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Il contrasto al fenomeno delle dimissioni in bianco

La pratica delle cd. dimissioni “in bianco” consiste nel far firmare le dimissioni al lavoratore (in bianco, appunto) al momento dell’assunzione e quindi nel momento in cui la posizione dello stesso lavoratore è più debole, pratica riguardante prevalentemente le donne lavoratrici.

Al fine di contrastare tale fenomeno, rendendo meno difficoltoso l’onere probatorio relativo alla nullità delle dimissioni volontarie, nel corso della XV Legislatura la L. 188/2007 aveva disposto che la validità della lettera di dimissioni volontarie, presentata dal “prestatore d'opera” (lavoratori subordinati e cd. “parasubordinati”) e volta a dichiarare l'intenzione del medesimo soggetto di recedere dal contratto di lavoro, fosse subordinata, fatte salve le disposizioni concernenti il recesso dal contratto di lavoro a tempo indeterminato e il rispetto dei termini di preavviso di cui all’articolo 2118 c.c., all’utilizzo, a pena di nullità, di appositi moduli predisposti e resi disponibili, gratuitamente, dagli uffici provinciali del lavoro e dagli uffici comunali.

Destinatari della norma erano tutti i datori di lavoro, pubblici e privati, e la nuova disciplina si applicava ai contratti di lavoro subordinato, indipendentemente dalle caratteristiche e dalla durata, ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, alle prestazioni occasionali di collaborazione, ai contratti di associazione in partecipazione nonché ai contratti di lavoro instaurati dalle cooperative con i propri soci.

I moduli avevano una validità temporale massima di quindici giorni dalla data di emissione ed erano realizzati secondo determinate specifiche tecniche.

 In seguito alle difficoltà (soprattutto di carattere burocratico) emerse in sede di applicazione della normativa (evidenziate soprattutto da parte delle imprese) nel corso della XVI Legislatura il legislatore ha provveduto ad abrogare, con l’articolo 39, comma 10, del D.L. 112/2008, la richiamata L. 188/2007.

Del tema si è quindi interessata, nuovamente, la XI Commissione (Lavoro) della Camera dei deputati, che ha avviato l'esame di alcune proposte di legge (C. 3409, C. 4958, C. 4967, C. 4988, C. 5094) senza peraltro pervenire all'adozione di un testo unificato. 

L'abrogazione della L. 188/2007 lasciava comunque impregiudicato l'impianto normativo a tutela dei lavoratori (e, in particolare) delle lavoratrici (ispirato alle medesime esigenze di tutela, sebbene solo in corrispondenza di specifici eventi, della L. 188/2007) di cui agli articoli 54-56 del D.Lgs. 151/2001 e all'articolo 35, comma 4, del D.Lgs. 198/2006.

L’articolo 54 del D.Lgs. 151/2001 dispone che le lavoratrici non possano essere licenziate dall'inizio del periodo di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino. Il divieto di licenziamento non si applica nel caso di colpa grave da parte della lavoratrice; di cessazione dell'attività dell'azienda cui essa è addetta; di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine; di esito negativo della prova. Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro, né essere collocata in mobilità a seguito di licenziamento collettivo salvo specifiche eccezioni.

L’articolo 55 prevede che in caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è previsto il divieto di licenziamento, la lavoratrice abbia diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento. Tale previsione riguarda anche padre lavoratore e si applica anche nel caso di adozione e di affidamento, entro un anno dall'ingresso del minore nel nucleo familiare. Il comma 4, in particolare, prevede che la richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, debba essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro competente per territorio, e costituisce condizione per la risoluzione del rapporto di lavoro. 

L’articolo 56, riconosce il diritto delle lavoratrici alla conservazione del posto di lavoro, nonché del rientro nella stessa unità produttiva in precedenza occupata o in altra ubicata nel medesimo comune, e di permanervi fino al compimento di un anno di età del bambino (o fino ad un anno dall’ingresso del minore adottatto o affidato nel nucleo familiare); hanno altresì diritto di essere adibite alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti, nonché di beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro, se avvenute.

L'articolo 35, comma 4, del D.Lgs. 198/2006, recante il Codice delle pari opportunita' tra uomo e donna, stabilisce la nullità delle dimissioni presentate dalla lavoratrice nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio, purché segua la celebrazione, ad un anno dopo la celebrazione stessa, salvo che siano dalla lavoratrice medesima confermate entro un mese alla Direzione provinciale del lavoro.

