Cerca nel sito

dal 29/04/2008 - al 14/03/2013

Vai alla Legislatura corrente >>

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Fine contenuto

MENU DI NAVIGAZIONE DEL DOMINIO PARLAMENTO

INIZIO CONTENUTO

MENU DI NAVIGAZIONE DELLA SEZIONE

Salta il menu

Strumento di esplorazione della sezione Documenti Digitando almeno un carattere nel campo si ottengono uno o più risultati con relativo collegamento, il tempo di risposta dipende dal numero dei risultati trovati e dal processore e navigatore in uso.

salta l'esplora

Temi dell'attività Parlamentare

Cina - Scheda paese

Il quadro istituzionale

L’attuale Costituzione della Repubblica popolare cinese, adottata nel 1982 (le precedenti costituzioni sono quelle del 1954, del 1975 e del 1978), assegna il ruolo guida della società cinese al Partito comunista che compone, insieme ad altri otto partiti riconosciuti, la Conferenza consultiva politica del popolo cinese. A seguito delle riforme costituzionali del 1988, 1993 e 1999 tale ruolo guida convive con “un’economia socialista di mercato” e con il riconoscimento della proprietà privata.

La Costituzione formale descrive come supremo organo legislativo il Congresso generale del popolo, composto da 2.987 membri eletti indirettamente con un mandato di cinque anni dai congressi municipali, provinciali e regionali. Il presidente del Congresso generale del popolo, eletto dal Congresso stesso, esercita le funzioni di Capo dello Stato. Il congresso generale si riunisce per una sola sessione annuale. Quando non è in sessione gli affari correnti sono svolti dal Comitato permanente, eletto in seno al Congresso. Il Comitato esercita poteri di supervisione sul Consiglio di Stato, eletto anch’esso dal Congresso con compiti esecutivi (è, in sostanza il governo cinese, composto dal primo ministro, dai vice primi ministri e dai consiglieri di Stato). La Commissione militare centrale, anch’essa eletta dal Congresso generale, è invece il più alto organo militare dello Stato.

Secondo il rapporto 2013 di Freedom House, la Cina è uno “Stato non libero”, mentre il Democracy Index 2011 dell’Economist Intelligence Unit la definisce “regime autoritario”.

Nella costituzione materiale cinese, infatti, il principale centro di potere rimane il partito comunista cinese: tutti i livelli elettorali, tranne quelli relativi ai comitati di villaggio e dei piccoli centri urbani, dove si registra una maggiore concorrenzialità (in presenza però di organi dotati di scarso potere) vedono uno stretto controllo del partito, che designa i candidati e controlla il processo elettorale.

Per quel che concerne il concreto esercizio delle libertà politiche e civili, il grande sviluppo vissuto negli ultimi due decenni dalla società cinese e l’apertura all’esterno ha senza dubbio reso più difficile il controllo sociale da parte delle autorità, tuttavia fonti indipendenti confermano la presenza di realtà significative di repressione, alcune delle quali evolutesi alla luce della nuova situazione.

La libertà di stampa, nonostante la vivacità delle discussioni private e gli sforzi di singoli giornalisti di affrontare tematiche sensibili, come quelle legate alla corruzione o ai problemi ambientali, appare pregiudicata: in particolare le autorità governative consentono solo ai mezzi di comunicazione di massa di proprietà statale di “coprire” i principali eventi, previa intesa sulle immagini e i resoconti da mandare in onda. Le direttive del partito forniscono inoltre a tutti i giornalisti e operatori dei media linee-guida la cui violazione espone ad azioni legali e all’arresto. La Cina avrebbe anche elaborato tecnologie avanzate e pervasive di controllo dei siti Internet (la Cina ha il più alto numero di utenti Internet a livello globale: nel 2012 hanno toccato quota 564 milioni, con un aumento, nel solo ultimo anno, del 10%, grazie alla rapida diffusione di tablet e smartphone).

Anche le libertà di assemblea e di associazione appaiono sottoposte a severe restrizioni: in particolare, sono state stabilite misure per impedire ad eventuali manifestanti o sottoscrittori di petizioni antigovernative di raggiungere la capitale Pechino, misure che prevedono anche il ricorso da parte delle autorità locali alla detenzione illegale.

