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Temi dell'attività Parlamentare

Intercettazioni

Nel corso della XVI legislatura il Parlamento ha lungamente esaminato un provvedimento volto a riformare l'istituto delle intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali. In particolare, l' A.C. 1415 è stato approvato in prima lettura dalla Camera e poi, con modifiche, dal Senato; nuovamente posto all'esame dell'Assemblea della Camera nel luglio 2010, il provvedimento non ha concluso il proprio iter.

La tutela costituzionale della libertà e segretezza delle comunicazioni

Nel nostro ordinamento il principio della libertà e segretezza di ogni forma di comunicazione è sancito all'art. 15, della Costituzione, che al comma 1 afferma che «la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili». La disposizione costituzionale, unitamente a quella di cui all'art. 14, comma 1, Cost. («Il domicilio è inviolabile») integra il disposto dell'art. 13, comma 1, Cost. («La libertà personale è inviolabile»), concorrendo in tal modo alla definizione del più generale principio della inviolabilità della persona umana.

La segretezza delle comunicazioni entra poi a far parte di una più ampia area di protezione dell'insieme di dati e notizie attinenti alla sfera di intimità personale e privata delle persone fisiche, delle formazioni sociali e delle persone giuridiche, riconducibile a quella coperta dal cosiddetto diritto alla riservatezza, cui viene generalmente riconosciuto rilievo costituzionale, variamente individuandone il fondamento negli articoli 2 e 3 ovvero nell'art. 15 citato (isolatamente o in connessione con l'art. 21, comma 8, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo) ovvero negli articoli 13, 14 e 15 della Costituzione nel loro combinato disposto con altre norme costituzionali.

La limitazione del principio della libertà ed inviolabilità delle diverse forme di comunicazione può avvenire - ai sensi dell'art. 15, comma 2, della Costituzione - soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge. Tale norma pone dunque a garanzia della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione:

  • sia una riserva di giurisdizione, attraverso l'espressa previsione che solo l'autorità giudiziaria (e non altri) può porre in essere atti limitativi della libertà in questione, riserva rinforzata peraltro dall'indicato obbligo per l'autorità giudiziaria di motivazione dell'atto limitativo emanato;
  • sia una riserva di legge («con le garanzie stabilite dalla legge»), cosicché, mentre, da un lato, nessuna fonte normativa di grado inferiore alla legge ordinaria può disciplinare la materia, dall'altro, è fatto obbligo al legislatore di disciplinare, a garanzia della libertà del cittadino, l'area del legittimo intervento limitativo dell'autorità giudiziaria.

La tutela dei principi sopra richiamati è affidata anzitutto alle norme che sanzionano penalmente i delitti di cognizione, rivelazione e divulgazione del contenuto della corrispondenza e di comunicazioni telefoniche, informatiche o telematiche ad opera di estranei (articoli da 615-bis a 623-bis del codice penale). Ma a parte la disciplina che opera sul piano amministrativo (si pensi ad esempio alle disposizioni sul corretto svolgimento del servizio postale, telefonico e telegrafico e a quelle in materia di tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni previste dal D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, Codice in materia di protezione dei dati personali), un’articolata tutela opera sul piano più strettamente processuale.

La disciplina delle intercettazioni nel diritto processuale penale
Presupposti e limiti di ammissibilità delle intercettazioni

Le intercettazioni sono un mezzo di ricerca della prova e consistono nell’acquisizione della cognizione di comunicazioni tra più persone; queste possono avere forma di telecomunicazioni riservate tra persone distanti (a mezzo telefono, via fax, mediante reti informatiche o telematiche o altri mezzi di trasmissione) ovvero consistere in comunicazioni (colloquio) tra persone presenti (cd. intercettazioni ambientali). Le comunicazioni o conversazioni sono generalmente captate, ad opera di terzi, mediante l’ascolto diretto e segreto attuato con l’ausilio di strumenti meccanici o elettronici idonei a superare le naturali capacità dei sensi. Le intercettazioni costituiscono una tipica attività che trova la sua naturale collocazione temporale nel corso delle indagini preliminari ed, all’interno del codice di rito penale, in quanto mezzo di ricerca della prova, negli articoli da 266 a 271 c.p.p., norme di chiusura del titolo III del libro III.

Investendo un diritto costituzionalmente protetto, il legislatore ha previsto che l’intercettazione, ammissibile entro specifici limiti, richieda due distinti procedimenti: uno finalizzato all’iniziativa, l’altro al controllo; il primo vede protagonista il pubblico ministero, l’altro il giudice delle indagini preliminari (GIP).

I presupposti dell’intercettazione sono indicati dall’art. 267 c.p.p, che dispone che l'autorizzazione per le operazioni è concessa dal G.I.P. con decreto motivato, su richiesta del P.M,. se ricorrono le due seguenti condizioni:

  • la presenza di gravi indizi di reato. Secondo giurisprudenza consolidata, i gravi "indizi di reato" (e non di reità) che costituiscono presupposto per il ricorso alle intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni, attengono all'esistenza dell'illecito penale e non alla colpevolezza di un determinato soggetto, sicchè per procedere legittimamente ad intercettazione non è necessario che tali indizi siano a carico di persona individuata o del soggetto le cui comunicazioni debbano essere captate a fine di indagine;  
  • l’assoluta indispensabilità delle intercettazioni per la prosecuzione delle indagini (non, quindi, la semplice utilità).

