Il tema della depenalizzazione è affrontato dal disegno di legge A.C. 5019-ter, che costituisce stralcio di un più complesso provvedimento. Il Governo aveva infatti presentato alla Camera l' A.C. 5019, recante "Delega al Governo in materia di depenalizzazione, sospensione del procedimento con messa alla prova, pene detentive non carcerarie, nonchè sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili", del quale la Commissione Giustizia ha avviato l'esame il 29 marzo 2012. L' Assemblea ha poi deliberato, il 9 ottobre 2012, lo stralcio delle disposizoni relative alla depenalizzazione, oggetto del contenuto dell'A.C. 5019-ter, diretto in particolare a ridurre il carico penale attraverso la trasformazione di alcuni illeciti penali in illeciti amministrativi.
Come si legge nella relazione illustrativa dell'originario ddl A.C. 5019, “il sistema giudiziario, nel suo complesso, non è in grado di accertare e di reprimere tutti i reati. La sanzione penale deve, invece, operare solo quando non vi siano altri adeguati strumenti di tutela; essa non è giustificata se può essere sostituita con sanzioni amministrative aventi pari efficacia e, anzi, spesso dotate di maggiore effettività”. Il disegno di legge prevede dunque la trasformazione in illeciti amministrativi:
I nuovi illeciti amministrativi avrebbero dovuto essere puniti con sanzioni pecuniarie comprese tra 300 e 15.000 euro e con sanzioni interdittive.
Ciclicamente il legislatore - ispirato ai principi del “diritto penale minimo”, ovvero di quel modello che riserva l’intervento repressivo dello Stato sul piano penale esclusivamente alla tutela dei valori primari, di cui l’ordinamento non può tollerare l’offesa - rivede il diritto penale con interventi volti a ridurre il numero dei reati; ciò, sia attraverso la soppressione di alcune fattispecie ritenute anacronistiche, sia con la trasformazione di alcuni illeciti penali in illeciti amministrativi.
Anche se il primo intervento di depenalizzazione si può far risalire alla legge 24 dicembre 1975, n. 706, è soprattutto con la legge 24 novembre 1981, n. 689, che si realizza la prima depenalizzazione di ampio respiro.
La legge 689/1981, oltre a depenalizzare sia alcuni delitti che alcune contravvenzioni (artt. 32-39), introduceva diverse altre misure volte ad alleggerire il carico complessivo del sistema penale, quali l’introduzione delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi (artt. 53-76), l’estensione della perseguibilità a querela di determinati reati (artt. 86-99) e l’introduzione di una speciale ipotesi di oblazione (articolo 162-bis, c.p.).
L’art. 32 della legge prevedeva l’irrogazione di sanzione amministrativa per tutti i reati puniti soltanto con la multa o l’ammenda (erano esclusi i reati che, nelle ipotesi aggravate, fossero punibili con pena detentiva, anche se alternativa a quella pecuniaria oltre che i delitti punibili a querela); l’art. 35 estendeva il regime della sanzione amministrativa a tutte le violazioni previste da leggi in materia di previdenza e assistenza obbligatoria punite con la sola ammenda e altrettanto prevedeva l’art. 39 per le violazioni finanziarie punite con la sola ammenda. Erano inoltre depenalizzate altre ipotesi di reato.
Erano invece escluse dalla depenalizzazione le seguenti fattispecie:
a) i reati che, pur puniti con pena pecuniaria, erano puniti, nelle ipotesi aggravate, con pena detentiva, anche se alternativa a quella pecuniaria;
b) i reati che, pur puniti con la sola pena pecuniaria, erano perseguibili a querela;
c) i reati previsti dal codice penale (salvo i casi espressamente elencati);
d) i reati in tema di armi, munizioni ed esplosivi;
e) i reati in materia di tutela igienico sanitaria degli alimenti, salvo talune eccezioni;
f) i reati in materia di inquinamento;
g) i reati in tema di impiego pacifico dell’energia nucleare;
h) i reati previsti dalla legge edilizia ed urbanistica;
i) i reati previsti dalla legge in materia di lavoro, ivi compresa la normativa antinfortunistica;
l) taluni reati in materia elettorale;
m) i reati in tema di interruzione volontaria della gravidanza.
