Il tema del c.d. falso in bilancio o, più correttamente, delle fattispecie penali riconducibili alle false comunicazioni sociali contenute nel libro del codice civile dedicato alle società, è stato affrontato dal Parlamento anche nella XVI legislatura. In particolare, alcune proposte di legge di iniziativa parlamentare presentate alla Camera sono state esaminate dalla Commissione giustizia, che ha approvato un testo unificato (A.C. 1777-A) il cui iter si è interrrotto prima dell'approvazione in Assemblea.
La disciplina degli illeciti societari contenuta nel codice civile (Titolo XI del Libro V del codice civile, recante Disposizioni penali in materia di società e di consorzi) è stata modificata due volte negli ultimi dieci anni; gli articoli relativi alle false comunicazioni sociali sono stati infatti prima integralmente riscritti dal decreto legislativo 61/2002 (attuativo della delega contenuta nella legge 366/2001), quindi novellati dalla cd. legge sul risparmio (legge 262/2005).
La disciplina sanzionatoria è attualmente imperniata sull'articolo 2621 del codice civile (rubricato “false comunicazioni sociali”), volto a salvaguardare la fiducia che deve poter essere riposta nella veridicità dei bilanci o delle comunicazioni dell'impresa organizzata in forma societaria.
La fattispecie, meno grave rispetto a quella prevista dal successivo art. 2622 c.c., punisce con l'arresto fino a due anni gli amministratori, i direttori generali, i sindaci, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili ed i liquidatori che nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali espongono fatti non veri ovvero omettono informazioni la cui comunicazione sia imposta dalla legge. Si tratta di un reato di natura contravvenzionale («…sono puniti con l'arresto fino a due anni»), di un reato di pericolo («…in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari…»), punito solo se commesso con dolo intenzionale («…con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto»).
La disposizione prevede poi alcuni casi di non punibilità del fatto:
In questi casi, peraltro, ai responsabili delle false comunicazioni sociali si applica comunque una sanzione amministrativa pecuniaria da 10 a 100 quote, oltre alla sanzione accessoria dell'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese da 6 mesi a 3 anni.
L'articolo 2622 del codice civile (rubricato “false comunicazioni sociali in danno ai soci e ai creditori”), mira a tutelare il patrimonio e dunque - pur riproponendo le condotte previste dall'articolo precedente e le corrispondenti ipotesi di non punibilità - sanziona con la reclusione da sei mesi a tre anni i responsabili delle false comunicazioni sociali, se la falsità provoca un danno patrimoniale per i soci, i creditori, o la società stessa. La fattispecie ha natura delittuosa ("reclusione") ed è costruita come reato di danno («…cagionano un danno patrimoniale ai soci o ai creditori…»).
La norma, peraltro, diversifica la pena e la procedibilità del reato per le seguenti tre ipotesi:
A chiusura del Capo dedicato alle falsità, l'art. 2625 c.c. prevede la fattispecie di impedito controllo, che contempla due distinti illeciti, uno di natura amministrativa, l'altro di natura penale.
L'illecito amministrativo è strutturato attraverso la condotta dell'impedire o, comunque, ostacolare l'esercizio delle funzioni di controllo attribuite dalla legge ai soci o agli organi sociali ed è sanzionato con la pena pecuniaria fino a 10.329 euro. L’illecito penale, di natura delittuosa («reclusione fino ad un anno»), scatta quando la condotta cagiona un danno ai soci. La pena è raddoppiata quando la fattispecie riguarda società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ai sensi dell’articolo 116 del Testo unico in materia di intermediazione finanziaria.
L'indebita restituzione dei conferimenti (art. 2626) è una fattispecie generale di salvaguardia dell'integrità del capitale che punisce la restituzione, anche simulata, dei conferimenti o la liberazione dei soci dall'obbligo di eseguirli, al di fuori, naturalmente, delle ipotesi di legittima riduzione del capitale sociale.
L'illegale ripartizione degli utili e delle riserve (art. 2627) è norma posta a tutela dell'integrità del capitale e delle riserve obbligatorie per legge attraverso una previsione contravvenzionale che appare strutturalmente dolosa. La norma prevede la clausola "Salvo che il fatto non costituisca più grave reato", in quanto l'illegale ripartizione di utili o riserve da parte degli amministratori può integrare un reato più grave (ad esempio, il delitto di appropriazione indebita, punita dall'art. 646 c.p. con la reclusione fino a tre anni e la multa).
L’art. 2628 c.c., relativo alle illecite operazione sulle azioni o quote sociali o della società controllante, punisce con la reclusione fino ad un anno gli amministratori che, fuori dei casi consentiti, acquistano azioni o quote cagionando una lesione all'integrità del capitale.
L’art. 2629 (operazioni in pregiudizio dei creditori) mira a tutelare l'integrità del patrimonio sociale e prevede una causa di estinzione del reato, consistente nel risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio. Il delitto procedibile a querela.
