La normativa in materia di contenimento dei costi delle commissioni bancarie ha lo scopo di disciplinare sistematicamente la remunerazione dovuta a banche e intermediari per i cd. “affidamenti” (ovvero per l’utilizzo di fidi bancari concordati con la banca) e gli “sconfinamenti” (nel caso di utilizzo di somme oltre la disponibilità effettiva, per conti correnti non affidati), per esigenze sia di certezza del diritto, sia di tutela del cliente bancario, in particolar modo se quest’ultimo è un consumatore.
Sino alla fine del 2008 vigeva, per gli affidamenti in conto corrente e per i conti non affidati (in caso di saldo negativo) un sistema di commissioni che si aggiungevano al tasso debitore, dette di “massimo scoperto”. Tale strumento consentiva di remunerare l’intermediario per il fatto di dover fronteggiare l’utilizzo di somme oltre il fido accordato (ovvero in assenza di fido) al cliente sul conto corrente. Le commissioni erano solitamente determinate applicando una percentuale, pattuita contrattualmente, al livello massimo di utilizzo del fido o di scoperto in conto raggiunto nel periodo di rendicontazione (normalmente trimestrale), indipendentemente dalla durata di tale utilizzo/scoperto.
Con una prima serie di interventi, il legislatore (secondo l’originario articolo 2-bis del D.L. n. 185 del 2008) aveva inizialmente disposto la nullità - a determinate condizioni - di alcune clausole bancarie particolarmente onerose per il cliente, tra cui:
Tale nullità non avrebbe operato ove il corrispettivo fosse stato predeterminato, unitamente al tasso debitore per le somme effettivamente utilizzate, in forma scritta e con specifiche cautele per il consumatore, volte a garantirne l’effettiva consapevolezza.
L’Autorità Garante per la concorrenza ed il mercato, nell’audizione del 21 aprile 2010 presso la Commissione Finanze del Senato (in materia di problematiche relative alle commissioni di massimo scoperto), rilevava come - a seguito dell’entrata in vigore di tale disposizione - la generalità delle banche avesse eliminato la commissione di massimo scoperto e tuttavia introdotto nuove commissioni, distinte per gli affidamenti e gli scoperti in conto.
Per gli affidamenti, tali commissioni erano volte a remunerare l’impegno della banca a mettere a disposizione del cliente una certa somma per un determinato periodo di tempo. Esse, pertanto, non erano più commisurate al livello massimo di utilizzo della linea di credito messa a disposizione, ma all’importo complessivo della medesima; le nuove spese erano applicate in modo fisso, poiché non proporzionali al maggior utilizzo del fido, costituendo esse delle “flat fee” per la disponibilità di quest’ultimo.
Nel caso degli scoperti, le commissioni erano mirate a compensare l’attività istruttoria della banca necessaria per valutare correttamente l’affidabilità del cliente in caso di richieste di credito improvvise.
La 6ª Commissione del Senato, nella risoluzione Doc. XXIV, n. 10 approvata il 29 giugno 2010 proprio in relazione alla segnalazione dell’Autorità Garante per la concorrenza ed il mercato, per quanto concerne i costi degli affidamenti e degli extrafidi ha individuato come un presupposto errato quello di prevedere, in aggiunta al tasso di interesse, una commissione espressa in percentuale fissa o commisurata alle spese di istruttoria veloce. La Commissione si è pertanto espressa per un meccanismo di determinazione del costo dell’utilizzo di somme non a disposizione sul conto corrente ovvero eccedenti il fido in base al quale l’estratto del conto corrente, comunicato dalla banca al cliente, esponga univocamente il tasso effettivo di costo del rapporto.
Con un secondo intervento (articolo 2, comma 2 del D.L. n. 78 del 2009), per accelerare i benefici derivanti dal divieto della commissione di massimo scoperto, veniva successivamente posto un tetto al corrispettivo omnicomprensivo previsto per il servizio di messa a disposizione delle somme (per i rapporti affidati), nella misura massima dello 0,5 per cento, per trimestre, dell’importo dell’affidamento a pena di nullità della relativa clausola contrattuale.