Nonostante l’intervento del 1981, pochi anni dopo, nel 1988, la Commissione ministeriale per la riforma del codice penale presieduta dal Prof. Pagliaro, già individuava tra gli obiettivi da perseguire quello della ridefinizione dell’apparato sanzionatorio penale, con la riduzione delle fattispecie incriminatici e del peso della legislazione speciale.
Anche il Consiglio superiore della magistratura, con una relazione approvata nel giugno 1992, auspicava un intervento legislativo di depenalizzazione sottolineando con forza come la sanzione penale non possa essere utilizzata indiscriminatamente per colpire ogni comportamento non in regola con le norme, ma, come essa debba, al contrario, essere riservata alle esigenze di tutela dei beni primari della collettività e, segnatamente, dei beni di rilevanza costituzionale.
In questo clima, nel corso dell’XI legislatura il legislatore ha approvato i seguenti provvedimenti di depenalizzazione:
Nel corso della XII legislatura la Commissione giustizia della Camera calendarizza proposte di legge per la depenalizzazione dei c.d. reati minori e nella XIII legislatura si giunge all’approvazione della legge 25 giugno 1999, n. 205, recante Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario.
La legge 205/1999 ha conferito al Governo tre distinte deleghe:
La legge delega ha previsto infine l’attribuzione della competenza generale sull’opposizione alle ordinanze-ingiunzioni (di norma prefettizie) emesse a seguito dell’accertamento di violazioni amministrative, al giudice di pace, ferma restando, in casi specificamente individuati, la competenza del tribunale in composizione monocratica.
Il decreto legislativo 507/1999, con un testo ampio e particolarmente articolato (ben 105 articoli), ha attuato la prima delle deleghe. Analiticamente,
Il legislatore è dunque periodicamente intervenuto per sfoltire il diritto penale speciale.
All’indomani della depenalizzazione, peraltro, lo stesso legislatore ha continuato ad introdurre nuove fattispecie penali.
Nella XV legislatura, la Commissione ministeriale per la riforma del codice penale, presieduta da Giuliano Pisapia, ha affermato, nella relazione del 19 novembre 2007, che una riforma del codice deve porsi l'obiettivo di un diritto penale “minimo, equo ed efficace”, in grado di invertire la tendenza “panpenalistica” che mostra, ogni giorno di più, il suo fallimento. L‘inserimento nel nostro ordinamento di sempre nuove fattispecie penali (soprattutto contravvenzionali) – che puniscono condotte per le quali sarebbe ben più efficace una immediata sanzione amministrativa – ha contribuito in modo rilevante a determinare l'attuale stato della nostra giustizia penale, unanimemente considerata al limite del collasso, con milioni di procedimenti penali pendenti e conseguente quotidiana violazione di quella “ragionevole durata del processo”, sancita dall'art. 111 della Costituzione e dall'art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo.
Basti pensare che dal decreto legislativo 507/1999 al febbraio 2012 sono state introdotte nel nostro ordinamento non meno di 310 nuove fattispecie penali. Il legislatore ha introdotto nell’ordinamento 171 nuove contravvenzioni e 139 nuovi delitti. Tra le nuove fattispecie risaltano per numero e specialità quelle introdotte in attuazione di normativa europea.
In questo contesto, il Governo Monti ha ritenuto che «la progressiva dilatazione della sanzione penale e il conseguente allontanamento della pena dalla sua natura di extrema ratio hanno determinato la perdita della sua capacità general-preventiva anche perché il sistema giudiziario, nel suo complesso, non è in grado di accertare e di reprimere tutti i reati», sostenendo che la sanzione penale debba, invece, «operare solo quando non vi siano altri adeguati strumenti di tutela; essa non è giustificata se può essere sostituita con sanzioni amministrative aventi pari efficacia e, anzi, spesso dotate di maggiore effettività in quanto applicabili anche a soggetti diversi dalle persone fisiche, non suscettibili di sospensione condizionale e con tempi di prescrizione più lunghi» e, conseguentemente proponendo una nuova depenalizzazione.