Il comma 1-bis dell’art. 267 opera un rinvio all’art. 203 c.p.p. per la valutazione dei gravi indizi di reato. Sarà quindi impossibile a tali fini, utilizzare le informazioni confidenziali riferite dalla polizia giudiziaria e dai servizi di sicurezza se gli informatori non abbiano reso testimonianza; dette informazioni sono parimenti inutilizzabili anche nelle fasi successive del dibattimento se gli informatori non siano stati interrogati né le loro dichiarazioni siano state assunte dalla polizia giudiziaria nei verbali di sommarie informazioni.

Un’autonoma ipotesi di ricorso alle intercettazioni è, poi, dettata dall’art. 295 c.p.p. (Verbale di vane ricerche), quando ciò sia necessario per agevolare la ricerca del latitante.

Se, nelle ipotesi ordinarie, è il GIP - quale organo garante delle libertà individuali - ad autorizzare le intercettazioni, nei casi di urgenza, il P.M. dispone direttamente l'intercettazione con decreto motivato, che va comunque convalidato dallo stesso GIP. L’urgenza, nello specifico, risiede nel possibile grave pregiudizio alle indagini che potrebbe derivare dal ritardo nell’intercettazione. Il PM comunica immediatamente e, in ogni caso, non oltre 24 ore, al GIP l’adozione del provvedimento; la convalida da parte del giudice deve comunque avvenire non oltre 48 ore (dal decreto del PM). Alla mancata convalida, consegue l’impossibilità di proseguire l’intercettazione e l’inutilizzabilità probatoria dei risultati ottenuti.

A tale disciplina autorizzatoria da parte del GIP non sono, invece, soggette le acquisizioni da parte del PM dei tabulati del traffico telefonico relativi ad una determinata utenza, che rendono conoscibili i dati esteriori della conversazione telefonica (autori della comunicazione, tempo e luogo della stessa). Dopo che la Cassazione aveva avallato una interpretazione difforme (Sezioni Unite, sentenza 13 luglio 1998, n. 21), la Corte costituzionale (sentenza 17 luglio 1998, n. 281) - confermando la sentenza 11 marzo 1993, n. 81 del 1993 - ha precisato che la disciplina di cui agli artt. 266 e 267 c.p.p. è modellata con esclusivo riferimento all’intercettazione di comunicazioni e non va estesa ad istituti diversi, come l’acquisizione a fini probatori di notizie riguardanti il mero fatto storico della avvenuta comunicazione telefonica”. Secondo la Consulta, “alla diversa forza invasiva dei due mezzi di prova, ragionevolmente corrispondono diversi livelli di garanzia”. Le intercettazioni del contenuto delle conversazioni infatti, notevolmente più intrusive della sfera di riservatezza e segretezza delle comunicazioni, richiedono l’autorizzazione del giudice; per l’acquisizione dei tabulati, di evidente minore incisività, sarebbe invece sufficiente e comunque rispettoso della guarentigia costituzionale il provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria, tra cui evidentemente va ricompreso anche il pubblico ministero (della stessa opinione, Cass., Sezioni Unite, 23 febbraio 2000, n. 6).. Analogamente, Cass., Sezioni Unite, sentenza 30 giugno 2000, n. 16 ha affermato che, anche se manca la previsione di un immediato controllo giurisdizionale del decreto motivato del PM che autorizza l’acquisizione dei tabulati telefonici, tuttavia il recupero di tale controllo, che attiene a un mezzo di ricerca della prova, avviene attraverso la rilevabilita', anche di ufficio, dell'eventuale relativa inutilizzabilita', in ogni stato e grado del procedimento, cosi' nelle indagini preliminari nel contesto incidentale relativo all'applicazione di una misura cautelare, come nell'udienza preliminare, ovvero nel dibattimento o nel giudizio di impugnazione”. Di recente, Cass., Sez. I, sentenza 26 settembre 2007, n. 46086 ha precisato che ai fini dell'acquisizione dei tabulati relativi al traffico telefonico, l'obbligo di motivazione del provvedimento acquisitivo (decreto del PM), stante il modesto livello di intrusione nella sfera di riservatezza delle persone, è soddisfatto anche con espressioni sintetiche, nelle quali si sottolinei la necessità dell'investigazione, in relazione al proseguimento delle indagini ovvero all'individuazione dei soggetti coinvolti nel reato, o si richiamino, con espressione indicativa della loro condivisione da parte dell'autorità giudiziaria, le ragioni esposte da quella di polizia. Oltre alle norme concernenti le intercettazioni in senso stretto (artt. 266 - 271 c.p.p.), per quanto concerne l’acquisizione dei tabulati telefonici assume sicuramente rilievo l'art. 256 c.p.p.(Dovere di esibizione e segreti), che pone una disciplina applicabile anche all'ente gestore del servizio pubblico della telefonia. La norma prevede in capo ai soggetti di cui agli artt. 200 e 201 c.p.p. (pubblici ufficiali, pubblici impiegati, incaricati di pubblico servizio, avvocati, investigatori privati, notai, ecc, comunque tenuti al segreto professionale e d’ufficio) l’obbligo di consegna immediata all’autorità giudiziaria richiedente degli atti e documenti in loro possesso per ragioni di ufficio (incarico, ministero, professione o arte) anche se coperti dal segreto professionale o d’ufficio.