Dal punto di vista della libertà economica, il 2013 Economic Freedom Index della Heritage Foundation definisce la Cina, a dispetto delle riforme poste in essere negli ultimi decenni, “prevalentemente non libera”. Secondo il rapporto, le misure di liberalizzazione economica intraprese a partire dalla fine degli anni Settanta (e culminate nell’ingresso nel WTO nel 2001) appaiono infatti aver contribuito allo sviluppo di un robusto tessuto di medie imprese private e di imprese agricole (la proprietà della terra rimane formalmente dello Stato ma i privati possono scambiare affitti di lungo periodo). Tuttavia le grandi industrie e, soprattutto, il sistema creditizio-finanziario appare sotto il controllo statale (in particolare il credito risulterebbe allocato secondo criteri politici e non di efficienza economica). La tutela legale dei diritti di proprietà, compresa la proprietà intellettuale appare debole, così come permane una limitata libertà di movimenti valutari (la moneta cinese, come è noto, non è convertibile) e, nonostante l’apertura al mercato internazionale, permarrebbero significative restrizioni di tipo protezionista, attraverso il ricorso a barriere non tariffarie. Al tempo stesso il rapporto 2010 dell’organizzazione mondiale per il commercio (WTO), nel mostrare apprezzamento per gli sforzi compiuti dalla Cina nella liberalizzazione della propria economia, ha rilevato che la liberalizzazione nel settore dei servizi (in particolare quelli bancari-finanziari) non risulta completa, mentre le barriere non tariffarie e le politiche di sostegno alle “innovazioni tecnologiche interne” costituiscono ostacoli all’apertura commerciale (in particolare nel settore degli appalti pubblici). All’interno del WTO la Cina ha, fino al 2016, lo status di “economia non di mercato” che agevola l’adozione da parte degli altri Stati di misure anti-dumping (la Cina è destinataria del maggior numero di investigazioni anti-dumping in sede WTO).

La nuova leadership cinese

Il 2013 rappresenta per la Cina l’inizio di un periodo di piena transizione politica. Con il XVIII Congresso del Partito Comunista Cinese (svoltosi lo scorso novembre) si è infatti concluso il decennio di presidenza di Hu Jintao (succeduto a Jiang Zemin agli inizi del 2003).

L’avvicendamento dei vertici del partito (e quindi del governo) non ha riservato alcuna sorpresa. Com’era già stato indicato da tempo, a raccogliere le leve del comando è stato Xi Jinping (già vicepresidente, a partire dal 2011, della Repubblica e della Commissione militare centrale).

Chi è Xi Jinping

Nato nel 1953, come molti dei suoi colleghi nel Politburo è un cosiddetto “principino”: è infatti figlio di Xi Zhongxun, un eroe della Lunga Marcia e membro fondatore del Partito comunista cinese di cui fu vice presidente. Sebbene Xi inizialmente sia cresciuto nel comfort del Zhongnanhai, il quartiere dove risiedevano i leader del partito, durante la rivoluzione culturale, quando suo padre fu espulso da Mao Zedong, venne mandato nelle province povere nel nord-ovest dello Shaanxi per “imparare dalle masse”. Le difficoltà di quegli anni lo indussero a diventare “più rosso dei rossi” al fine di sopravvivere e ritagliarsi un ruolo nel paese. Si unì al Partito comunista nel 1974 e ne scalò velocemente la gerarchia divenendo segretario locale nell’Hebei, dal 1982 al 1985. Nel 1985 si trasferì nel Fujian, dove continuò a fare carriera fino a diventare governatore della provincia nel 2000. Nello Zhenjiang, dove si trasferì poco dopo per assumere la carica di governatore e capo del partito dal 2002 al marzo 2007, i notabili locali e gli intellettuali hanno affermato di aver avuto un periodo di rara e prolungata apertura durante il suo governo. Si formarono migliaia di nuovi gruppi – molti dei quali associazioni di uomini d’affari che rappresentavano le molte piccole industrie della regione. Candidati indipendenti poterono sedere negli organi politici locali. Il periodo di Xi in Zhenjiang dal 2002 al 2007 vide una rapida crescita dei gruppi non governativi, incluse le associazioni industriali e i sindacati, i quali contrattarono sui salari e mantennero le proteste lavorative al minimo. Le chiese cristiane clandestine operarono in relativa tranquillità, anche se, secondo le associazioni per i diritti umani, come Chinese Human Rights Defenders Network, negli anni di Xi in Zhenjiang non mancarono le persecuzioni di dissidenti, cristiani e attivisti sindacali e per i diritti umani. Dopo la caduta del segretario del partito di Shangai, Chen Liangyu, a causa di uno scandalo di corruzione, Xi fu nominato segretario nella città nel 2007. Solamente sei mesi dopo fu nominato al Comitato centrale del Politburo e informalmente scelto come successore di Hu Jintao. Nell’ottobre 2010, Xi venne nominato vice presidente della Commissione militare centrale, nomina che rafforzò ancora la sua posizione.