Si rammenta che, nel momento in cui si procede alla depenalizzazione di alcune fattispecie, occorre considerare la ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni, quale risulta a seguito della riforma del titolo V del 2001. La Corte costituzionale ha infatti rilevato in più occasioni che la regolamentazione delle sanzioni (con l’eccezione delle sanzioni penali, che sono riservate alla legislazione statale dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.) spetta al soggetto nella cui sfera di competenza rientra la disciplina della materia, la cui inosservanza costituisce l'atto sanzionabile. La disciplina delle sanzioni amministrative non costituisce una materia a sé, ma rientra nell'àmbito materiale cui le sanzioni stesse si riferiscono (v. ad esempio sent. 384/2005, 246/2009).
L’articolo 2, comma 1, dell'A.C. 5019-ter delega il Governo ad attuare una depenalizzazione della quale detta i principi e criteri direttivi.
La lettera a) del comma 1 dell’articolo 2 delega il Governo a trasformare in illeciti amministrativi tutti i reati per i quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda, individuando materie per le quali fare eccezione.
Si ricorda che ai sensi dell'art. 162 del codice penale in caso di contravvenzione punita con la sola ammenda, prima dell’apertura del dibattimento il contravventore è ammesso a pagare una somma pari al terzo del massimo della pena prevista (oltre le spese del procedimento), così estinguendo il reato per oblazione.
Limitando l’analisi ai reati contenuti nel codice penale, sono emersi 21 articoli che prevedono delitti puniti con la sola multa e 12 articoli che contengono contravvenzioni punite con la sola ammenda. Peraltro, non tutte le disposizioni individuate potevano essere fatte oggetto di depenalizzazione, perché alcune ricadono nelle materie escluse (soprattutto nel titolo relativo ai delitti contro la personalità dello Stato). Tra le fattispecie che dovevano essere depenalizzate spiccano alcune ipotesi di favoreggiamento personale (art. 378 c.p.), i reati di rissa (art. 588 c.p.) e minaccia (art. 612).
Estremamente ampio è invece il campo dei reati puniti con la sola pena pecuniaria contenuti nella legislazione speciale.
Per quanto riguarda le materie escluse dalla depenalizzazione, il disegno di legge prevede:
1) i delitti contro la personalità dello Stato. L’espressione consente una agevole individuazione delle ipotesi escluse in quanto rinvia letteralmente al libro II (Dei delitti in particolare), Titolo I (Dei delitti contro la personalità dello Stato) del codice penale. Si tratta degli articoli da 241 a 313 del codice. Sono conseguentemente esclusi da depenalizzazione gli articoli 274, 290, 291, 292 e 299 del codice penale, nonostante alcune fattispecie siano punite con la sola pena pecuniaria.
2) i reati in materia edilizia e urbanistica. Nel 1977, nell’ambito del trasferimento delle funzioni amministrative alle Regioni, la materia urbanistica veniva definita come «la disciplina dell'uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell'ambiente». Oggi l’esclusione di questa materia comporta l’impossibilità di depenalizzare le fattispecie penali punite con la sola pena pecuniaria, contenute nel decreto legislativo 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia).
3) i reati in materia di ambiente, territorio e paesaggio. Sono dunque escluse dalla depenalizzazione le fattispecie penali contenute nel Codice del paesaggio (d. lgs. n. 42/2004 e nel Codice dell’ambiente (d. lgs. n. 152/2006. Peraltro, questo principio di delega dovrebbe escludere anche la depenalizzazione degli articoli 727-bis (Uccisione, distruzione, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette) e 734 (Distruzione o deturpamento di bellezze naturali) del codice penale.