L’art. 2629-bis (introdotto dalla legge sul risparmio) contempla il delitto di omessa comunicazione del conflitto di interessi. Soggetti attivi del reato possono essere l’amministratore o il componente del consiglio di gestione di:
La condotta consiste nella violazione degli obblighi previsti dall’articolo 2391, primo comma, del codice civile, e dunque essenzialmente dell’obbligo di comunicare agli altri amministratori e al collegio sindacale ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, l’amministratore o il componente del consiglio di gestione abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l'origine e la portata; nonché dell’obbligo, per l’amministratore delegato, di astenersi dal compiere l'operazione, investendo della stessa l'organo collegiale. L’evento è dato dalla produzione di danni alla società o a terzi. La sanzione è fissata nella reclusione da uno a tre anni.
L'omessa esecuzione di denunce, comunicazioni o depositi (art. 2630) costituisce illecito amministrativo. Su questa disposizione è intervenuta la legge 180/2011 che ha dimezzato la sanzione amministrativa originariamente prevista per le omissioni (portando oggi la sanzione amministrativa pecuniaria da 103 a 1.032 euro) e stabilito l'ulteriore riduzione di un terzo della sanzione qualora i medesimi adempimenti vengano effettuati nel termine di 30 giorni dalla scadenza. Se si tratta di omesso deposito dei bilanci, la sanzione amministrativa pecuniaria è invece aumentata di un terzo. L'intervento dichiarato del legislatore è stato di «rendere più equo il sistema delle sanzioni cui sono sottoposte le imprese relativamente alle denunce, alle comunicazioni e ai depositi da effettuarsi presso il registro delle imprese tenuto dalle camere di commercio».
L’art. 2631 (omessa convocazione dell'assemblea), finalizzato alla tutela dei diritti delle minoranze nonché alla tutela del diritto all'informazione sull'integrità patrimoniale della società, sostituisce l'abrogato art. 2630, comma 2, n. 2) c.c. (la disposizione è stata trasformata in illecito amministrativo, ritenendo tale configurazione un sufficiente presidio per la tutela del generale regolare funzionamento delle società).
L’art. 2632 (formazione fittizia del capitale) costituisce la prima delle fattispecie di reato posta a tutela dell'effettività ed integrità del capitale sociale. Si tratta di una fattispecie delittuosa, procedibile d'ufficio, costruita come reato d'evento a condotta vincolata, punita con la reclusione fino ad un anno. Nel testo risultante dalle modifiche successivamente apportate dall’art. 111-quinquies disp. att. c.c. (inserito dall’art. 9 del d.lgs. n. 6 del 2003), l'evento costitutivo del delitto – la formazione o l'aumento di capitale – deve essere cagionato, per essere penalmente rilevante, da una delle tre condotte descritte dal legislatore, ossia: l’attribuzione di azioni o quote in misura complessivamente superiore all'ammontare del capitale sociale; la sottoscrizione reciproca di azioni o quote; la sopravvalutazione rilevante dei conferimenti dei beni in natura o di crediti ovvero del patrimonio della società nel caso di trasformazione.
L'indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori (art. 2633) (punita con la reclusione da sei mesi a tre anni) mira a tutelare i creditori in sede di liquidazione e va a sostituire l'abrogato art. 2625 c.c. Come per l'ipotesi precedente è stata introdotta la procedibilità a querela e la causa di estinzione del reato consistente nel risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio.
La fattispecie di infedeltà patrimoniale (art. 2634), punita con la reclusione da sei mesi a tre anni, riguarda la condotta degli amministratori, direttori generali e liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale. Anche in tal caso, si prevede la procedibilità a querela della persona offesa.
La c.d. legge anticorruzione (legge 190/2012) ha sostituito l'art. 2635 del codice civile, ora rubricato "corruzione tra privati". La disposizione punisce con la reclusione da uno a tre anni gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sè o per altri, compiendo od omettendo atti in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionano nocumento alla società. Le pene sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati ma il delitto è sempre procedibile a querela.
L'illecita influenza sull'assemblea (art. 2636) si perfeziona con la formazione irregolare di una maggioranza. La condotta deve esprimersi nel compimento di atti simulati o fraudolenti (e risulta così precisata rispetto all'abrogato art. 2630 1° comma n. 3 c.c., che utilizzava il concetto più generico di “mezzi illeciti”, sia pure specificando alcune forme tipiche di espedienti). Soggetto attivo non è più il solo amministratore ma chiunque. Il fatto è collegato all'esigenza che la condotta abbia determinato una maggioranza che altrimenti non si sarebbe formata, escludendo il rilievo dell'influenza non decisiva.
L’articolo 2637 accorpa le diverse fattispecie di aggiotaggio che viene configurato come reato comune e mira a tutelare l'economia pubblica ed in particolare il regolare funzionamento del mercato. Esso punisce con la reclusione da uno a cinque anni chiunque diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati o per i quali non è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato, ovvero ad incidere in modo significativo sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari.