L'art. 266 c.p.p. definisce i limiti oggettivi di ammissibilità delle intercettazioni, elencando tassativamente quali sono i reati per le quali è ammesso questo mezzo di ricerca della prova e distinguendo poi, l'«intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazioni» dalla «intercettazione di comunicazioni tra presenti». Le intercettazioni sono ammissibili nel corso delle indagini nei procedimenti relativi a specifiche categorie di reati, identificati in relazione all’entità della pena o per la particolare natura giuridica del bene protetto (primo comma). Si tratta dei seguenti reati:

a) delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 5 anni;

b) delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni;

c) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope;

d) delitti concernenti armi ed esplosivi;

e) delitti di contrabbando;

f) reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, abuso di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato, molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono;

f-bis), delitti previsti dall'articolo 600-ter, terzo comma, c.p. (divulgazione, distribuzione e pubblicizzazione anche per via telematica, di pornografia minorile - anche di natura “virtuale” ex art- 600-quater1 - o di notizie finalizzate alla pedofilia, fuori delle ipotesi di commercio di materiale pornografico minorile e di sfruttamento di minori a fini di esibizione pornografica o di produzione di materiale pornografico).

Per le intercettazioni tra persone presenti (cd. intercettazioni ambientali), ad esempio con l’uso di microspie, il secondo comma dell’art. 266 prevede un'ulteriore limitazione: nei luoghi indicati dall'art. 614 c.p. (domicilio o altro luogo di privata dimora) esse sono infatti consentite solo se vi è fondato motivo di ritenere che in tali luoghi si stia svolgendo l'attività criminosa. Una deroga a tale limite è stato introdotto in relazione ai delitti di criminalità organizzata e terrorismo (v. ultra). Le intercettazioni ambientali, secondo giurisprudenza costante, non violano in tali casi il limite dettato dall’art. 14 Cost. della inviolabilità del domicilio (primo comma), precetto che deve essere coordinato - al pari di quello di cui all'art. 15 Cost. sulla libertà e segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni - con l’interesse pubblico all’accertamento di gravi delitti tutelato dall'art. 112 Cost.

Con l’introduzione dell’art. 266-bis c.p.p. è sempre consentita anche l’intercettazione del flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici ogni volta che si proceda per uno dei reati elencati dall’art. 266 o per i reati commessi mediante l’impiego di tecnologie informatiche o telematiche.

Le deroghe per il contrasto della criminalità organizzata e del terrorismo

Alcuni provvedimenti in materia di lotta alla criminalità organizzata e di terrorismo hanno disposto un progressivo ampliamento delle ipotesi nelle quali è consentito il ricorso alle intercettazioni. In particolare, l'articolo 13 del D.L. 152/1991, nel testo risultante dalla legge di conversione (L. 203/1991), ha introdotto una deroga alla disciplina contenuta nell'art. 267 c.p.p., stabilendo sostanzialmente un allargamento delle possibilità di ricorso alle intercettazioni per indagini relative a delitti di criminalità organizzata o di minaccia con il mezzo del telefono. A seguito dell’intervento del D.L. 374/2001 (L. 438/2001) analoga deroga riguarda le intercettazioni per i reati di terrorismo e di assistenza, fuori del concorso, ad associati ad organizzazioni terroristiche, anche internazionali. In queste ipotesi, infatti, l'autorizzazione all’intercettazione è soggetta a limiti meno stringenti, potendo essere concessa:

    • quando sussistono "sufficienti indizi" di reato (anziché gravi indizi);
    • quando è "necessaria per lo svolgimento delle indagini"(anziché assolutamente indispensabile).

      Nelle stesse ipotesi le intercettazioni ambientali sono consentite nel domicilio o altro luogo di dimora privata anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi predetti si stia svolgendo l'attività criminosa. La relativa durata è di 40 giorni, prorogabile per periodi successivi di 20 giorni.

      Inoltre, il comma 3-bis all'art. 295 c.p.p., aggiunto dal decreto antimafia cd. Scotti Martelli (D.L. 306/1992, L. 356/1992) ed integrato dal citato D.L. 374/2001, ha dettato rilevanti modifiche alle disposizioni in tema di intercettazioni ambientali più recentemente novellate dalla legge 56/2006 . Alle possibili intercettazioni telefoniche o di altro strumento di telecomunicazione finalizzate alla ricerca del latitante ed autorizzate secondo le modalità ordinarie (artt. 266 e 267 c.p.p.), il comma 3-bis affianca la possibilità di intercettazioni tra presenti per agevolare le ricerche di latitanti per reati di criminalità organizzata e terrorismo.

      Sempre in relazione all'uso delle intercettazioni ambientali nelle indagini relative a reati di criminalità organizzata quale mezzo di ricerca della prova, il D.L. 306/1992, integrando l’art. 13 del D.L. 152/1991 (L. 203/1991), ha stabilito che l'intercettazione di comunicazioni tra presenti in un procedimento relativo a tali delitti che avvenga in luoghi di privata dimora è consentita anche se non vi è motivo di ritenere che in tali luoghi si stia svolgendo l'attività criminosa.

      Le videoregistrazioni

      Oltre alle intercettazioni di telecomunicazioni e quelle ambientali si è posto il problema, da un lato, di un possibile tertium genus di questo strumento di ricerca della prova consistente nelle videoregistrazioni in luogo di privata dimora e, quindi, nella loro eventuale assimilabilità alla disciplina codicistica delle intercettazioni ambientali; dall’altro, di un loro assoluto divieto ai sensi dell’art. 14 della Costituzione, non essendo ricomprese nelle ipotesi ivi previste (ispezioni, perquisizioni, ecc.) di deroga al principio dell’inviolabilità del domicilio.

      Va ricordata in merito la giurisprudenza della Corte costituzionale che, con la sentenza 24 aprile 2002, n. 135 ha affermato la non allineibilità della disciplina processuale delle riprese visive in luoghi di privata dimora a quella delle intercettazioni di comunicazioni tra presenti nei medesimi luoghi. La Corte, escludendo che le riprese visive in questione possano scontrarsi con un divieto assoluto di inviolabilità del domicilio ex art. 14 Cost. (le citate ipotesi di cui al secondo comma disciplinabili con legge non costituiscono un “numero chiuso”), ha distinto le riprese finalizzate alla captazione di comportamenti personali a carattere comunicativo (come i messaggi gestuali) da quelle aventi ad oggetto solo immagini prive di detto contenuto.