4) i reati in materia di immigrazione. Il legislatore esclude dalla depenalizzazione le molteplici fattispecie penali contenute nel decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero).
5) i reati in materia di alimenti e bevande. L’esclusione di queste fattispecie dalla depenalizzazione è forse motivata dal fatto che già il decreto-legislativo n. 507 del 1999 era espressamente intervenuto operando una ampia depenalizzazione in questo settore.
Peraltro, da allora, il legislatore ha inserito fattispecie penali nel:
6) i reati in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. In base al n. 6 sono dunque escluse dalla depenalizzazione tutte le fattispecie penali contenute nella legislazione a tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. Vengono in rilievo soprattutto le recenti numerose previsioni del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), che non potrà essere oggetto di depenalizzazione. Il disegno di legge, peraltro, consente invece la depenalizzazione delle fattispecie contenute nella legislazione sul mercato del lavoro (D. Lgs. 276 del 2003).
7) i reati in materia di sicurezza pubblica. L’espressione sicurezza pubblica rimanda immediatamente al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1931 (TULPS), che all’articolo 1 attribuisce all’autorità di pubblica sicurezza il compito di vigilare sul mantenimento dell'ordine pubblico, sulla sicurezza dei cittadini, sulla loro incolumità e sulla tutela della proprietà. Se appare dunque chiaro che le fattispecie penali contenute nel TULPS non potranno essere depenalizzate, più difficile è definire i confini dell’esclusione operata dal n. 7. Ad esempio, il TULPS disciplina in parte anche il possesso di armi. La materia ha però una legislazione speciale molto più ampia, che era stata espressamente esclusa dalla depenalizzazione nel 1981 (esclusione dei reati in tema di armi, munizioni ed esplosivi, v. sopra). Non appare chiaro se – con l’impiego dell’ampia espressione “sicurezza pubblica” - il disegno di legge intenda confermare l’esclusione dalla depenalizzazione per questi reati. Si evidenzia anche che recentemente il legislatore ha intitolato alla tutela della sicurezza pubblica numerose leggi (legge n. 94 del 2009) e decreti-legge (d.l. n. 92 del 2008, d.l. n. 11 del 2009, d.l. n. 16 del 2005 che, a loro volta, contenevano disposizioni nelle più variegate materie. Come evidenziato anche dalla dottrina, si osserva che se «tradizionalmente si ravvisa il nucleo costitutivo della nozione di sicurezza pubblica nella finalità di conservazione dello Stato e di mantenimento dell'ordine interno, nell'ordinamento italiano la nozione di sicurezza pubblica è sempre rimasta indefinita, ed il ricorrente accostamento alla materia dell'ordine pubblico impone tuttora di individuare caratteri distintivi che ne permettano una autonoma definizione». Sulla materia della sicurezza pubblica è inoltre intervenuta la stessa Corte costituzionale a più riprese dopo l’entrata in vigore della riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione (v. ad esempio le sentt. 6/2004, 95/2005, 226/2010), circoscrivendone l’ambito anche ai fini del corretto riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni.
La lettera b) del comma 1 dell’articolo 2 del disegno di legge individua alcune contravvenzioni, attualmente punite con la pena detentiva alternativa alla pena pecuniaria, e ne dispone la trasformazione in illeciti amministrativi.
Si ricorda che ai sensi dell’art. 162-bis del codice penale in caso di contravvenzione punita con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, prima dell’apertura del dibattimento il contravventore non recidivo né delinquente abituale o per tendenza, può essere ammesso a pagare una somma pari alla metà del massimo dell’ammenda prevista (oltre le spese del procedimento), così estinguendo il reato per oblazione. Il giudice può respingere la domanda di oblazione avuto riguardo alla gravità del fatto.
