del partito Giustizia e Sviluppo e, conseguentemente, ha conferito il 29 novembre l’incarico di formare il governo a Abdelillah Benkirane.
L’affluenza alle urne è risultata bassa, pari al 45,4 per cento degli elettori registrati (in aumento rispetto al 37 per cento registrato nel 2007, ma più basso del 51,6 per cento registrato nel 2002). I promotori delle proteste scoppiate nello scorso mese di febbraio, riuniti nella Coalizione 20 febbraio, insoddisfatti delle riforme poste in essere dal Re, avevano invitato gli elettori a boicottare le urne.
Si ricorda che, a seguito delle proteste scoppiate nello scorso mese di febbraio, il re Mohammed VI ha avviato un processo di elaborazione di riforme costituzionali, approvate con referendum lo scorso 1° luglio. Le modifiche sono state approvate con il 98 per cento dei sì, mentre a recarsi alle urne è stato il 78 per cento della popolazione. In particolare, le riforme costituzionali sottoposte a referendum e approvate prevedono: la conferma del Marocco come Stato islamico e quella dell’Islam come religione di Stato a fianco alla garanzia della libertà della pratica religiosa per tutte le fedi; il riconoscimento della lingua berbera come altra lingua ufficiale del Marocco insieme all’arabo; la trasformazione del primo ministro in “presidente del Governo” e il vincolo per il re di nominare a tale carica un esponente del partito che abbia ottenuto più seggi nella Camera dei rappresentanti; la limitazione delle aree di “dominio esclusivo” della prerogativa regia alle materie concernenti la religione, la sicurezza nazionale e le “scelte strategiche”; l’ampliamento della possibilità di legiferare da parte del Parlamento; l’abbassamento ad un quinto dei componenti della Camera dei rappresentanti della soglia necessaria alla costituzione di commissioni di inchiesta; l’abbassamento ad un terzo dei componenti della Camera dei consiglieri del quorum per presentare una mozione di sfiducia (che deve essere approvata dai due terzi della Camera).
A seguito delle riforme approvate, il Marocco si configura come una monarchia costituzionale. In base alla riforma costituzionale del 2011, il re nomina “presidente del governo” un esponente del partito con più seggi nella Camera bassa del parlamento e questi nomina e revoca i ministri. Il re può anche sciogliere il Parlamento e partecipa al potere legislativo sanzionando le leggi. Il Parlamento è bicamerale. La Camera dei rappresentanti è composta da 395 deputati eletti per cinque anni a suffragio universale diretto; 305 in 92 circoscrizioni plurinominali con sistema proporzionale e liste bloccate; 60 con sistema proporzionale tra liste nazionali riservate a candidate donne, 30 con sistema proporzionale tra liste nazionali riservate a candidati con meno di 35 anni di età. La Camera dei consiglieri, creata sulla base di un referendum del 1996, è composta da 270 membri, eletti con un mandato di nove anni (un terzo dell’assemblea si rinnova ogni tre): 162 membri sono eletti dalle assemblee elettive locali; 81 dalle camere di commercio e 27 dai sindacati. Il bicameralismo non è perfetto, in quanto la Camera dei consiglieri ha l’esclusivo potere di iniziativa legislativa, così come quello di rivolgere mozioni di censura al governo o di sfiduciare il governo con una maggioranza di due terzi.
I movimenti protagonisti delle proteste di febbraio, riuniti nella Coalizione 20 febbraio, hanno espresso insoddisfazione sia per le modalità con le quali è stato portato avanti il processo di riforme costituzionali sia per i suoi risultati, che a loro avviso non hanno ridotto in modo significativo la prerogativa regia. Sulle posizioni della Coalizione sono confluiti altri movimenti politici che hanno costituito il Consiglio di sostegno della Coalizione del 20 febbraio: si tratta del movimento islamista “Giustizia e Carità” (recentemente conosciuto anche come “Giustizia e Spiritualità”) e del partito di unità socialista e dell’associazione marocchina per i diritti umani. Altri movimenti hanno invece invitato a votare sì al referendum: si tratta del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo e dell’Unione socialista delle forze popolari e del partito conservatore Istiqlal.