      Nel primo caso, le riprese sono assimilabili alle intercettazioni ambientali in luogo di privata dimora (si applica l’art. 266, comma 2, c.p.p.) ed è quindi necessaria l’autorizzazione del giudice delle indagini preliminari; nel secondo, la captazione di immagini configurerebbe una prova documentale non espressamente regolata dalla legge, fermo […] il limite della tutela della libertà domiciliare di cui all’art. 14 Cost. da valutarsi di volta in volta. Nel caso in cui si fuoriesca dalla videoripresa di comportamenti di tipo comunicativo non è possibile quindi estendere alla captazione di immagini in luoghi tutelati dall’art. 14 Cost. la normativa dettata dagli artt. 266 ess. c.p.p., data la sostanziale eterogeneità delle situazioni: in caso di videoregistrazioni a carattere comunicativo, la limitazione della libertà e segretezza delle comunicazioni; l’invasione della sfera della libertà domiciliare in quanto tale, negli altri casi.

      In conclusione la Corte rivolse un invito al legislatore ad intervenire, specie per l’ipotesi della videoregistrazione non avente carattere di intercettazione di comunicazioni, ferma restando, per l’importanza e la delicatezza degli interessi coinvolti, l’opportunità di un riesame complessivo della materia.

      Sul punto la Cassazione ha comunque maturato un proprio orientamento, consolidato nel tempo (cfr. Cass. Pen., S.U., 13 luglio 1998, n. 21) ed imperniato sull’interpretazione dell’art. 191 c.p.p. Secondo la S.C.. rientrano nella categoria delle prove sanzionate dall’inutilizzabilità, ai sensi dell’art. 191 c.p.p., non solo quelle oggettivamente vietate, ma anche quelle formate o acquisite in violazione dei diritti soggettivi tutelati in modo specifico dalla Costituzione, come nel caso degli art. 13, 14 e 15, in cui la prescrizione dell’inviolabilità attiene a situazioni fattuali di libertà assolute, di cui è consentita la limitazione solo nei casi e nei modi previsti dalla legge.

      I concetti di inutilizzabilità ed incostituzionalità relativamente alla prova penale si intrecciano sulla base dell’assunto che i divieti cui fa riferimento l’art. 191 c.p.p. non possono essere solamente quelli di natura processuale ma anche quelli rinvenibili comunque nell’ordinamento e, a maggior ragione, quelli derivanti da violazione di norme costituzionali

      Cass., Sez. I, Sent. n. 31389 del 10 luglio 2007 ha da ultimo affermato che le prove rappresentate dalle riprese videofilmate non appartengono al "genus" delle intercettazioni di comunicazioni o di conversazioni, ma a quello delle prove documentali non disciplinate dalla legge, con la conseguenza che ad esse non si applicano le limitazioni stabilite dalla disciplina di cui agli artt. 266 e seguenti cod.proc.pen., ma soltanto quelle derivanti dal rispetto della libertà morale della persona, che va verificato dal giudice, di volta in volta, con riferimento alla loro utilizzabilità.

      La durata e l'esecuzione delle intercettazioni. I limiti alla pubblicazione

      Per quel che riguarda gli aspetti esecutivi delle operazioni, il legislatore ha voluto che il decreto del PM indicasse le modalità dell’intercettazione (indicando, ad es., le utenze telefoniche da controllare) e la sua durata. Quest’ultima, in ogni caso non può essere superiore a 15 giorni, salvo motivata proroga con decreto del GIP per periodi successivi di 15 giorni, purchè permangano i requisiti richiesti ab origine (art. 267). Il codice non prevede un termine di durata massima delle intercettazioni, che possono essere quindi teoricamente disposte durante tutto il periodo di durata delle indagini preliminari (tale periodo, nelle ipotesi di cui all’art. 407 c.p.p., può essere anche di due anni).

      Ai sensi dell’art. 268 c.p.p. (Esecuzione delle operazioni), le intercettazioni - affidate direttamente al PM o ad ufficiali di polizia giudiziaria - sono registrate e di esse è redatto verbale, anche in forma sommaria, rispettando sempre le modalità esecutive di cui all’art. 89 disp. att. (Verbale e nastri registrati delle intercettazioni).

      Il verbale delle operazioni contiene l'indicazione degli estremi del decreto che ha disposto l'intercettazione, la descrizione delle modalità di registrazione, l'annotazione del giorno e dell'ora di inizio e di cessazione della intercettazione nonché i nominativi delle persone che hanno preso parte alle operazioni.

      I nastri contenenti le registrazioni, racchiusi in apposite custodie numerate e sigillate, sono collocati in un involucro sul quale sono indicati il numero delle registrazioni contenute, il numero dell'apparecchio controllato, i nomi, se possibile, delle persone le cui conversazioni sono state sottoposte ad ascolto e il numero che, con riferimento alla registrazione consentita, risulta dal registro delle intercettazioni previsto dall'articolo 267 comma 5 del codice.

      Il citato art. 268 scandisce le ulteriori fasi procedimentali con i necessari adempimenti a garanzia dell’acquisizione della prova e dei diritti della difesa.

      Così, i verbali delle intercettazioni delle conversazioni e dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche sono immediatamente trasmessi al PM e da questi depositati in segreteria entro 5 giorni dal termine delle operazioni (salvo il ritardato deposito, autorizzato dal GIP, non oltre la chiusura delle indagini preliminari, quando dal deposito possa derivare “grave pregiudizio” alle indagini).