Le contravvenzioni da depenalizzare sono le seguenti, espressamente individuate dal disegno di legge delega:
1) le seguenti contravvenzioni previste dal codice penale:
Il disegno di legge ha verosimilmente inserito questa contravvenzione nelle depenalizzazioni della lettera b) perché il dato testuale dell’art. 726 c.p. non è stato modificato e prevede ancora la pena dell’arresto fino a un mese o dell’ammenda da euro 10 a euro 206. In realtà, l’art. 4 del decreto legislativo n. 274 del 2000 ha attribuito questa contravvenzione alla competenza del giudice di pace e il successivo articolo 52 dello stesso provvedimento ha previsto che per i reati di competenza del giudice di pace puniti con la pena della reclusione o dell'arresto alternativa a quella della multa o dell'ammenda, si applichi la pena pecuniaria della specie corrispondente da euro 258 a euro 2.582 (se la pena detentiva non supera nel massimo i sei mesi).
2) la contravvenzione prevista dall’art. 11, primo comma, della legge n. 234 del 1931. La disposizione richiamata punisce con l'arresto fino a due anni o con l’ammenda da lire 40.000 a 400.000 le violazioni della legge 8 gennaio 1931, n. 234, che detta Norme per l'impianto e l'uso di apparecchi radioelettrici privati e per il rilascio delle licenze di costruzione, vendita e montaggio di materiali radioelettrici.
3) la contravvenzione prevista dall’art. 171-quater, comma 1, della legge sul diritto d’autore. L’articolo 171-quater della legge n. 633 del 1941 punisce con l'arresto sino ad un anno o con l'ammenda da euro 516 a euro 5.164 chiunque abusivamente ed a fini di lucro: a) concede in noleggio o comunque concede in uso a qualunque titolo, originali, copie o supporti lecitamente ottenuti di opere tutelate dal diritto di autore; b) esegue la fissazione su supporto audio, video o audiovideo delle prestazioni artistiche di attori, i cantanti, i musicisti, i ballerini e le altre persone che rappresentano, cantano, recitano, declamano o eseguono in qualunque modo opere dell'ingegno, siano esse tutelate o di dominio pubblico.
4) la contravvenzione prevista dall’art. 3 del decreto legislativo luogotenenziale n. 506 del 1945. Si fa qui riferimento al D.Lgs.Lgt. 10 agosto 1945, n. 506, che reca Disposizioni circa la denunzia dei beni che sono stati oggetto di confische, sequestri o altri atti di disposizione adottati sotto l'impero del sedicente governo repubblicano. In particolare, l’articolo 3 punisce con l'arresto non inferiore nel minimo a sei mesi o con l'ammenda non inferiore a lire 2.000.000 chiunque omette di denunciare la detenzione di beni mobili o immobili che siano stati oggetto di confisca o sequestro disposti da qualsiasi organo amministrativo o politico sotto l'impero del sedicente governo della Repubblica sociale italiana. Ove l'omissione risulti colposa la pena è dell'arresto non inferiore a tre mesi o dell'ammenda non inferiore a lire 1.000.000.
5) la contravvenzione prevista per coloro che, legalmente richiesti dall'Ispettorato del lavoro di fornire notizie, non le forniscano o le diano scientemente errate od incomplete. Si tratta della contravvenzione prevista dall’art. 4, settimo comma della legge 22 luglio 1961, n. 628 (Modifiche all'ordinamento del Ministero del lavoro e della previdenza sociale). La violazione è punita con l'arresto fino a due mesi o con l'ammenda fino a lire un milione.
6) la contravvenzione prevista dall’articolo 15, secondo comma, della legge n. 1329 del 1965. La legge 28 novembre 1965, n. 1329, recante Provvedimenti per l'acquisto di nuove macchine utensili, punisce all’articolo 15, secondo comma, chiunque ometta di far ripristinare il contrassegno alterato, cancellato, o reso irriconoscibile da altri, apposto su macchina di cui abbia il possesso o la detenzione, ovvero ometta di comunicare al cancelliere del tribunale indicato nel contrassegno, l'alterazione, la cancellazione, o la intervenuta irriconoscibilità del contrassegno. La pena letteralmente prevista dalla disposizione è l'ammenda da lire 150.000 a lire 600.000 o l'arresto fino a tre mesi. Peraltro, avendo l’articolo 4 del d.lgs n. 274/2000 attribuito la competenza su questa contravvenzione al giudice di pace, la pena è ora dell’ammenda da euro 258 a euro 2.582, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 52, comma 2, lettera a), dello stesso decreto legislativo. Conseguentemente, questa disposizione risulta già oggetto di depenalizzazione in base alla precedente lettera a).