Considerazioni di tenore analogo a quelle dell’AGCM erano formulate anche dalla Banca d’Italia in occasione dell’audizione presso la Commissione Finanze del Senato del 17 novembre 2010. In particolare, l’Istituto segnalava che la disciplina del 2008-2009, oltre a contemplare alcune ipotesi di legittimità della commissione di massimo scoperto, non chiariva il regime commissionale per gli utilizzi extra-fido e per gli sconfinamenti.
Con il D.L. 201 del 2011 (articolo 6-bis) è stata introdotta nel Testo Unico Bancario una complessiva disciplina delle remunerazioni per affidamenti e sconfinamenti, in relazione a determinate tipologie contrattuali (articolo 117-bis).
Ai sensi del comma 1 del richiamato articolo 117-bis, gli unici oneri a carico del cliente per i contratti di apertura di credito sono costituiti da:
Per quanto concerne l’onere a carico del cliente a fronte di sconfinamenti in assenza di affidamento, ovvero oltre il fido, nei contratti di apertura di credito e di conto corrente, è prevista l’applicazione
Sono nulle ex lege le clausole che prevedano oneri diversi o non conformi a quelli previsti dai precedenti commi: tale nullità non si estende al contratto. Si demanda (comma 4) al Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio – CICR l’emanazione di norme di applicazione della disciplina in esame, con la possibilità che i suddetti provvedimenti estendano la disciplina su affidamenti e sconfinamenti anche ad altri contratti per i quali si pongano analoghe esigenze di tutela del cliente. Lo stesso CICR prevede i casi in cui, in relazione all’entità e alla durata dello sconfinamento, non è dovuta la commissione di istruttoria veloce.
Per effetto del D.L. “liberalizzazioni” e delle disposizioni integrative e modificative del medesimo(articolo 27-bis del D. L. n. 1 del 2012, come modificato dal D.L. n. 29 del 2012) è stato precisato che la nullità di tutte le clausole che prevedano commissioni a favore delle banche a fronte della concessione di linee di credito, della loro messa a disposizione, del loro mantenimento in essere, del loro utilizzo anche nel caso di sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido, è limitata alle sole clausole stipulate in violazione delle disposizioni di attuazione adottate dal CICR ai sensi del richiamato articolo 117-bis del Testo Unico Bancario.
Il medesimo D.L. “liberalizzazioni” (articolo 27, comma 4) ha conseguentemente disposto l’abrogazione delle suesposte disposizioni del D.L. n. 185 del 2008.
L'articolo 1, comma 1, lettera b) del D.L. n. 29 del 2012 ha poi introdotto e disciplinato il nuovo "Osservatorio sull'erogazione del credito da parte delle banche alla clientela" con l'obiettivo di attivare interventi contro l'ingiustificata restrizione creditizia ai danni del sistema imprenditoriale. Il Prefetto può attivare l’Arbitro bancario finanziario – ABF attraverso una segnalazione per specifiche problematiche relative ad operazioni e servizi bancari e finanziari, su istanza del cliente in forma riservata. Il Prefetto, dopo un’informativa sul merito dell’istanza, invita la banca a fornire una risposta argomentata sulla meritevolezza del credito. In seguito, il Prefetto può effettuare la relativa segnalazione all’ABF il quale si pronuncia non oltre trenta giorni dalla segnalazione.
Per quanto concerne la facoltà di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali nei contratti bancari (cd. jus variandi) da parte degli enti creditizi, il D.Lgs. n. 141 del 2010 ha modificato l’articolo 118 del Testo Unico Bancario, su cui è successivamente intervenuto anche il D. L. n. 70 del 2011.
In particolare, le norme vigenti distinguono espressamente tra contratti di durata a tempo indeterminato, nei quali può essere convenuta, con clausola approvata specificamente dal cliente, la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto qualora sussista un giustificato motivo, e contratti di durata a tempo determinato: per questi ultimi la facoltà di modifica unilaterale può essere convenuta esclusivamente per le clausole non aventi ad oggetto i tassi di interesse, sempre che sussista un giustificato motivo e comunque, anche in questi casi, la facoltà di modifica unilaterale deve essere approvata specificamente dal cliente.