      Effettuato il deposito, ne è data immediatamente comunicazione ai difensori che hanno facoltà di esaminare gli atti e di ascoltare le registrazioni entro il termine stabilito dal PM (salva proroga del giudice). Il mancato avviso aldifensore non determina, secondo la giurisprudenza (v. Cass., sez. V, 15 aprile 1998, n. 4408), l'inutilizzabilità delle intercettazioni, ma può tuttavia dar luogo a nullità di ordine generale ex. art. 178 lett. c) c.p.p., in quanto costituisce violazione del diritto di difesa.

      Dal momento del deposito cade il segreto sui verbali di intercettazione ai sensi dell'art. 329 c.p.p. (ex segreto istruttorio).

      L’art. 329 c.p.p. stabilisce l’obbligo del segreto investigativo (o d’indagine) stabilendo che gli atti d’indagine compiuti dal PM e della polizia giudiziaria non possano essere comunicati né all’indagato o al suo difensore, né, naturalmente, a terzi, fino a quando l'imputato (quindi, ex art. 61 c.p.p., anche l’indagato) non ne possa avere conoscenza e comunque non oltre la chiusura delle indagini preliminari (fissata, ex art. 405 c.p.p., dalla richiesta di azione penale o di archiviazione). In assenza di specifica previsione da parte della norma, sono tenuti al segreto oltre, ovviamente, il PM e gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria che hanno compiuto gli atti d’indagine, tutte le altre persone che ne siano a conoscenza. Sempre in base all'art. 329, il PM - in caso di necessità per la prosecuzione delle indagini - può comunque disporre con decreto motivato che il segreto si continui ad applicare anche oltre la chiusura delle indagini preliminari per singoli atti, quando l'imputato lo consenta o quando la conoscenza dell'atto possa ostacolare le indagini su altre persone. Il pubblico ministero può, inoltre, vietare la pubblicazione del contenuto di singoli atti o notizie relative a determinate operazioni, comprese le intercettazioni. Al contrario, lo stesso PM può, durante le indagini preliminari, consentire con decreto motivato la pubblicazione di uno o più atti (cd. desecretazione) quando ciò risulti necessario per la prosecuzione delle indagini (si pensi ad un identikit di un indiziato).

      Dall’obbligo del segreto sull’esistenza stessa dell’atto di indagine va tenuta distinta la disciplina della pubblicazione a mezzo stampa (o altre forme di comunicazione) delle intercettazioni ed altri atti di indagine. Si tratta di un tema di particolare delicatezza che investe diversi aspetti giuridicamente rilevanti: oltre al citato segreto investigativo, la libertà d’informazione e la tutela della riservatezza dei soggetti coinvolti nelle intercettazioni.

      L’art. 114 c.p.p consentendo la pubblicazione dei soli atti non coperti dal segreto (comma 7), delinea, peraltro, un sistema di limiti alla pubblicazione di atti (e immagini) del procedimento penale, la cui violazione è variamente sanzionata. La norma prevede anzitutto un diverso trattamento a seconda che oggetto della pubblicazione sia il documento nella sua originalità (atto-documento, ad es., i verbali delle intercettazioni) oppure il suo contenuto (cioè, l’evento documentato nell’atto, come i riassunti dei verbali). Così, l’art. 114, comma 1, per le intercettazioni e gli altri atti d’indagine, vieta ogni pubblicazione anche parziale o per riassunto, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto. La violazione del divieto integra:

      • l’illecito disciplinaredi cui all’art. 115 c.p.p., se commesso da pubblici impiegati o persone che esercitino una professione per la quale è necessaria una speciale abilitazione dello Stato; la categoria di persone così individuata comprende sia i giornalisti che i magistrati e la polizia giudiziaria come il personale degli uffici giudiziari, gli avvocati ecc.
      • la contravvenzione di cui all’art. 684 c.p. che punisce con l'arresto fino a trenta giorni o con l'ammenda da 51 a 258 euro chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa d'informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione.

      La sanzione disciplinare concorre con quella penale, salvo l’esclusività della prima in determinate ipotesi (ad es., nel caso di una successiva segretazione, da parte del PM o dal giudice, di intercettazioni già pubblicate). Gli atti non più “segreti” non sono invece pubblicabili (testualmente), neanche in parte, fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino alla chiusura dell’udienza preliminare (art. 114, comma 2). Come accennato, al contrario non è vietata la pubblicazione del contenuto di tali atti, ovvero il riassunto degli stessi.

      Una volta scaduto il termine per l'esame degli atti da parte dei difensori, parte l’apposito procedimento incidentale finalizzato alla cernita ed alla selezione del materiale probatorio nell’ambito di una apposita udienza camerale.

      Il giudice dispone, in contraddittorio, l'acquisizione delle conversazioni o delle comunicazioni informatiche o telematiche indicate dalle parti che non appaiano manifestamente irrilevanti, procedendo, anche d'ufficio, allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l’utilizzazione ex art. 271; alle operazioni di stralcio possono partecipare sia il PM che i difensori. Questi ultimi possono estrarre copia delle trascrizioni integrali delle registrazioni disposte dal giudice e possono far eseguire la loro trasposizione su nastro magnetico o supporto informatico o avere copia della stampa delle informazioni contenute nei flussi informatici o telematici intercettati.

      Le trascrizioni delle intercettazioni, depurate delle sue parti irrilevanti e inutilizzabili (v. ultra), in quanto espressive di atti per loro natura “irripetibili” sono inserite nel fascicolo del dibattimento di cui all’art. 431 c.p.p..

