L’Osservatorio permanente sull’economia del Mediterraneo
Le relazioni economiche tra l’Italia e il Mediterraneo – Rapporto annuale 2011[1] sintetizza e sviluppa una serie di lavori di ricerca realizzati nell’ambito dell’Osservatorio permanente sulle relazioni economiche tra l’Italia e il Mediterraneo[2] istituito nel maggio 2011 dal centro di ricerca SRM (Studi e ricerche per il Mezzogiorno) con l’obiettivo di monitorare le relazioni economiche italo- mediterranee.
L’SRM[3],associazione dotata di personalità giuridica, è sorta il 1° luglio 2003 con l’obiettivo di realizzare studi, analisi e ricerche finalizzati alla diffusione della conoscenza e della cultura economica, con particolare riferimento alla valorizzazione del tessuto economico e sociale del Mezzogiorno d’Italia nella sua dimensione europea e mediterranea.
La struttura dell’SRM, nella quale è confluito il patrimonio informativo e di competenze dell'Ufficio Studi del Banco di Napoli, è partecipata dal Gruppo Intesa Sanpaolo attraverso la capogruppo, il Banco di Napoli, Banca BIIS, IMI Investimenti e Banca di credito sardo ed ha tra i soci fondatori l'Istituto Banco di Napoli Fondazione.
L’Osservatorio permanente sulle relazioni economiche tra l’Italia e il MediterraneoSRM-MED è un progetto popsto in essere - a partire, come accennato, dal 2011 - da SRM (con la sponsorizzazione della Compagnia di San Paolo) con l'obiettivo di monitorare e studiare le dinamiche e l'impatto della mutua relazione economica tra Italia, con particolare riferimento alle regioni meridionali, e l’area del Mediterraneo. Le attività dell’Osservatorio sono svolte da un dipartimento di ricerca interno affiancato da un network, in corso di implementazione, di relazioni con centri di ricerca nazionali ed internazionali, coerenti con la definizione di SRM-MED quale progetto di work in progress sviluppato sul web.
Al termine di ogni anno di attività di ricerca ed analisi è prevista la messa a disposizione online, in formato anche stampabile, della relazione annuale, che condensa ed analizza i contenuti via via resi disponibili sul sito web dell’Osservatorio e di cui quella qui in esame, riferita all’anno 2011, rappresenta la prima edizione.
Il Rapporto 2011
Il Rapporto annuale 2011 di SRM-MED, in coerenza con le finalità istituzionali dell’Osservatorio, si concentra sulle relazioni economiche tra Italia e quelli che nel rapporto vengono definiti i “tre Mediterranei”, ossia le aree nelle quali vengono raggruppati i paesi non membri UE che si affacciano sul Mediterraneo:
§ l’area nord africana, identificata come Southern Med e costituita da Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto;
§ l’area Eastern Med: Israele, Libano, Siria, Turchia (candidato UE).;
§ l’area Adriatic Med: Albania, Bosnia-Erzegovina e Croazia (candidato UE).
Il Rapporto sottolinea i grandi interrogativi legati all’impatto della cd. “primavera araba” sulle relazioni con l’Europa, che appare per molti versi un “tronante della storia” contemporanea al pari della caduta del Muro di Berlino nel 1989.
Già nell’introduzione, il direttore della ricerca, Massimo Deandreis, sottolinea come il nuovo scenario mediterraneo appaia per molti aspetto “al tempo stesso vicino e lontano. Vicino perché la primavera araba ha alimentato prospettive di riforme democratiche ed economiche che sono sembrate avvicinare la prospettiva di maggiore integrazione politica ed economica. Lontano perché la crisi finanziaria dell’area euro distrae l’Europa e l’Italia, ancor più che in passato, dal riprendere una seria politica euro-mediterranea; e poi permangono inquietudini sul futuro di alcuni paesi dell’area”.
Con riferimento al contenuto, il Rapporto è organizzato in tre parti che si articolano in otto capitoli complessivi.
La prima parte(L’economia, il commercio e le dinamiche di scambio) si articola in due capitoli dedicati, il primo all’analisi del posizionamento economico italiano nel bacino del mediterraneo e il secondo alle prospettive economiche ed agli sviluppi politici dei paesi dell’area MENA (Middle East and North Africa) .
Viene fornita un’ampia ricognizione del quadro macroeconomico dell’area MENA nonché una dettagliata analisi dell’interscambio commerciale dell’Italia con i “tre Mediterranei”.
Da tale analisi risulta che il nostro è il Paese europeo con le più intense relazioni commerciali con l’area, con un valore dell’interscambio raddoppiato in dieci anni e attestatosi nel 2010 a 63,3 miliardi di euro, nell’ambito dei quali l’Italia del Sud incide per 15,4 miliardi (28,3% del totale nazionale).
La Germania (52,4 miliardi) e Francia (46 miliardi) sono in seconda e terza posizione per volume di interscambio.
In uno scenario plausibile di proiezione sul 2013 il volume dell’interscambio complessivo italiano – nell’ambito del quale la parte con l’area Southern Med è maggioritaria – dovrebbe approssimarsi a 82,3 miliarsi, con un incremento del 30% rispetto al 2010.
Nel Rapporto si sottolinea, tuttavia, che al netto dei prodotti energetici, che pesano molto in termini di interscambio, l’Italia scende dal primo al terzo posto, dietro Germania e Francia, che hanno un interscambio energetico minore. Tuttavia le stime prevedono una crescita significativa dell’interscambio anche al netto dei prodotti petroliferi, che passerebbe da 35,9 miliardi del 2010 a 56,7 miliardi nel 2016 (+63%), grazie soprattutto alle potenzialità di crescita del settore manifatturiero.
