Il Parlamento ha approvato la legge 10 dicembre 2012, n. 219, che elimina dall'ordinamento le residue distinzioni tra figli legittimi e figli naturali, affermando il principio dell'unicità dello stato giuridico dei figli. In particolare, la legge:
Le principali modifiche al codice civile sono apportate dall'articolo 1 della legge 219/2012 che:
Sempre allo scopo di eliminare ogni discriminazione tra i figli, l'articolo 2 della legge 219/2012 conferisce una delega al Governo per la modifica delle disposizioni in materia di filiazione e di dichiarazione dello stato di adottabilità. Il termine di esercizio della delega è stabilito in 12 mesi dall'entrata in vigore dalla legge (comma 1), e dunque entro il 1° gennaio 2014. I numerosi princìpi e criteri direttivi dettati dal comma 1 per l’esercizio della delega (lettere da a) a p)) prevedono:
L'articolo 3 della legge 219/2012 novella l’art. 38 delle Disposizioni di attuazione del codice civile sottraendo una serie di procedimenti alla competenza del tribunale dei minorenni. Per effetto del confermato secondo comma dell'art. 38, che vuole attribuiti al tribunale ordinario «i provvedimenti per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria», la sottrazione di competenze al tribunale per i minorenni comporta l'espansione delle competenze del tribunale ordinario.
Il primo comma del nuovo art. 38 sottrae al tribunale dei minorenni la competenza per i seguenti provvedimenti:
La disposizione conferma la competenza del tribunale per i minorenni per i provvedimenti in caso di condotta del genitore pregiudizievole ai figli (ex art. 333 c.c.), purché non sia in corso tra le parti un giudizio di separazione o divorzio o relativo all’esercizio della potestà genitoriale ex art. 316 c.c. In tali casi, infatti «per tutta la durata del processo la competenza […] spetta al giudice ordinario».
Il secondo comma del nuovo art. 38 attribuisce ogni restante provvedimento relativo a minori alla competenza del tribunale ordinario specificando che nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori si applicano le disposizioni sui procedimenti in camera di consiglio (ex art. 737 c.p.c.), in quanto compatibili.
Il terzo comma afferma:
Normativa previgente | |
Disposizioni di attuazione del Codice civile | |
Sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 84, 90, 171, 194, secondo comma 250, 252, 262, 264, 316, 317-bis, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, nonché nel caso di minori dall'articolo 269, primo comma, del codice civile. | Sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 84, 90, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, del codice civile. Per i procedimenti di cui all'articolo 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell'ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell'articolo 316 del codice civile; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario. |
Sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria. | Sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti relativi ai minori per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria. Nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. |
In ogni caso il tribunale provvede in camera di consiglio sentito il pubblico ministero.
Quando il provvedimento è emesso dal tribunale per i minorenni il reclamo si propone davanti alla sezione di corte di appello per i minorenni. | Fermo restando quanto previsto per le azioni di stato, il tribunale competente provvede in ogni caso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, e i provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente. Quando il provvedimento è emesso dal tribunale per i minorenni, il reclamo si propone davanti alla sezione di corte di appello per i minorenni |
Come detto, l'articolo 1, comma 3, della legge 219/2012, novella l'art. 251 del codice civile in tema di riconoscimento dei figli incestuosi.
La nuova previsione codicistica, rubricata Autorizzazione al riconoscimento, stabilisce ora che «Il figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all'infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, può essere riconosciuto previa autorizzazione del giudice avuto riguardo all'interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio.
Il riconoscimento di una persona minore di età è autorizzato dal tribunale per i minorenni».
Su questa disposizione - introdotta nel corso dell'esame del provvedimento in Senato, e confermata nella seconda lettura alla Camera - si è sviluppato un acceso dibattito, per comprendere il quale pare utile descrivere il quadro giuridico in vigore fino all'approvazione della legge.
Il codice civile definisce “figli incestuosi” come i figli nati da persone tra le quali esiste un vincolo di parentela, anche soltanto naturale, in linea retta all'infinito o in linea collaterale nel secondo grado.
Prima della novella dell'art. 251 c.c., i figli incestuosi non potevano essere riconosciuti per atto volontario del genitore, benché potessero essere dichiarati giudizialmente figli naturali riconosciuti.