Sull’impianto del D.Lgs. 151/2001 il nuovo Governo (Monti) è intervenuto con l’articolo 4, commi 16-23, della L. 92/2012, che ha modificato la disciplina sulla preventiva convalida delle dimissioni presentate dalla lavoratrice (o dal lavoratore) in alcune circostanze, con l’obiettivo di rafforzare la tutela e meglio combattere la pratica delle dimissioni in bianco.

Più specificamente, la norma ha esteso ai primi 3 anni di vita del bambino (da uno) la durata del periodo in cui opera l’obbligo di convalida delle dimissioni volontarie, nonché ai primi 3 anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento (sempre da uno) la durata del periodo in cui opera l’obbligo di convalida delle dimissioni volontarie (specificando che in caso di adozione internazionale i tre anni decorrono dal momento della comunicazione della proposta di incontro con il minore adottando ovvero della comunicazione dell'invito a recarsi all'estero per ricevere la proposta di abbinamento).

Nei richiamati casi, l’istituto della convalida è esteso anche al caso di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, specificando che la stessa costituisce condizione sospensiva per l'efficacia della cessazione del rapporto di lavoro (la normativa previgente già la poneva come condizione, ma senza specificarne la natura sospensiva).

Inoltre, sono state previste modalità alternative di convalida(rispetto a quelle richiamate in precedenza), al rispetto delle quali viene subordinata l’efficacia delle dimissioni o della risoluzione consensuale del rapporto (convalida effettuata presso la Direzione territoriale del lavoro o il Centro per l’impiego territorialmente competenti, ovvero presso le sedi individuate dalla contrattazione collettiva, o, in alternativa, sottoscrizione di apposita dichiarazione apposta in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro di cui all’articolo 21 della L. 264/1949). Ulteriori modalità semplificate di accertamento della veridicità della data e della autenticità della dichiarazione del lavoratore, sono demandate ad un apposito decreto (che non risulta ancora essere stato pubblicato sulla G.U.).

Nel caso in cui non si proceda alla convalida o alla sottoscrizione, il rapporto di lavoro si intende risolto, per il verificarsi della condizione sospensiva, qualora la lavoratrice o il lavoratore non aderiscano, entro il termine di sette giorni dalla ricezione, all’invito a presentarsi presso la Direzione territoriale del lavoro o il Centro per l’impiego territorialmente competenti (ovvero presso le sedi individuate dalla contrattazione collettiva) ovvero all’invito ad apporre la predetta sottoscrizione (trasmesso dal datore di lavoro tramite comunicazione scritta) ovvero all’effettuazione della revoca.

La comunicazione contenente l’invito si considera validamente effettuata quando recapitata al domicilio della lavoratrice o del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o comunicato al datore di lavoro, ovvero consegnata alla lavoratrice o al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta.

Nel termine di sette giorni dalla ricezione (sovrapponibili al periodo di preavviso lavorato), la lavoratrice o il lavoratore hanno facoltà di revocare le dimissioni e la risoluzione consensuale, offrendo le proprie prestazioni al datore di lavoro. La revoca può essere comunicata in forma scritta. Il contratto di lavoro, se interrotto per effetto del recesso, torna ad avere corso normale dal giorno successivo alla comunicazione della revoca. Per il periodo intercorso tra il recesso e la revoca, qualora la prestazione lavorativa non si sia svolta, il prestatore non matura alcun diritto retributivo. Alla revoca del recesso consegue la cessazione di ogni effetto delle eventuali pattuizioni a esso connesse e l'obbligo in capo al lavoratore di restituire tutto quanto eventualmente percepito in forza di esse.

Le dimissioni sono inefficaci qualora, in mancanza della convalida ovvero della sottoscrizione, il datore di lavoro non trasmetta alla lavoratrice o al lavoratore la comunicazione contenente l’invito entro il termine di trenta giorni dalla data delle dimissioni e della risoluzione consensuale.

Infine, nelle ipotesi in cui il datore di lavoro abusi del foglio firmato in bianco dalla lavoratrice o dal lavoratore al fine di simularne le dimissioni o la risoluzione consensuale del rapporto, è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 ad euro 30.000, salvo che il fatto costituisca reato. L’accertamento e l’irrogazione della sanzione sono di competenza delle Direzioni territoriali del lavoro, con applicazione, in quanto compatibili, le disposizioni della L. 689/1981.