Tale tendenza positiva sembra confermata, si legge nel Rapporto, anche dai dati relativi all’export dell’Italia verso i paesi dell’area nei primi mesi del 2011, apparsi in crescita (+6,7% su base nazionale, +4,4% per le regioni del mezzogiorno) nonostante la crisi finanziaria e l’instabilità politica nel bacino del Mediterraneo.
La seconda parte del Rapporto, “Flussi finanziari: i fondi sovrani e le rimesse degli immigrati” è dedicata all’indagine dei movimenti di capitali in uscita e in entrata dal nostro paese.
Con riferimento alle rimesse nei paesi d’originedei 679 mila immigrati provenienti dal Nord Africa e presenti in Italia (che rappresentano il 15% del totale degli stranieri), i più recenti dati disponibili (Banca d’Italia 2010) fanno registrare una sensibile diminuzione dei flussi diretti verso i paesi d’origine a partire dal 2007, in conseguenza sia della crisi economica, responsabile dell’erosione di risparmi e redditi, sia di altri ordini di fattori quali elevati tassi di disoccupazione, maggiore selettività nelle politiche di immigrazione, ricongiungimenti all’estero di nuclei familiari.
Nel 2010 i migranti nordafricani hanno trasferito ai paesi d’origine 385 milioni di euro: in prima posizione il Marocco (283 milioni) seguito da Tunisia (78) ed Egitto (19) Algeria (2,2), Libia (2,1). Tra le destinazioni finali dei flussi delle rimesse – in ordine alle quali in Rapporto esamina dettagliatamente le modalità, spesso informali, di trasferimento e i costi, individuando spazi di intervento per il settore bancario – viene segnalata la percentuale (circa 8%) destinata all’avvio di iniziative imprenditoriali in tali paesi, spesso in connessione diretta o indiretta con l’Italia.
Il Rapporto esamina, altresì, il flusso degli investimenti dei Fondi sovrani dei paesi dell’area MENA verso l’Italia, precisando che il nostro paese ne è destinatario nella misura del 4% della quota investita in Europa (50% il Regno Unito, 15% la Germania, 12% la Francia, 6% l’Olanda).
Sulla base della proiezione al 2015 che stima il valore complessivo degli asset gestiti dai fondi sovrani MENA vicino ai 2.500 miliardi di dollari, e nell’ipotesi di una porzione minima (5% dello stock) destinata a investimenti in nuove operazioni, il 4% su base europea dell’Italia intercetterebbe tra i 4 e i 10 miliardi di dollari di nuovi investimenti nei prossimi quattro anni.
A tale proposito il Rapporto sottolinea che, da un lato, le economie in via di sviluppo dell’area mediterranea possono trovare nel tessuto produttivo italiano le coordinate tecniche e manageriali necessarie alla loro crescita e, dall’altro, le imprese italiane hanno necessità sia di trovare capitali per finanziare ristrutturazioni e sviluppo, sia di ampliare la platea dei propri interlocutori commerciali ed industriali.
Ciò premesso, al fine di incrementare l’attrattività del sistema-Paese il Rapporto si suggerisce:
§ l’inquadramento delle già esistenti relazioni tra le due sponde del Mediterraneo nell’ambito di protocolli intergovernativi;
§ la creazione di azioni sistemiche che coinvolgano le istituzioni pubbliche ai massimi livelli, le aziende partecipate dallo stato, le filiere produttive e le reti bancarie.
Tutto ciò un un’ottica di internazionalizzazione del Mediterraneo assunto come “orientamento strategico fortemente promettente”.
La terza parte (“Le infrastrutture nel Mediterraneo: i trasporti marittimi, la logistica e le reti energetiche”) del Rapporto si incentra sul tema del rafforzamento delle infrastrutture di collegamento, in particolare porti e retro porti italiani, considerati condizione imprescindibile per il potenziamento delle relazioni economiche con tutta l’area del Mediterraneo.
La centralità strategica di tale questione deriva dalla circostanza che il Mediterraneo è, da un lato, passaggio “obbligato” per circa il 15% del traffico mondiale delle merci, e dall’altro, potenziale “cerniera” tra i paesi dell’Unione europea e i paesi MENA, nei quali sono localizzati rilevanti fattori produttivi e dove è in corso una rapida evoluzione del mercato: la vicinanza delle sponde, infatti, potrebbe agevolare l’installazione di un efficace sistema di trasporto marittimo, con vantaggiose economie di scala.
In tale contesto l’Italia, che pur vede il sistema portuale e la connessa filiera produttiva (costruzioni navali, shipping, logistica) pesare per il 14% del PIL nazionale, sta perdendo posizioni a vantaggio di altri competitors internazionali. I dati riguardanti i porti di transhipment (hub dove avvengono trasferimenti di carico) nel Mediterraneo evidenziano perdite di posizione a favore di Tangeri, Valencia, Malta e Port Said (Egitto).
Con riguardo alle prospettive di sviluppo ed al riposizionamento italiano in tale settore è necessario, tra il resto, affrontare il tema dei sistemi retro portuali e dell’accessibilità ferroviaria e viaria, a partire dalla circostanza che il 70% dei porti italiani sono posizionati nel sud del paese mentre la maggior parte delle infrastrutture stradali, ferroviarie ed interportuali sono localizzate nelle regioni del Centro-nord.