La legge 175/2010 introduce il divieto per il sorvegliato speciale - ai sensi della legge 575/1965 (ora Codice antimafia, D.Lgs 159/2011, v. ultra) - di svolgere le attività di propaganda elettorale.
Il legislatore non ha fino ad oggi espressamente definito il concetto di propaganda elettorale. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, per propaganda elettorale si intende la "specifica attività che si svolge nell'ambito del procedimento preparatorio della scelta e che è volta ad influire sulla volontà degli elettori nel periodo che precede le elezioni. Essa si connota [...] per la sua inerenza, diretta o indiretta alla competizione elettorale, sia quando ha, come scopo immediato o mediato, quello di acquistare voti o sottrarne agli avversari, sia quando ha come scopo, anche mediato, di convincere l'elettore a non votare, oppure a presentare scheda bianca, a rendere il voto nullo o ad esprimerlo in modo inefficace" (Corte di cassazione, sentenze n. 477/1998, e n. 11835/1989). Pure in assenza di una definizione generale di propaganda elettorale, già attualmente esistono fattispecie penali che fondano sulla definizione di tali attività – fornita dalla giurisprudenza – condotte penalmente rilevanti (cfr. ad es. art. 99 del D.P.R. 361/1957). Alcune leggi speciali disciplinano invece specifiche attività attraverso le quali si può svolgere la propaganda elettorale.
La ratio dell'introduzione di limitazioni allo svolgimento della propaganda elettorale da parte del sorvegliato speciale è stata così esposta dal relatore del provvedimento nel corso della seduta della Camera dei deputati del 24 febbraio 2010: "L'esigenza di introdurre nell'ordinamento questo divieto nasce da una considerazione tanto semplice quanto nei fatti da molti confutata. La considerazione è la seguente: è del tutto incongruente che la legge privi dell'elettorato attivo e passivo le persone sottoposte a sorveglianza speciale di polizia in forza di apposito decreto del tribunale (tali, per esempio, gli indiziati di appartenere alla mafia o ad altre organizzazioni similari), ma le lasci del tutto libere di svolgere propaganda elettorale e quindi di esercitare una loro influenza sul terreno politico, circostanza questa che offre alle stesse persone ampi spazi di pressione, soprattutto nei piccoli centri del Mezzogiorno d'Italia, sugli orientamenti dell'elettorato. Poiché si tratta di persone riconosciute socialmente pericolose, è fin troppo evidente come, in ipotesi del genere - si pensi, soprattutto in certe zone, ai fiancheggiatori di gruppi mafiosi -, possano risultarne favoriti i perversi intrecci di interesse tra le medesime e gli uomini politici ad esse legati. È questo per l'appunto ciò che la proposta in esame vorrebbe evitare. Al delinquente sottoposto a sorveglianza speciale non interessa tanto di essere persona dentro le istituzioni elettive come comune, provincia, regione o Parlamento. Ha invece interesse che vi sia chi lo possa aiutare o agevolare nella realizzazione di interessi specifici e particolari e, più precisamente, nella realizzazione del malaffare. Introducendo il divieto di propaganda elettorale per il sorvegliato speciale e sanzionando nel contempo anche la condotta del candidato che si rivolge per la propaganda al sorvegliato speciale, si recide alle origini e in maniera concreta l'intreccio delinquenza, politica e malaffare, bonificando le istituzioni. Con il testo in esame si mira a fare in modo che il delinquente non possa procedere alla raccolta dei voti, perdendo così il suo potere contrattuale nei confronti del politico. Questi, a sua volta, non sarà più in alcun modo condizionato dal delinquente. Infatti, è nella fase elettorale che si stringono rapporti sulla base dei quali esponenti della criminalità organizzata offrono voti ai candidati in cambio di favori futuri che spesso attengono al campo degli affari pubblici e, in particolare, agli appalti. A questo proposito vorrei sottolineare che non ritengo sufficiente la normativa vigente per scongiurare tali rischi. L'articolo 416-ter del codice penale, infatti, punisce il cosiddetto voto di scambio solo nel caso in cui sia comprovato lo scambio di denaro tra il candidato e l'elettore. Proprio in ragione della difficoltà di provare tale scambio la predetta disposizione ha trovato finora una scarsa applicazione, mentre nella realtà si registra una stretta collusione tra politica e criminalità organizzata proprio nella fase elettorale. È quindi necessario adottare norme che impediscano ai candidati di affidarsi, per la loro campagna elettorale, ai pregiudicati che hanno il controllo del territorio e che ostentano la loro disponibilità in fase elettorale, perché sicuri della non punibilità " (cfr. resoconto stenografico della seduta della Camera del 24 febbraio 2010).