7) la contravvenzione prevista per chiunque partecipi a concorsi, giuochi o scommesse clandestine. L’articolo 4 della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive) punisce l’organizzazione di scommesse o concorsi pronostici abusivi e la partecipazione agli stessi; in particolare, il comma 3 punisce con l’arresto fino a tre mesi o con l'ammenda da euro 51 a euro 516 chiunque partecipa a concorsi, giuochi, scommesse gestiti abusivamente, fuori dei casi di concorso in uno dei reati più gravi, legati all’organizzazione del gioco clandestino.
8) la disposizione prevista dall’art. 16, comma 9, della legge sull’usura. Il disegno di legge del Governo non tiene conto della recente legge 3/2012 che ha novellato l’art. 16, comma 9, della legge sull’usura (legge n. 108 del 1996) prevedendo la reclusione da 2 a 4 anni per chi - nell'esercizio di attività bancaria, di intermediazione finanziaria o di mediazione creditizia - indirizza una persona, per operazioni bancarie o finanziarie, a un soggetto non abilitato all'esercizio dell'attività bancaria o finanziaria. Si tratta di un delitto sanzionato con la sola pena detentiva che, pertanto, non può essere inserito nelle ipotesi di depenalizzazione.
9) la contravvenzione prevista dalla c.d. “Riforma Biagi” per colui che esige compensi dal lavoratore per avviarlo al lavoro. L’articolo 18, comma 4, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30) attualmente punisce con la pena alternativa dell'arresto non superiore ad un anno o dell'ammenda da € 2.500 a € 6.000 «chi esiga o comunque percepisca compensi da parte del lavoratore per avviarlo a prestazioni di lavoro oggetto di somministrazione». Peraltro, in aggiunta alla sanzione penale è disposta la cancellazione dall'albo.
10) la contravvenzione prevista per la promozione o realizzazione di forme di vendita piramidali e di giochi o catene. La legge 17 agosto 2005, n. 173 (Disciplina della vendita diretta a domicilio e tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidali) vieta la promozione e la realizzazione di attività e di strutture di vendita nelle quali l'incentivo economico primario dei componenti la struttura si fonda sul mero reclutamento di nuovi soggetti; vieta, altresì, la promozione o l'organizzazione di tutte quelle operazioni, quali giochi, piani di sviluppo, «catene di Sant'Antonio», che configurano la possibilità di guadagno attraverso il puro e semplice reclutamento di altre persone e in cui il diritto a reclutare si trasferisce all'infinito previo il pagamento di un corrispettivo. La violazione di queste disposizioni è attualmente punita dall’articolo 7, comma 1, con l'arresto da sei mesi ad un anno o con l'ammenda da 100.000 euro a 600.000 euro.
11) le contravvenzioni previste dal Codice delle pari opportunità tra uomo e donna. Il decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, recante Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell'articolo 6 della L. 28 novembre 2005, n. 246 prevede le seguenti fattispecie penali:
Articolo | Condotta | Sanzione |
37, co. 5 | Inottemperanza alla sentenza che accerta le discriminazioni | ammenda fino a 50.000 euro o arresto fino a sei mesi; pagamento di una somma di 51 euro per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del provvedimento |
38, co. 4 | Inottemperanza al decreto che impone la cessazione del comportamento discriminatorio illegittimo e la rimozione degli effetti | ammenda fino a 50.000 euro o l'arresto fino a sei mesi |
41, co. 2 | L'inosservanza delle disposizioni sui divieti di discriminazione nell’accesso al lavoro, nella retribuzione, nella progressione di carriera, e nell’accesso alle prestazioni previdenziali | ammenda da 250 euro a 1.500 euro |
55-quinquies, co. 9 | Inottemperanza o elusione di provvedimenti, diversi dalla condanna al risarcimento del danno, resi dal giudice nelle controversie in materia di accesso a beni e servizi e loro fornitura | ammenda fino a 50.000 euro o arresto fino a tre anni |
Il disegno di legge prevede alla lettera b) la depenalizzazione delle contravvenzioni punite alternativamente con pena detentiva e pena pecuniaria; la precedente lettera a) disponeva la depenalizzazione della fattispecie punita con la sola ammenda. Conseguentemente a seguito dell'approvazione del disegno di legge di depenalizzazione il Codice sarebbe risultato completamente depenalizzato.
