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Temi dell'attività Parlamentare

Bahrein: scheda politico-parlamentare

Il quadro istituzionale

Dal punto di vista della forma di governo, il Bahrain è una monarchia costituzionale. In base alla Costituzione del 2002, il potere esecutivo è esercitato dal re, attraverso il primo ministro e il governo da lui nominato. Il potere legislativo è esercitato da un parlamento bicamerale, composto dal consiglio dei rappresentanti (Majlis Al Nuwab) e dal consiglio consultivo (Majlis Al Shura). Il consiglio dei rappresentanti è composto da 40 membri, eletti a suffragio universale maschile e femminile da tutti i cittadini maggiorenni (con più di 21 anni di età), con sistema uninominale maggioritario a turno unico. Il Consiglio consultivo è anch’esso composto da quaranta membri, nominati però dal re (la Camera alta appare prevalente nel processo legislativo).

Per Freedom House, il Bahrain è uno “Stato non libero”, non in possesso dello status di “democrazia elettorale”, mentre il Democracy Index 2010 dell’Economist Intelligence Unit lo definisce “regime autoritario” (cfr. infra “Indicatori internazionali sul paese”).

In particolare, per quanto concerne l’esercizio concreto delle libertà politiche e civili, la formale costituzione di partiti politici risulta proibita per legge, anche se il governo consente la costituzione di gruppi informali; inoltre una legge del 2005 ha proibito la costituzione di associazioni di carattere politico basate sulla classe, sull’appartenenza professionale o sulla religione; mentre per tutte le associazioni, comprese quelle a carattere politico, è richiesta la registrazione da parte del Ministero della giustizia. Anche la libertà di assemblea appare sottoposta a significative restrizioni: in particolare le manifestazioni pubbliche necessitano di un’apposita autorizzazione e comunque sono proibite dall’alba al tramonto. Analoghe criticità si manifestano con riferimento alla libertà di espressione e di stampa: il governo controlla tutti i mezzi di comunicazione di massa ed anche i tre editori privati di organi di stampa appaiono avere stretti legami con le autorità governative. Inoltre, risulta vietata la diffusione attraverso siti internet di contenuti politici.

L’Islam risulta la religione di Stato anche se le minoranze non musulmane appaiono generalmente libere di praticare il proprio culto (tutti i gruppi religiosi non musulmani necessitano di un’autorizzazione per operare legalmente, tuttavia appare esistere nel paese una tolleranza di fatto anche nei confronti dei gruppi privi di autorizzazione).

 

La situazione politica

Re del Bahrain è, dal 2002, Hamad bin Isa Al-Khalifa (n. 1950), già al potere dal 1999 con il titolo di emiro.Primo ministro, dall’indipendenza dell’Emirato nel 1971 (il più longevo per carica dei capi di governo del mondo) è Khalifa bin Salman Al-Khalifa (n. 1936).

 

A partire dal febbraio 2011 anche il Bahrain è stato interessato dalle proteste che hanno coinvolto Nord Africa e Medio Oriente, fino a giungere, il 14 marzo 2011, all’intervento di forze armate e di polizia dei paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (in particolare Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti) a sostegno del governo del Bahrain. In questo paese alle cause generali e comuni a tutta l’area, che possono aver contribuito allo scoppio della crisi (quali gli andamenti demografici, il disagio di parte delle popolazione e in particolare delle giovani generazioni in un contesto di modernizzazione economica e sociale e di alti tassi di scolarizzazione), si sono aggiunte le tensioni, da tempo esistenti, tra la maggioranza della popolazione, sciita, e la minoranza sunnita, che però esprime la famiglia regnante e la classe dirigente del paese.

Con riferimento al primo aspetto, si ricorda che il PIL pro-capite del Bahrain risultava nel 2009, per gli standard complessivi dell’area del Nord-Africa e Medio Oriente, alto (24.355 dollari), grazie al combinato disposto tra la rendita petrolifera (il petrolio e gas contavano, nel 2006, per il 26 per cento del PIL, superati però dal settore finanziario e immobiliare, che contavano per il 30 per cento) e la scarsa popolazione (650.000 residenti nel 2001). Il Bahrain ha comunque subito le conseguenze della crisi economica internazionale con un calo del PIL del 6,1 per cento nel 2008 e del 3 per cento nel 2009. Il tasso di disoccupazione complessivo è del 15 per cento, mentre la disoccupazione giovanile è del 20,7 per cento (27,5 per cento quella maschile e 17,8 quella femminile). Le persone di età compresa tra 15 e 24 anni rappresentano il 18 per cento della popolazione, mentre quelle comprese tra 15 e 29 anni di età il 28 per cento ed il tasso di scolarizzazione secondaria è dell’88 per cento. Il tasso di incremento demografico registrato tra il 2000 e il 2005 è stato del 2,6 per cento, di poco superiore a quello medio dell’area Nord Africa e Medio Oriente.