Con riferimento all’ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (art. 2638), si è costruita una fattispecie a carattere generale alla quale poter ricondurre le diverse figure previste al di fuori del codice, sulla quale è successivamente intervenuta la cd. legge sul risparmio. I due commi prevedono fattispecie delittuose diverse per modalità di condotta e momento offensivo: la prima centrata sul falso commesso al fine di ostacolare le funzioni di vigilanza; la seconda sulla realizzazione intenzionale dell'evento di ostacolo attraverso qualsiasi condotta (attiva o omissiva). Si è ritenuto di prevedere la stessa pena (reclusione da due a quattro anni) per ambedue le ipotesi, attesa la sostanziale equivalenza fra la più grave condotta di falso, nella prima, e le condotte meno gravi, nella seconda, che però determinano l'ostacolo alle funzioni di vigilanza. La legge sul risparmio ha previsto il raddoppio della pena quando tali fattispecie riguardino società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ai sensi dell’articolo 116 del testo unico sull’intermediazione finanziaria 58/1998.
Infine, il codice civile tratta della figura dell'amministratore di fatto all'art. 2639, relativo all’estensione delle qualifiche soggettive. L'equiparazione, ai fini della responsabilità, collegata all'esercizio di fatto delle funzioni è circoscritto alla presenza degli elementi della continuità e della significatività rispetto ai poteri tipici della funzione. Il secondo comma, coerentemente all'abrogazione delle norme relative ai delitti commessi dagli amministratori giudiziali e dai commissari governativi, si ricollega ad una esigenza di razionalizzazione dell'intera materia, prevedendo espressamente ed in via generale che le disposizioni sanzionatorie relative agli amministratori si applichino anche ai soggetti che sono legalmente incaricati dall'autorità giudiziaria o dall'autorità pubblica di vigilanza di amministrare la società o i beni dalla stessa posseduti o gestiti per conto di terzi; ferma restando, ovviamente, la possibilità di applicare la disciplina dei reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione in tutti gli altri casi.
L'articolo 2640 prevede una circostanza attenuante dell'offesa di particolare tenuità applicabile a tutte le fattispecie di reato mentre l'art. 2641 introduce, anche per i reati societari, l'istituto della confisca obbligatoria in caso di condanna o di pena patteggiata ex art. 444.
La Commissione giustizia della Camera ha iniziato il 1° luglio 2009 l’esame di una proposta di legge (A.C. 1895, Di Pietro-Palomba) volta a modificare ampiamente il titolo XI del libro quinto del codice civile in tema di disciplina sanzionatoria delle false comunicazioni sociali e di altri illeciti societari. Solo il 1° febbraio 2012 è stata abbinata la proposta A.C. 1777 (Di Pietro), di contenuto più circoscritto, in quanto volta esclusivamente a novellare la disciplina delle false comunicazioni sociali.
Nell’ambito dell’esame delle proposte, la Commissione ha svolto un’attività conoscitiva che ha comportato l’audizione informale di rappresentanti dell´Associazione nazionale magistrati, di magistrati (Paolo De Angelis, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Cagliari; Francesco Greco, Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Milano; Renato Rordorf, Consigliere della Corte di Cassazione) e di esperti di diritto penale (Prof. Alberto Alessandri e Prof. Filippo Sgubbi).
Il 26 aprile 2012, dopo che i provvedimenti in esame sono stati inseriti nel calendario dei lavori dell'Assemblea in quota opposizione, su richiesta del gruppo IdV, la Commissione ha adottato l’A.C. 1777 come testo base. La Commissione Giustizia ha concluso l’esame del testo, accogliendo alcuni emendamenti, nella seduta del 23 maggio 2012.
Il provvedimento approvato dalla Commissione in sede referente è volto a modificare la disciplina delle false comunicazioni sociali contenuta nel codice civile (artt. 2621 e 2622) nonché a novellare la disciplina della responsabilità dei revisori dei conti, disciplinata dal d.lgs 39/2010.
In particolare, il provvedimento intende sanzionare con l'articolo 2621 c.c. le false comunicazioni sociali commesse nell'ambito di società non quotate, destinando il successivo articolo 2622 alle condotte di falsità commesse in società quotate o con azionariato diffuso. In sintesi, per quanto riguarda l'articolo 2621 c.c., l'AC 1777-A novella il primo comma, intervenendo esclusivamente sulla pena e prevedendo che le false comunicazioni sociali ai soci o al pubblico siano punite con la reclusione fino a tre anni. Le false comunicazioni sociali, attualmente concepite come reato di pericolo sanzionato in via contravvenzionale (arresto fino a due anni), tornano dunque ad essere un delitto.
Per quanto riguarda l'articolo 2622 c.c., il provvedimento:
Quanto alle circostanze aggravanti e attenuanti, il testo - dopo aver eliminato dall'art. 2622 c.c. l'aggravante per il "grave nocumento ai risparmiatori" - inserisce nel codice civile due nuovi articoli:
Il provvedimento approvato dalla Commissione giustizia interviene inoltre, per esigenze sistematiche, sull'articolo 27 del decreto legislativo n. 39/2010, dedicato alla falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni dei responsabili della revisione legale. La fattispecie penale viene novellata per adeguarla ai principi espressi dalla disciplina delle false comunicazioni sociali contenuta nel codice civile. in particolare, la sanzione dell'arresto fino a un anno è sostituita da quella della reclusione fino a quattro anni.
Il provvedimento, che l'Assemblea ha discusso nella seduta del 28 maggio 2012, non ha concluso l'iter.