      In ossequio ai principi della legge delega del nuovo c.p.p. ((art. 2, n. 41, lett. e) è previsto, a fini di garanzia;

      • linutilizzabilità delle intercettazioni assunte in violazione delle norme del codice e di quelle provenienti da persone che godono del segreto professionale di cui all’art. 200 c.p.p. (con particolare riferimento alle previsioni dell’art. 103 c.p.p., che vieta le intercettazioni del difensore, dell’investigatore autorizzato e del consulente tecnico) (art. 271 c.p.p.);
      • il diritto della parte a chiedere al GIP la distruzione delle intercettazioni quando non siano più necessarie al procedimento (salvo costituiscano corpo del reato) (art. 269 c.p.p.).

      In ogni caso, regola generale è che una volta acquisiti, i verbali e le registrazioni delle intercettazioni (salvo l’accennata possibilità di distruzione) siano conservati integralmente presso il PM fino alla sentenza irrevocabile, salva la distruzione di atti non utilizzabili ex art. 271 (art. 269 c.p.p.). Il giudice, se dispone la distruzione del materiale, ne controlla l'operazione, della quale è redatto verbale. La decisione circa la distruzione deve essere adottata con rito camerale ex art. 127 c.p.p., anche quando la relativa richiesta provenga dal PM congiuntamente alla richiesta di archiviazione; il contraddittorio camerale di cui all'art. 127 si rende necessario proprio a garanzia del diritto alla riservatezza sul quale tali decisioni vanno comunque ad incidere.

      Ad analoghe finalità garantistiche rispondono altre due previsioni: la prima (art. 267, comma 5) sancisce l’obbligo per il PM, di annotare in ordine cronologico su apposito registro riservato i decreti di disposizione, autorizzazione, convalida o proroga delle intercettazioni, precisando, inoltre, la data di inizio e cessazione di ogni operazione; la seconda (art. 268, commi 3 e 3-bis) secondo cui le intercettazioni devono esser compiute utilizzando impianti in dotazione alle Procure delle Repubblica. Nei casi in cui siano necessari ulteriori mezzi tecnici o esistano eccezionali ragioni d’urgenza, il P.M., con decreto motivato, può disporre il compimento d’operazioni mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione della P.G.

      Quanto al profilo della utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali sono state autorizzate, in deroga alla disciplina generale dell’art. 238 (Verbali di prove di altri procedimenti), essa è consentita dall’art. 270 c.p.p. soltanto se tale utilizzabilità è indispensabile per l’accertamento dei più gravi delitti per i quali sia obbligatorio l’arresto in flagranza. Opportunamente, ad evitare una trasmissione parziale degli atti nel diverso procedimento, è stabilita la facoltà per il PM ed i difensori delle parti di esaminare l’intera documentazione inerente le intercettazioni, compresi le parti stralciate.

      Le intercettazioni preventive

      Pur ponendosi al di fuori della tematica processuale, va inoltre ricordata la possibilità di intercettazioni preventive di comunicazioni o conversazioni, comprese quelle ambientali. Infatti, l'art. 226 disp. att.c.p.p. (come sostituito dal più volte citato D.L. antiterrorismo n. 374/2001) consente intercettazioni preventive, anche per via telematica o ambientali (anche in abitazioni o altri luoghi di privata dimora) quando le stesse siano necessarie per acquisire le notizie concernenti la prevenzione dei gravi delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis (associazione mafiosa o finalizzata al traffico di stupefacenti, strage, sequestro di persona a scopo di estorsione, ecc.) e 407, comma 2, lett. a, n. 4 (terrorismo, anche internazionale) del codice di procedura penale. L’iniziativa delle intercettazioni è del Ministro dell’interno o di autorità da lui delegate, come il direttore della Direzione Investigativa Antimafia (solo per i delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis c.p.p.), i responsabili dei Servizi centrali dellaPolizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della Guardia di finanza, il questore o il comandante provinciale dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di finanza. Le operazioni sono autorizzate dal procuratore della Repubblica del distretto (in presenza di elementi investigativi o quando lo ritenga necessario) e non possono superare i 40 giorni, prorogabili per altri 20, sempre previa autorizzazione del PM. E’ redatto un verbale sintetico (delle operazioni svolte e del contenuto delle intercettazioni) che va depositato con i supporti delle registrazioni entro 5 gg dal termine delle operazioni presso il magistrato che ha autorizzato le operazioni; quest’ultimo provvederà immediatamente alla distruzione sia del verbale che dei supporti non appena verificata la regolarità delle operazioni. Gli elementi raccolti con le intercettazioni, utilizzabili a fini investigativi, sono comunque privi di valore nel processo; non sono, inoltre, menzionabili in atti d’indagine né essere oggetto di deposizione e divulgazione. Analoga disposizione, in relazione alle intercettazioni preventive sui delitti di cui all’art. 51 comma 3-bis, del codice di procedura penale è contenuta nell’art. 25-ter del D.L. 306/1992 (L. 356/1992).

      L'iter del disegno di legge di riforma delle intercettazioni

      Il Ministro della Giustizia Alfano ha presentato il disegno di legge di riforma delle intercettazioni A.C. 1415 all'inizio della XVI legislatura (30 giugno 2008). Nel corso dell'esame in Commissione è intervenuto sul disegno di legge anche un articolato parere del Consiglio superiore della magistratura (17 febbraio 2009).

