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Temi dell'attività Parlamentare

I rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose non cattoliche
La disciplina costituzionale della libertà religiosa

I rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose non cattoliche sono regolati dall’articolo 8 della Costituzione, che, tutelando l’aspetto istituzionale della libertà religiosa, sancisce il principio di eguale libertà di tutte le confessioni (comma 1).

La disposizione riconosce alle confessioni diverse dalla cattoliche l’autonomia organizzativa sulla base di propri statuti, a condizione che questi non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano (comma 2).

Viene sancito, altresì, il principio secondo il quale i rapporti con lo Stato delle confessioni religiose diverse dalla cattolica sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze (comma 3); si tratta quindi di una riserva di legge rinforzata, caratterizzata da aggravamenti procedurali che non consentono la modifica, abrogazione o deroga di tali leggi se non mediante leggi ordinarie che abbiano seguito la stessa procedura bilaterale di formazione.

Per quanto riguarda l’autonomia organizzativa delle confessioni diverse dalla cattolica, la Corte costituzionale, con la sentenza 43/1988, ha chiarito che “al riconoscimento da parte dell’art. 8, secondo comma, Cost., della capacità delle confessioni religiose, diverse dalla cattolica, di dotarsi di propri statuti, corrisponde l’abbandono da parte dello Stato della pretesa di fissarne direttamente per legge i contenuti”. Questa autonomia istituzionale esclude ogni possibilità di ingerenza dello Stato nell’emanazione delle disposizioni statutarie delle confessioni religiose che non sia riconducibile ai limiti espressamente previsti dalla Costituzione.

Una ulteriore specifica garanzia valida per tutte le confessioni religiose (abbiano o meno stipulato un’intesa) e le forme associative che ne sono espressione è prevista dall’art. 20 della Costituzione, ai sensi del quale “Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività”.

Infine, l’aspetto individuale della libertà religiosa, è comunque garantito a tutti (indipendentemente dalla cittadinanza e dall’appartenenza a una confessione religosa) dall’art. 19 della Costituzione, con riguardo alla professione di fede in ogni forma, individuale o associata, alla propaganda ed all’esercizio del culto in privato o in pubblico, con il solo limite dei “riti contrari al buon costume”.

Le confessioni religiose prive di intesa

Come anticipato, l’art. 8 della Costituzione stabilisce che i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

In via preliminare occorre precisare che per le confessioni prive di intesa trovano tuttora applicazione la cd. “legge sui culti ammessi” (L. 1159/1929) e il relativo regolamento di attuazione (R.D. 289/1930).

La legge del 1929 si fonda sul principio dell’ammissione dei culti diversi dalla religione cattolica “purché non professino princìpi e non seguano riti contrari all’ordine pubblico o al buon costume”. Entro questi limiti, viene affermata la libertà di culto in tutte le sue forme, anche pubbliche, e l’eguaglianza dei cittadini, qualunque sia la religione da essi professata. Lo Stato italiano può riconoscere la personalità giuridica degli enti, associazioni o fondazioni di confessioni religiose non cattoliche, purchè si tratti di religioni i cui princìpi e le cui manifestazioni esteriori (riti) non siano in contrasto con l’ordinamento giuridico dello Stato. Il riconoscimento comporta una serie di vantaggi tra cui la possibilità dell’ente di culto di acquistare e possedere beni in nome proprio e di avvalersi di agevolazioni tributarie.

D’altra parte, lo Stato, attraverso il Ministero dell’interno, esercita penetranti poteri di controllo nei confronti degli enti riconosciuti. In particolare, la normativa prevede l’approvazione governativa delle nomine dei ministri di culto; l’autorizzazione dell’ufficiale dello stato civile alla celebrazione del matrimonio con effetti civili davanti ad un ministro di culto non cattolico; la vigilanza sull’attività dell’ente, al fine di accertare che tale attività non sia contraria all’ordinamento giuridico e alle finalità dell’ente medesimo.

Si segnala che la Corte costituzionale, con la sentenza 346/2002, ha giudicato costituzionalmente illegittima una disposizione di una legge della Regione Lombardia che prevedeva benefici per la realizzazione di edifici di culto e di attrezzature destinate a servizi religiosi, nella parte in cui introduceva come elemento di discriminazione fra le confessioni religiose che aspirano ad usufruire dei benefici, avendone gli altri requisiti, l’esistenza di un’intesa per la regolazione dei rapporti della confessione con lo Stato.

La Corte ha affermato che le intese previste dall’art. 8, terzo comma, Cost. non sono e non possono essere una condizione imposta dai poteri pubblici alle confessioni per usufruire della libertà di organizzazione e di azione loro garantita dal primo e dal secondo comma dello stesso art. 8 né per usufruire di benefici a loro riservati, quali, nella specie, l’erogazione di contributi; risultano altrimenti violati il divieto di discriminazione (art. 3 e art. 8, primo comma, Cost.), nonché l’eguaglianza dei singoli nel godimento effettivo della libertà di culto (art. 19, Cost.), di cui l’eguale libertà delle confessioni di organizzarsi e di operare rappresenta la proiezione necessaria sul piano comunitario e sulla quale esercita una evidente, ancorché indiretta influenza, la possibilità per le medesime di accedere a benefici economici come quelli previsti dalla legge oggetto del giudizio di costituzionalità.

Le confessioni religiose che hanno stipulato l’intesa con lo Stato

Per quanto concerne, invece, le confessioni che hanno stipulato un’intesa con lo Stato italiano, in prima battuta cessano di avere efficacia le norme sopra illustrate, che sono sostituite dalle disposizioni contenute nelle singole intese (tutte le leggi volte a dare attuazione alle intese prevedono tale decadenza con uno specifico articolo recante la cessazione di efficacia delle suddette disposizione a far data dall’entrata in vigolre delle stesse).