 

Con riferimento al secondo aspetto, le tensioni tra maggioranza sciita e minoranza sunnita nel paese, che parevano essere diminuite al momento dell’ascesa al trono di Khaled, il quale aveva mostrato da subito intenti riformatori culminate nella concessione della costituzione  nel 2002, si sono riacutizzate nel 2006. Nelle elezioni di quell’anno, infatti, l’associazione politica sciita Al-Wefaq, che aveva sostenuto fin dall’inizio il processo riformatore, ottenne 17 dei 40 parlamentari. I risultati elettorali risultavano vanificati però dalla prevalenza nel processo legislativo della Camera alta e del governo. Inoltre, osservatori internazionali registrarono numerose irregolarità nelle elezioni. In particolare, il governo del Bahrain è poi accusato dall’opposizione di mirare ad alterare l’equilibrio demografico tra sunniti e sciiti nella popolazione dello Stato attraverso concessione di incentivi per l’acquisizione della cittadinanza da parte dei residenti stranieri nell’isola, molti dei quali musulmani sunniti provenienti da Iraq e Siria. In questo contesto, nel 2006 è sorto, nell’area politica sciita, un nuovo movimento su posizioni più radicali, Al Haqq, che accusa Al Wefaq di eccessive compromissioni con il potere.

 

Conclusivamente si riporta di seguito una sintetica cronologia dei principali eventi succedutisi dall’inizio delle proteste:

14 febbraio: l’opposizione sciita alla dinastia indice, sull’onda delle proteste nel Nord Africa, una giornata della rabbia. Si registrano sconti e due morti in alcuni villaggi del paese.

15 febbraio: i manifestanti occupano piazza della Perla nella capitale Manama

17 febbraio: le forze di opposizione sciita Al Wefaq presenti in Parlamento annunciano l’abbandono del Parlamento e richiedono le dimissioni del governo (si ricorda, che, come già sopra segnalato, il primo ministro dell’isola, anch’egli appartenente alla famiglia reale Al Khalifa, è ininterrottamente in carica dal 1971). Negli scontri a Manama tra i manifestanti e l’esercito muoiono tre persone

20 febbraio: il segretario di Stato USA Clinton giudica inaccettabile la repressione e chiede al governo del Bahrain di “tornare al più presto a percorrere la via delle riforme”; a Manama sfilano, in segno di solidarietà con i manifestanti di piazza della Perla, cortei di diverse categorie professionali (insegnanti, operai, medici e infermieri)

26 febbraio: si dimettono quattro ministri del governo del Bahrein. Rientra a Manama dall’esilio britannico il leader del partito sciita al Haqq, ritenuto su posizioni radicali, Hassan Mushayma, graziato dal re per le sue precedenti condanne, nel tentativo di calmare le proteste

8 marzo: tre movimenti sciiti (Al Haqq, Wefaq e Movimento per la libertà) annunciano la costituzione di una “Coalizione per la repubblica”, che richiede appunto, l’abbandono della forma di Stato monarchica.

13 marzo: nuovi scontri in piazza della Perla

14 marzo: in attuazione di una decisione del consiglio di cooperazione del Golfo (organizzazione internazionale di cooperazione economica e politica composta da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar, Oman, Bahrain), truppe dell’Arabia Saudita entrano nel Bahrain d’accordo con il governo dell’isola per contribuire al “ristabilimento della sicurezza e alla tutela delle infrastrutture strategiche”. Anche forze di polizia degli Emirati Arabi Uniti affluiscono in Bahrain.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

Indicatori internazionali sul paese[1]:

Libertà politiche e civili: “Stato non libero” (Freedom House); “regime autoritario” (Economist)

Indice della libertà di stampa: 144 su 178

Libertà religiosa: limitazioni alla libertà religiosa (ACS); Islam religione di Stato, riconoscimento della libertà religiosa in Costituzione e generale rispetto nella pratica, pur in presenza di limitazioni da parte del governo (USA)

Corruzione percepita: 48  su 178

Variazione PIL 2009: -3  per cento

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1]    Gli indicatori internazionali sul paese, ripresi da autorevoli centri di ricerca, descrivono in particolare: la condizione delle libertà politiche e civili secondo le classificazioni di Freedom House e dell’Economist Intelligence Unit; la posizione del paese secondo l’indice della corruzione percepita predisposto da Transparency International (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di minore corruzione percepita) e secondo l’indice della libertà di stampa predisposto da Reporters sans Frontières (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di maggiore libertà di stampa); la condizione della libertà religiosa secondo i due rapporti annuali di “Aiuto alla Chiesa che soffre” (indicato con ACS) e del Dipartimento di Stato USA (indicato con USA); il tasso di crescita del PIL come riportato dal Fondo monetario internazionale; la presenza di situazioni di conflitto armato secondo l’International Institute for Strategic Studies (IISS). Per ulteriori informazioni sulle fonti e i criteri adottati si rinvia alla nota esplicativa presente in Le elezioni programmate nel periodo febbraio-aprile 2011 (documentazione e ricerche n. 85, 9 febbraio 2011).