Per effetto delle modifiche operate dal citato D. L. n. 70 del 2011, se il cliente è particolarmente qualificato (ovvero non è un consumatore né una micro-impresa) nei contratti di durata a tempo determinato possono essere inserite clausole, purché espressamente approvate dal cliente, che prevedano la possibilità di modificare unilateralmente i tassi di interesse, purché al verificarsi di specifici eventi e condizioni predeterminati nel contratto.
Le modifiche unilaterali devono essere comunicate espressamente al cliente con preavviso minimo di due mesi (anziché di trenta giorni, come disposto in precedenza), con uno specifico schema denominato “Proposta di modifica unilaterale del contratto”. Le modifiche si intendono approvate ove il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro la data prevista per la sua applicazione. In sostanza è garantito il termine minimo di due mesi di preavviso, in luogo del precedente termine fisso di sessanta giorni
Sono inefficaci le variazioni contrattuali per cui non siano state osservate le suddette prescrizioni.
Per quanto concerne il diritto di recesso, l’articolo 10, comma 2, del D. L. n. 223/2006 ha previsto la possibilità per il cliente bancario, nei contratti di durata, di recedere liberamente, ovvero senza penalità e senza spese di chiusura. Il D.Lgs. n. 141/2010 ha inserito nel Testo Unico Bancario l’articolo 120-bis, ove sono contenute le disposizioni in materia di diritto di recesso: in particolare, al cliente è consentito di recedere in ogni momento da un contratto a tempo indeterminato senza penalità e senza spese. Si demanda a una delibera del CICR l’individuazione dei casi in cui la banca o l'intermediario finanziario possono chiedere al cliente un rimborso delle spese sostenute in relazione a servizi aggiuntivi da questo richiesti in occasione del recesso.
La relazione al D.Lgs. n. 141 del 2010 ha precisato che il riferimento ai “contratti a tempo indeterminato”, anziché ai “contratti di durata” ha lo scopo di eliminare le incertezze interpretative sorte nel vigore della previgente disciplina. Dunque nei contratti a tempo indeterminato (quali, ad esempio, l’apertura di credito) al cliente spetta la facoltà di recesso a norma del predetto articolo 120-bis, mentre nei contratti di durata (ad es. mutui ed aperture di credito a tempo determinato) la facoltà di recesso spetta al cliente soltanto se pattuita contrattualmente a norma dell’art. 1373 c.c.
Nei contratti di mutuo, il diritto di recesso spetta nel caso di finanziamenti fondiari (ai sensi dell’articolo 40 del TUB) e nelle ipotesi – già illustrate - di mutui per l’acquisto dell'abitazione, di cui all’articolo 120-ter del TUB .
Il richiamato D.Lgs. 141 del 2010 ha introdotto una disciplina sistematica delle spese addebitabili al cliente, inserendola all’articolo 127-bis del TUB.
Nel dettaglio, si vieta a banche e intermediari di addebitare al cliente spese, comunque denominate, inerenti alle informazioni e alle comunicazioni previste ai sensi di legge trasmesse con strumenti di comunicazione telematica; le comunicazioni relative all’esercizio dello ius variandi unilaterale, ai sensi dell’articolo 118 TUB, sono gratuite indipendentemente dagli strumenti di comunicazione impiegati.
Il contratto può prevedere che, se il cliente richiede alla controparte informazioni o comunicazioni ulteriori o più frequenti rispetto a quelle previste dalla legge, ovvero la loro trasmissione con strumenti di comunicazione diversi da quelli previsti nel contratto, le relative spese sono a carico del cliente.
In ogni caso, le spese addebitate per informazioni o comunicazioni devono essere adeguate e proporzionate ai costi effettivamente sostenuti dalla banca o dall'intermediario finanziario, fatto salvo il caso dei contratti di finanziamento, per i quali la consegna di documenti personalizzati può essere subordinata al pagamento delle spese di istruttoria, nei limiti e alle condizioni stabilite dal CICR.