Le intese finora intervenute danno, pertanto, atto della autonomia e della indipendenza degli ordinamenti religiosi diversi da quello cattolico.

Ciascuna intesa reca, quindi, disposizioni dirette a disciplinare i rapporti tra lo Stato e quella confessione religiosa che ha stipulato l’intesa.

Si tratta, pertanto, di norme specifiche, spesso finalizzate a tutelare aspetti particolari, peculiari della confessione interessata. Si possono tuttavia individuare alcuni elementi ricorrenti: quasi tutte le intese recano disposizioni per l’assistenza individuale nelle caserme, negli ospedali, nelle case di cura e di riposo e nei penitenziari, per l’insegnamento della religione nelle scuole, per il matrimonio, per il riconoscimento di enti con fini di culto, istruzione e beneficenza, per il regime degli edifici di culto e per i rapporti finanziari con lo Stato nella ripartizione dell’8 per mille del gettito IRPEF e, infine, per le festività. In generale, tali disposizioni concorrono a definire un regime più indipendente rispetto a quello valido per le confessioni prive di intesa.

In questo senso particolarmente significative sono le disposizioni relative ai ministri del culto: per le confessioni che hanno stipulato le intese cessano di avere efficacia le norme sui “culti ammessi”, che prevedono l’approvazione governativa delle nomine dei ministri; le confessioni nominano pertanto i propri ministri senza condizioni, salvo l’obbligo di registrazione in appositi elenchi.

Inoltre, diversa è la procedura relativa al riconoscimento della personalità giuridica degli istituti di culto: per quelli afferenti alle confessioni religiose che per prime hanno stipulato l’intesa, il procedimento ricalca quella per i “culti ammessi”, mentre per gli istituti di culto delle Chiese battista e luterana è prevista una procedura semplificata di emanazione con decreto ministeriale e non con decreto del Presidente della Repubblica.

Si ricorda che le confessioni religiose con le quali lo Stato italiano ha un rapporto conforme al dettato costituzionale sub art. 8 sono:

    Larga parte delle leggi sopra riportate sono state oggetto di successiva modifica al fine di consentire alle confessioni religiose, che già avevano stipulato una intesa con lo Stato italiano, la partecipazione alla ripartizione della quota dell'otto per mille del gettito IRPEF laddove tale previsone non era stata inserita nel testo originario.

    Nella XVI legislatura, la I Commissione Affari Costituzionali della Camera ha esaminato il disegno di legge di recepimento dell'intesa con la Congregazione cristiana dei testimoni di Geova in Italia, senza pervenire alla sua approvaizone (A.C. 5473) .

    La procedura per la stipula delle intese

    Con particolare riferimento alle singole fasi della procedura di approvazione delle leggi di attuazione delle intese con le confessioni acatotliche, si ricorda che su tale materia, in assenza di una legge generale che ne disciplini i signoli aspetti, si è formata una prassi consolidata a partire dal 1984 (data della prima attuazione del dettato costituzionale in tale materia).

    Il procedimento ha inizio con la richiesta di intesa che deve essere preventivamente sottoposta al parere del Ministero dell'Interno, Direzione Generale Affari dei Culti.

    Successivamente hanno inizio le trattative per la stipula di un’intesa e la competenza ad avviarle spetta al Governo; le confessioni interessate si devono rivolgere quindi, tramite istanza, al Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale affida l'incarico di condurre le trattative con le relative rappresentanze al Sottosegretario-Segretario del Consiglio dei Ministri. Si ricorda che le trattative vengono avviate soltanto con le confessioni che abbiano ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica ex lege 1159/1929.

    L’esame di compatibilità dell’intesa viene, così, condotto sia dal Ministero dell’interno, sia dal Consiglio di Stato, il quale è chiamato ad esprimere il proprio parere (non obbligatorio) in merito.

    Nel corso delle trattative, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio si avvale di una apposita Commissione interministeriale per le intese con le confessioni religiose, istituita presso la stessa Presidenza; tale organo predispone le bozze di intesa unitamente alle delegazioni delle confessioni religiose che ne hanno fatto richiesta. Sulle bozze si esprime, poi, la Commissione consultiva per la libertà religiosa, operante presso la Presidenza del Consiglio.

    Concluse le trattative, le intese, siglate dal Sottosegretario e dal rappresentante della confessione religiosa, sono sottoposte all’esame del Consiglio dei ministri e, una volta firmate dal Presidente del Consiglio e dal Presidente della confessione religiosa, vengono trasmesse al Parlamento per l’approvazione con legge.

     

    Avuto riguardo, poi, alla procedura parlamentare si segnala che l’art. 8 della Costituzione non specifica se l’iniziativa legislativa relativa alle intese sia attribuita in via esclusiva al Governo, in quanto titolare del potere di condurre le trattative e stipularle. La Giunta del Regolamento della Camera dei deputati, affrontando la questione della titolarità dell’iniziativa legislativa per la presentazione di progetti di legge volti ad autorizzare la ratifica di trattati internazionali, nella seduta del 5 maggio 1999 si è pronunciata per l’ammissibilità dell’iniziativa parlamentare in tale materia, ove ricorrano i necessari presupposti di fatto. Pertanto non sembrerebbero sussistere elementi ostativi all’ammissibilità di proposte di legge di iniziativa parlamentare per l’approvazione delle intese.

    Infine, con riferimento alla questione della modificabilità o meno del testo si ricorda che si è affermata una prassi che, pur non escludendo in assoluto la emendabilità, restringe l’ambito di intervento del Parlamento a modifiche di carattere non sostanziale, quali quelle dirette ad integrare o chiarire il disegno di legge, o ad emendarne le parti che non rispecchiano fedelmente l’intesa.