Ciò a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 494 del 2002, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 278, primo comma, nella parte in cui escludeva che potessero essere compiute indagini sulla paternità o sulla maternità - finalizzate ad ottenere la dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturale ai sensi dell'art. 269 c.c. - nei casi in cui, a norma dell'art. 251, il riconoscimento dei figli incestuosi è vietato. La Corte ha dunque affermato che il figlio incestuoso può agire per la dichiarazione di maternità o paternità naturale (art. 269, 1° co., c.c.), anche in casi in cui il riconoscimento non è ammesso; peraltro, la Corte costituzionale ha precisato che non vale l'inverso: che, cioè, il riconoscimento sia effettuabile in tutte le ipotesi in cui vi possa essere la dichiarazione giudiziale, mantenendo i limiti al riconoscimento imposti dall'art. 251 c.c.
L'ordinamento ha posto pesanti limitazioni alla riconoscibilità dei figli incestuosi. La ragione può essere rinvenuta sia nella protezione dell'interesse del figlio - da un riconoscimento che, per un verso potrebbe indicarne, inequivocabilmente, le origini incestuose, e, per altro verso, costituirebbe il rapporto giuridico parentale con soggetti che, avendo dato luogo ad un'unione tanto riprovevole, hanno, per ciò solo, denunziato inidoneità alla delicata funzione genitoriale - sia nel comminare una sanzione ai responsabili dell'incesto.
Una funzione, almeno parzialmente, sanzionatoria sembrerebbe confermata, sebbene non esplicitamente, dalla citata sentenza della Corte costituzionale n. 494 del 2002, con la quale la Consulta, dopo avere dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 278, e, dunque, l'illegittimità della limitazione alla dichiarabilità giudiziale della paternità e della maternità naturale degli incestuosi, non si è spinta ad affermare anche l’illegittimità della non riconoscibilità di tali soggetti: in altri termini, per la Corte i figli incestuosi non possono essere riconosciuti per atto volontario del genitore, benché possano essere dichiarati giudizialmente figli naturali riconosciuti.
La sentenza della Corte costituzionale è stata accolta con favore dalla dottrina che ha peraltro rilevato come la distinzione individuata dal Giudice delle leggi, tra la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità, quale atto emesso nell'interesse del figlio, e il riconoscimento, che, viceversa, risponderebbe ad un interesse del genitore, sarebbe scorretta, poiché il riconoscimento, benché atto del genitore, ugualmente realizzerebbe un interesse del figlio all'accertamento formale del suo stato, e si è, pertanto, auspicato un definitivo intervento della Consulta, che dichiari l'illegittimità costituzionale anche dell'articolo 251.
Cfr. in merito C.M. Bianca, La Corte costituzionale ha rimosso il divieto di indagini sulla paternità e maternità di cui all'art. 278, comma 1, c.c. (ma i figli irriconoscibili rimangono), in Giurisprudenza costituzionale, 2002, fasc. 6, pagg. 4068-4074; G. Di Lorenzo, La dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale dei figli nati da rapporto incestuoso, in Giurisprudenza costituzionale, 2003, fasc. 1, pagg. 446-457; G. Ferrando, La condizione dei figli incestuosi: la Corte costituzionale compie il primo passo, in Familia, 2003, fasc. 3, pagg. 848-856, pt. 2; Id., I diritti negati dei figli incestuosi, in Studi in onore di Cesare Massimo Bianca, Milano, 2006, 222; Ambanelli, La filiazione non riconoscibile, in Tratt. Bonilini, Cattaneo, III, Filiazione e adozione, 2a ed., Torino, 2007, p. 236.
Per il combinato disposto degli articoli 251 e 278 del codice civile, il riconoscimento del figlio incestuoso è autorizzabile solo nelle ipotesi tassativamente elencate dall'articolo 251 del codice civile.
In base all’art. 35 delle disposizioni di attuazione del codice civile, il riconoscimento è autorizzato dal tribunale per i minorenni se il figlio da riconoscere è minore.
Il figlio incestuoso può agire per ottenere il mantenimento, l'educazione e l'istruzione, o, se maggiorenne, gli alimenti (art. 279), e, in caso di morte del genitore, partecipa alla sua successione (artt. 580 e 594).
Il nuovo art. 251 c.c. amplia la possibilità di riconoscimento dei figli incestuosi. La norma, ora rubricata “Autorizzazione al riconoscimento”, elimina, per i genitori, il requisito della inconsapevolezza - al momento del concepimento - del legame parentale tra loro esistente nonché la necessità della dichiarazione di nullità del matrimonio da cui deriva l’affinità. La riforma ribalta la situazione precedente, consentendo il riconoscimento in generale purché questo soddisfi l’interesse del minore, la cui valutazione è sempre affidata al giudice.
La disposizione precisa che se il riconoscimento riguarda un minore l’autorizzazione compete al tribunale dei minorenni (come peraltro già affermato dall’art. 35 delle disposizioni di attuazione del codice civile).