In vista delle elezioni, rinnovando le critiche al processo di transizione in corso, la Coalizione 20 febbraio ha annunciato il boicottaggio delle elezioni.
Circa trenta partiti sono in lizza per i 395 seggi in parlamento; dei tredici milioni degli aventi diritto, circa il 57% non ha più di trentacinque anni, motivo per il quale il voto di tale fascia di età sarà decisivo. Tre aree politiche appaiono comunque meritevoli di attenzione:
- partito Giustizia e sviluppo, partito islamista moderato ritenuto il probabile vincitore delle elezioni (attualmente il partito è presente in Parlamento con 47 deputati); il partito, guidato da Abdelillah Benkirame, indica come modelli l’AKP turco e il partito Ennahda tunisino;
- l’alleanza Koutla che riunisce esponenti degli attuali partiti di governo: il partito di centro-destra Istiqlal (indipendenza), del primo ministro uscente Abbas El Fassi, l’Unione socialista delle forze popolari, guidata da Abdelouhaed Radi e il partito per il progresso e il socialismo, guidato da Nabil Ben Abdellah; l’alleanza, criticando la decisione di altre forze di governo di formare la coalizione per la democrazia (cfr. infra) con altri movimenti di opposizione, sta, secondo notizie di stampa, valutando la possibilità di offrire un’alleanza dopo le elezioni al partito “Giustizia e sviluppo”;
- la coalizione per la democrazia, coalizione di otto partiti che unisce due altri partiti di governo, il movimento popolare di centro-destra e il raggruppamento nazionale degli indipendenti vicino al re, ad altri movimenti di opposizione e al nuovo partito dell’autenticità e della modernità, fondato nel 2008 da una personalità ritenuta assai vicina al re, Fouad Ali al-Himma; la coalizione ha presentato un programma fondato sull’equità tra uomo e donna, sulla lotta alla povertà e sul sostegno ad un Islam moderato, che è ritenuto essere in perfetta armonia con i valori universali umani.
Indicatori internazionali sul paese[1]:
Libertà politiche e civili: Stato “parzialmente libero” (Freedom House); “regime autoritario” (116 su 167 Economist)
Libertà di stampa: 135 su 178
Libertà di Internet 2009: assenza di “filttraggio” su temi politici, ma selettivo per quanto riguarda le questioni sociali, i conflitti e la sicurezza e gli strumenti di internet
Libertà religiosa: limitazioni alla libertà religiosa (ACS); Islam religione di Stato, riconoscimento della libertà religiosa ma divieto di proselitismo (USA)
Libertà economica: Stato “prevalentemente non libero” (93 su 179)
Corruzione percepita: 85 su 178
Variazione PIL 2009: + 4,9 per cento; 2010: + 3,1 per cento (stima)
Situazione di cessate il fuoco in conflitto armato interno
[1] Gli indicatori internazionali sul paese, ripresi da autorevoli centri di ricerca, descrivono in particolare: la condizione delle libertà politiche e civili secondo le classificazioni di Freedom House e dell’Economist Intelligence Unit; la posizione del paese secondo l’indice della corruzione percepita predisposto da Transparency International (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di minore corruzione percepita) e secondo l’indice della libertà di stampa predisposto da Reporters sans Frontières (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di maggiore libertà di stampa); la condizione della libertà religiosa secondo i due rapporti annuali di “Aiuto alla Chiesa che soffre” (indicato con ACS) e del Dipartimento di Stato USA (indicato con USA); il tasso di crescita del PIL come riportato dall’Economist Intelligence Unit; la presenza di situazioni di conflitto armato secondo l’International Institute for Strategic Studies (IISS). Per ulteriori informazioni sulle fonti e i criteri adottati si rinvia alla nota esplicativa presente in Le elezioni programmate nel periodo febbraio-aprile 2011 (documentazione e ricerche n. 85, 9 febbraio 2011).