Contestualmente, è stato designato Primo Ministro Li Keqiang. Considerato un “cauto riformatore”, membro del Partito dagli inizi degli anni 70, ha studiato giurisprudenza all’Università di Pechino (il primo ateneo a riprendere l’insegnamento del diritto dopo la rivoluzione culturale). La sua ascesa politica iniziò nel 1983, quando entrò a far parte della Lega della gioventù comunista. Sostituirà Wen Jiabao dal prossimo mese di marzo.

Gli altri cinque membri del Comitato permanente designati sono:

Zangh Dejiang – Considerato di stampo conservatore, è stato designato come Vice Premier responsabile dei settori dell’energia e delle telecomunicazioni. Ha inoltre sostituito il decaduto Bo Xilai nella leadership del partito di Chongqing.

Yu Zhengsheng – Ingegnere, 67 anni, ha già ricoperto diversi ruoli istituzionali, come quello di Vice Ministro delle costruzioni. Nel 2007 ha sostituito Xi Jinping alla guida del partito di Shangai. Alla stregua di Xi, fa parte della generazione dei figli dei rivoluzionari.

Liu Yunshan – è considerato colui che da sempre cerca di controllare le fonti di informazione cinesi, dai media fino ad internet. Sarà infatti responsabile della propaganda per il Comitato centrale. 65 anni, ha lavorato per anni nella Mongolia interna come reporter, per poi entrare nelle file dell’apparato di propaganda del Partito Comunista.

Wang Qishan – 64 anni, è l’unico membro del nuovo Comitato centrale ad essere stato amministratore delegato di una società (la Construction China Bank). È considerato un esperto di finanza ed ha ricoperto la carica di sindaco di Pechino, quando ha sostituito il primo cittadino in carica dopo lo scandalo dello scoppio dell’epidemia di Sars nel 2003.

Zhang Gaoli – 66 anni, è considerato un riformista nel campo dell’economia. Ha iniziato la sua ascesa politica nel 1997 con la nomina a sindaco di Shenzen. Nel 2007 è stato inviato nella Città di Tianjin per rimettere in ordine l’amministrazione cittadina, colpita da un grave scandalo di corruzione.

Luci e ombre del "decennio d'oro"

Il decennio sotto la guida di Hu Jintao è stato di grande rilievo per la crescita economica del paese. Ma è stato allo stesso tempo un decennio di stagnazione dal punto di vista politico.

Negli ultimi dieci anni, l’economia cinese è cresciuta del 150%, attestandosi come seconda economia al mondo (obiettivo raggiunto nel 2011). Contestualmente, il PIL pro capite si è più che quintuplicato, passando da 1.135 a 6094 dollari l’anno (stima per l’anno 2012).

Nel 2003, per la prima volta un astronauta cinese è andato nello spazio (senza alcun aiuto internazionale). Nel 2006 è stata ultimata la costruzione della ferrovia che corre da Qinghai al Tibet, che è la più lunga del mondo.

Nel 2008 Pechino ha ospitato le Olimpiadi (anche se i Giochi sono stati una conquista del predecessore di Hu Jintao, Jiang Zemin).

Nel 2010 infine si è tenuto l’Expo a Shangai.

Nonostante questi importanti risultati conseguiti nell’ultimo decennio (già definito dai media cinesi “il decennio d’oro”), diversi analisti internazionali hanno sottolineato come durante questo periodo la dirigenza cinese abbia evitato di affrontare le pressanti questioni sociali e strutturali. L’ossessione per la stabilità, considerata fattore necessario per qualunque strategia di azione, ha portato il Presidente cinese a tacitare il dibattito sulle riforme politiche del sistema e sulla tutela dei diritti umani e delle libertà individuali. La scelta di Xi Jinping quale nuovo Presidente, considerato “rosso dentro e fuori”, non consente di sperare in alcun cambiamento radicale dal punto di vista politico.