Il disegno di legge prevede – tanto per le ipotesi della lettera a) quanto per quelle della lettera b) – l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da 300 a 15.000 euro.
Si ricorda che le sanzioni amministrative non vengono iscritte nel casellario giudiziario e non incidono sul godimento dei diritti politici; possono colpire anche le persone giuridiche e, quando hanno carattere pecuniario, l'obbligo del loro pagamento si trasmette agli eredi. La sanzione amministrativa tipica è quella pecuniaria, che consiste nel pagamento di una somma di denaro e costituisce il modello base di sanzione, prevista e disciplinata dalla legge fondamentale in materia (Legge 24 novembre 1981, n. 689, Modifiche al sistema penale). Tale legge definisce la sanzione amministrativa pecuniaria stabilendo che consiste “nel pagamento di una somma di denaro non inferiore a 6 euro e non superiore a 10.329 euro”, tranne che per le sanzioni proporzionali, che non hanno limite massimo; nel determinarne l'ammontare, l'autorità amministrativa deve valutare la gravità della violazione, l'attività svolta dall'autore per eliminare o attenuarne le conseguenze, le sue condizioni economiche e la sua personalità (artt. 10 e 11).
La lettera c) prevede esclusivamente che, nel sanzionare le attuali contravvenzioni punite alternativamente con pena detentiva e pecuniaria, il Governo possa eventualmente aggiungere sanzioni amministrative accessorie, prevalentemente interdittive («sospensione di facoltà e diritti derivanti da provvedimenti dell’amministrazione»).
In base alla lettera d) il Governo avrebbe dovuto commisurare le sanzioni:
La lettera e) invita il Governo a individuare l’autorità competente a irrogare le sanzioni amministrative, rispettando i criteri di riparto indicati nella legge n. 689 del 1981.
Si ricorda che l'applicazione della sanzione amministrativa in base alla legge n. 689 del 1981 avviene secondo il seguente schema:
La lettera f) stabilisce che i decreti legislativi prevedano – a fronte dell’irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria – la possibilità di definire il procedimento mediante il pagamento – anche rateizzato – di un importo pari alla metà della sanzione irrogata.
Si ricorda che l’articolo 16 della legge n. 689 del 1981 attualmente consente il pagamento di una somma in misura ridotta pari alla somma minore tra:
- la terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa;
- il doppio del minimo della sanzione edittale oltre alle spese del procedimento, entro 60 giorni dalla contestazione immediata o, se questa non vi è stata, dalla notificazione degli estremi della violazione.
Quanto alla rateizzazione, l’articolo 26 della legge n. 689 prevede che l'autorità giudiziaria o amministrativa che ha applicato la sanzione pecuniaria possa disporre, su richiesta dell'interessato che si trovi in condizioni economiche disagiate, che la sanzione medesima venga pagata in rate mensili da tre a trenta; ciascuna rata non può essere inferiore a euro 15. In ogni momento il debito può essere estinto mediante un unico pagamento. Decorso inutilmente, anche per una sola rata, il termine fissato dall'autorità giudiziaria o amministrativa, l'obbligato è tenuto al pagamento del residuo ammontare della sanzione in un'unica soluzione.