      La Camera ha approvato il provvedimento nel giugno 2009 - dopo che il Governo, in Assemblea, ha presentato un emendamento interamente sostitutivo del testo approvato dalla Commissione, sul quale ha posto la questione di fiducia (sul contenuto dell'emendamento si veda il dossier del Servizio studi) - trasmettendo il disegno di legge al Senato (A.S. 1611, sul quale si veda il dossier del Servizio studi del Senato).

      Trascorso un ulteriore anno, nel giugno 2010 il Senato ha approvato il disegno di legge con modificazioni, rendendo necessario un ulteriore esame dell' A.C. 1415-B da parte della Camera. La Commissione Giustizia della Camera ha nuovamente ampiamente modificato il testo che giungeva dal Senato, sottoponendo all'esame dell'Assemblea l' A.C. 1415-C, composto da un articolo unico, del quale si dà di seguito conto. L'Assemblea di Montecitorio ha avviato la discussione generale sul provvedimento il 30 luglio 2010 per poi sospenderne nei fatti l'esame fino al 5 ottobre 2011 quando ha respinto due questioni pregiudiziali di costituzionalità avanzate dall'opposizione. Nella successiva seduta del 6 ottobre 2011 si è svolta la discussione sull'articolo unico della proposta di legge del quale la Camera non ha poi più ripreso l'esame.

      Il contenuto del disegno di legge A.C. 1415-C

      Si dà qui sinteticamente conto dell' A.C. 1415-C, approvato dalla Commissione Giustizia in sede referente il 17 giugno 2010.

      Limiti di ammissibilità delle intercettazioni

      La competenza a disporre le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, che attualmente appartiene al GIP, è attribuita dal disegno di legge al Tribunale distrettuale in composizione collegiale; a seguito di modifiche apportate dalla Commissione in sede referente, spetta invece al GIP (anziché al PM) l'autorizzazione all'acquisizione dei tabulati telefonici.

      L'ammissibilità delle intercettazioni viene estesa anche ai procedimenti per il reato di stalking.

      Così come nella normativa vigente, il giudice può disporre le intercettazioni in presenza di gravi indizi di reato e  quando le operazioni sono assolutamente indispensabili ai fini della prosecuzione delle indagini; al fine di rendere possibile l’uso di tale strumento di indagine nei procedimenti contro ignoti, il testo della Commissione prevede che le intercettazioni possano essere disposte anche su utenze in uso a soggetti diversi dagli indagati, quando sussistono concreti elementi per ritenere che tali utenze siano utilizzate per conversazioni o comunicazioni attinenti ai fatti per i quali si procede.

      Il testo della Commissione interviene anche sulla disciplina delle intercettazioni tra presenti (cd. «intercettazioni ambientali»), ampliando le ipotesi nelle quali si può procedere a tali operazioni in assenza del presupposto del fondato motivo di ritenere che nel luogo ove sono disposte si stia svolgendo l’attività criminosa.

      Il provvedimento delinea, infine, un "doppio binario", introducendo una disciplina differenziata dei presupposti per i reati di mafia e terrorismo (ai quali il testo della Commissione aggiunge ulteriori reati di particolare pericolosità sociale); per i procedimenti relativi a tali reati, l'autorizzazione a disporre le intercettazioni è data se vi sono sufficienti indizi di reato e le intercettazioni tra presenti (cd. «intercettazioni ambientali») possono essere disposte a prescindere dal presupposto di ordine generale sopra richiamato.

      La durata delle operazioni di intercettazione

      L' A.C. 1415-C, come il testo approvato dal Senato, prevede un periodo massimo di durata delle operazioni di intercettazione di trenta giorni, con tre possibili successive proroghe per periodi di quindici giorni (fino quindi a un limite massimo di 75 giorni), qualora permangano i presupposti per disporre le intercettazioni.

      Scaduto tale termine, è attribuita al PM la facoltà di richiedere proroghe ulteriori per periodi di 15 giorni, qualora le intercettazioni possano consentire l'acquisizione di elementi fondamentali per l'accertamento del reato per cui si procede.

      Per i delitti di particolare allarme sociale la durata massima delle operazioni è aumentata a quaranta giorni e può essere prorogata per periodi successivi di venti giorni, qualora permangano i presupposti per disporre le operazioni.

      I divieti di pubblicazione e le relative sanzioni

      Il testo del Senato (A.C. 1415-B) prevedeva un divieto assoluto di pubblicazione, anche parziale, per riassunto o nel contenuto, delle intercettazioni e dei dati riguardanti il traffico telefonico o telematico sino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero al termine dell'udienza preliminare. Il testo della Commissione (A.C. 1415-C), a seguito dell'approvazione di un emendamento del Governo, prevede che l’obbligo del segreto operi fino alla conclusione della “udienza stralcio”; tale udienza, da fissarsi entro 45 giorni dalla trasmissione degli atti dal PM al tribunale, è finalizzata all’acquisizione delle conversazioni che non appaiono manifestamente irrilevanti e allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l’utilizzazione.

      In ogni caso, è vietata la pubblicazione delle intercettazioni di cui sia stata ordinata la distruzione o riguardanti fatti, circostanze e persone estranee alle indagini.

      Il provvedimento introduce inoltre il divieto di pubblicazione e di diffusione dei nominativi e dell'immagine dei magistrati per procedimenti loro affidati, salvo che, ai fini dell'esercizio del diritto di cronaca, la rappresentazione dell'avvenimento non possa essere separata dall'immagine del magistrato ovvero nei casi in cui il giudice abbia autorizzato le riprese audiovisive dei dibattimenti.

      La violazione dei divieti di pubblicazione dà luogo a responsabilità penale e disciplinare.