L'art. 10 della legge 575/1965 prevede una serie di sanzioni accessorie nei confronti del soggetto al quale sia stata applicata, con provvedimento definitivo, una misura di prevenzione.
L'art. 1 della legge 175/2010 aggiunge al citato art. 10 due nuovi commi.
L'art. 2 della legge 175/2010 disciplina gli effetti della condanna alla pena della reclusione per il delitto previsto dal nuovo comma 5-bis.2 dall’art. 10 della legge 575/1965. Ai sensi del comma 1, tale condanna - anche se conseguente all’applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 c.p.p. (c.d. patteggiamento) - comporta l’interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena detentiva. Nel caso in cui il condannato sia un membro del Parlamento, la Camera di appartenenza adotta le conseguenti determinazioni secondo le norme del proprio regolamento.
Il comma 2 stabilisce, al primo periodo, che dall’interdizione dai pubblici uffici consegue l’ineleggibilità del condannato per la stessa durata della pena detentiva.
La disposizione in questione ribadisce quanto previsto dall'art. 28 c.p., ai sensi del quale l'interdizione temporanea dai pubblici uffici priva il condannato, durante l'interdizione, del diritto di elettorato o di eleggibilità in qualsiasi comizio elettorale e di ogni altro diritto politico. Si ricorda inoltre che l'art. 2 del D.P.R. 20 marzo 1967, n. 223 stabilisce che non sono elettori (e dunque non possono essere eletti) coloro che sono sottoposti all'interdizione temporanea dai pubblici uffici, per tutto il tempo della sua durata. Per quanto riguarda le elezioni regionali e amministrative, l'art. 19 della legge 55/1990 e l'art. 58 del decreto legislativo 267/2000, prevedono la non candidabilità per coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per delitto non colposo.
Infine, il secondo periodo del comma 2 dell'art. 2 stabilisce che la sospensione condizionale della pena non ha effetto "ai fini dell’interdizione dai pubblici uffici".
A tal proposito, si ricorda che l'art. 166 c.p. prevede che la sospensione condizionale della pena si estende alle pene accessorie. Successivamente, con legge 15/1992 è stato modificato il comma 2 dell'art. 2 del D.P.R. 223/1967, per prevedere che, al contrario, la sospensione condizionale della pena non ha effetto "ai fini della privazione del diritto di elettorato". La disposizione in esame riproduce dunque la formulazione del suddetto art. 2, comma 2, del D.P.R. 223/1967, ampliandone però l'oggetto, in quanto essa si riferisce a tutti gli uffici pubblici e non solo al diritto di elettorato (che rappresenta solo uno degli uffici pubblici oggetto dell'interdizione di cui all'art. 28 c.p.).
Con l'entrata in vigore del Codice antimafia e delle misure di prevenzione (D.Lgs 159/2011), le disposizioni della legge 175/2010 sono confluite nel corpus del Codice. Il divieto di propaganda elettorale è ora sancito dall'art. 67, comma 7, del Codice, mentre le sanzioni previste per il reato sono contenute nell'art. 76, comma 8. Gli effetti della condanna per il divieto di propaganda elettorale sono, invece, oggetto dell'art. 76, comma 9, del Codice antimafia.