      Con riferimento ai profili penali, il provvedimento:

      • prevede la reclusione da sei mesi a tre anni per la pubblicazione di intercettazioni di cui è stata ordinata la distruzione o riguardanti fatti, circostanze e persone estranee alle indagini;
      • aumenta la pena per il reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale (con un’aggravante se la pubblicazione riguarda intercettazioni) e reca un'analoga sanzione per la violazione del divieto di pubblicazione dei nominativi e dell’immagine dei magistrati.

      Con riferimento ai profili disciplinari, il disegno di legge prevede la sospensione cautelare dal servizio o dall'esercizio della professione fino a tre mesi; la sospensione è disposta da parte dell’organo titolare del potere disciplinare.

      Il testo della Commissione, infine, interviene sulla disciplina della responsabilità dell'editore conseguente alla violazione dei divieti di pubblicazione, in particolare circoscrivendo tale responsabilità, nel caso di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale, alle ipotesi di pubblicazione di intercettazioni ritenute irrilevanti dal PM o dal giudice e inserite nell'archivio riservato istituito dal disegno di legge.

      Le ulteriori disposizioni sanzionatorie

      L' A.C. 1415-C introduce le seguenti due nuove fattispecie di reato:

      • il reato di omesso controllo per impedire che altri soggetti indebitamente prendano conoscenza delle intercettazioni; tale reato, punito con l'ammenda, è applicabile ai procuratori generali e ai procuratori della repubblica cui sono attribuiti poteri di vigilanza e controllo, nonché al funzionario responsabile del servizio;
      • il reato di riprese e registrazioni fraudolente, punito con la reclusione fino a tre anni, consistente nella condotta di chi fraudolentemente effettua riprese o registrazioni di comunicazioni e conversazioni a cui partecipa, o comunque effettuate in sua presenza, e ne fa uso senza il consenso degli interessati.
      Astensione del giudice e sostituzione del PM

      Infine, il provvedimento aggiunge ai casi di astensione obbligatoria del giudice quello in cui lo stesso abbia rilasciato pubblicamente dichiarazioni relative al procedimento affidatogli; nel medesimo caso, prevede la sostituzione del P.M., contemplata anche nell’ipotesi in cui nei confronti del PM sia stata esercitata l'azione penale per il reato di illecita rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale in relazione al procedimento assegnatogli.

        Le spese per le intercettazioni

        Durante il complesso iter del disegno di legge di riforma delle intercettazioni, il tema dei costi delle operazioni di intercettazione è stato spesso posto al centro del dibattito politico.

        Secondo il cd. Rapporto Giarda (Elementi per una revisione della spesa pubblica - 8 maggio 2012, presentato dal Ministro per i Rapporti con il Parlamento al Consiglio dei ministri il 30 aprile 2012), la voce di spesa per intercettazioni, incide per oltre il 40% del totale delle cd. spese di giustizia. Al fine di conseguire l’obiettivo di razionalizzazione e risparmio di spesa per intercettazioni telefoniche è necessario procedere all’acquisizione in forma centralizzata e in modalità forfettaria di tali servizi, mentre anche il listino per le prestazioni obbligatorie necessita di una profonda ristrutturazione sempre in vista di una possibile forfetizzazione anche di tale voce di spesa. Nella Relazione al Parlamento sullo stato delle spese di giustizia (ex art. 37, co. 16, D.L. n. 98/2011 – doc. CCXLVII, n. 1, presentato il 28 giugno 2012) si osserva che, a fronte di una dotazione del bilancio 2011 del Ministero della giustizia, cap. 1363 (Spese per intercettazioni) pari a 249,8 milioni di euro, è stata sostenuta una spesa di circa 260 milioni di euro. Emerge quindi un debito di circa 10 milioni. Si tratta, tuttavia, di una spesa in diminuzione rispetto agli scorsi anni (in cui la spesa era tra i 285 e i 300 milioni di euro). Nel 2012, lo stanziamento sullo stesso capitolo di bilancio è di 239,8 milioni di euro, a fronte di una spesa presunta di circa 250 milioni. Nei primi quattro mesi del 2012 gli uffici giudiziari hanno, infatti, sostenuto una spesa per intercettazioni di circa 82 milioni di euro.

        In merito nel 2012 il legislatore ha approvato due provvedimenti:

        • decreto-legge 95/2012 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini), il cui art. 1, comma 26, demanda al Ministero della Giustizia l’adozione di misure volte alla razionalizzazione dei costi dei servizi di intercettazione telefonica, in modo da assicurare risparmi non inferiori a 25 milioni di euro per l’anno 2012 e a 40 milioni di euro a decorrere dall’anno 2013; la razionalizzazione – secondo la Relazione tecnica allegata al decreto (A.S. 3396) - prevede la centralizzazione e forfettizzazione della spesa per intercettazioni;
        • legge di stabilità 2013 (legge 228/2012), il cui art. 1, commi 22 e 23 interviene sull'art. 96 del D.Lgs. 259/2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche) per modificare la disciplina delle prestazioni obbligatorie per gli operatori quando venga fatta loro richiesta di intercettazioni e informazioni da parte delle competenti autorità giudiziarie (in merito si veda il Dossier sulla legge di stabilità 2013 del Servizio studi).

        Il ministro della giustizia Severino - nell'ambito degli obiettivi di riduzione della spesa - ha emanato il 25 febbraio 2013 una direttiva per la gara unica nazionale sulle intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali. La direttiva si è basata sulle conclusioni di uno specifico gruppo di lavoro istituito presso il ministero.

          Dossier pubblicati

            Servizio Biblioteca

            • Materiali di legislazione comparata, La disciplina delle intercettazioni, dossier n. 20 (luglio 2010)

            Servizio Studi