La recente vicenda di Bo Xilai, ex capo del Partito comunista della megalopoli di Chongqing, ha poi dimostrato come non sia tollerata nemmeno la dissidenza interna al Partito. Bo Xilai, fino a poco tempo fa considerato come un astro nascente destinato a salire ai vertici del potere politico cinese, è stato espulso il 10 aprile 2012 dal Comitato centrale e messo sotto inchiesta dalla Commissione disciplinare del partito. È stato travolto da una serie di scandali (la morte sospetta di un uomo di britannico in affari con sua moglie Gu, il tentativo di fuga presso il consolato americano del suo ex braccio destro e capo della polizia di Chogqing, Wang Lijun) che hanno definitivamente segnato la sua carriera politica.

Dietro la vicenda di Bo Xilai, gli analisti internazionali hanno letto una manovra interna al partito per eliminare una presenza che stava divenendo alquanto scomoda.

In questo quadro, il frequente riferimento nel pensiero di Hu Jintao (rispetto al quale quello del suo successore non segnerà certo un punto di rottura) al “socialismo con caratteristiche cinesi”, non lascia intravedere la possibilità di riforme democratiche nel breve – medio periodo.

Nel suo discorso di fine mandato, il Presidente Hu Jintao ha racchiuso in dieci punti principali i risultati del lavoro svolto durante gli ultimi anni:

  • Lo stato delle politiche di riforma e apertura alla luce della crescita economica;
  • Il potenziamento dello sviluppo industriale ed agricolo;
  • La crescita qualitativa del livello di vita della popolazione;
  • Lo sviluppo di un sistema legislativo moderno ed in linea con la costruzione della democrazia popolare;
  • Lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica;
  • L’estensione dei fondamentali piani assicurativi e assistenziali;
  • La modernizzazione delle forze armate;
  • L’intensificazione della cooperazione politica ed economica con i territori ad amministrazione speciale al fine della loro reintegrazione;
  • La crescita della capacità diplomatica internazionale;
  • La centralità della concezione scientifica nello sviluppo del paradigma del Partito.

La nuova leadership cinese si trova a raccogliere un’importante eredità dalla generazione precedente.

La linea di governo del nuovo Presidente, Xi Jinping, non dovrebbe scostarsi molto da quella del suo predecessore.

Le sfide per il nuovo Presidente cinese

La strada tracciata è quella di una strategia globale che proietti la Cina in modo pacifico e sostenibile come punto di riferimento economico e politico internazionale.

Dopo l’impetuosa crescita economica degli ultimi decenni, quasi totalmente trainata dalle esportazioni e poco dal consumo interno, la strategia del nuovo governo sembra essere quella di trovare nuovi spunti per sostenere lo sviluppo. Come quello di agire sulla società e riequilibrare l’economia, trasformandola da un modello basato sulle esportazioni ad un modello di crescita trainato dalla domanda interna.

Alla nuova leadership toccherà il compito di trovare le ricette per invertire la tendenza negativa registrata nel 2012 a causa del rallentamento della produzione industrialee del contestuale rallentamento degli investimenti in beni immobili e nelle vendite al dettaglio (indicatori fondamentali per valutare lo stato di salute della domanda interna).

Nonostante questa flessione, l’interscambio tra la Cina e i paesi europei, tra cui l’Italia, continua a mantenersi di un volume consistente. In particolare, per quanto riguarda l' import-export Italia-Cina, verso il nostro paese la Cina esporta principalmente articoli di abbigliamento, mentre importa da noi perlopiù macchinari industriali.

Tra i temi principali dell’agenda di governo sono state incluse le modalità per garantire una crescita economica socialmente sostenibile e più inclusiva e la progressiva diminuzione del divario tra ricchi e poveri.

In questo frangente, la nuova leadership s’innesta nel solco già tracciato dalla precedente dirigenza, in sintonia anche con quanto già approvato dalla quinta sessione plenaria del XVII Comitato centrale del Partito comunista cinese riguardo le linee-guida del dodicesimo piano quinquennale (2011-2016). Tali linee sono state ispirate dal concetto di “crescita inclusiva” e di “integrazione dello sviluppo economico con il miglioramento della vita della popolazione”.

Rispetto al precedente piano di crescita economica, che poneva l’accento su temi quali la ricerca energetica e lo sviluppo delle infrastrutture, nell’ultima pianificazione si riscontrano aspetti orientati maggiormente verso il sociale, tra cui relazioni sindacali armoniose e crescita globale coordinata e sostenibile.

Nell’ultimo Congresso è stato poi stabilito l’obiettivo del raddoppiamento dell’attuale livello di PIL e di reddito dei cittadini entro il 2020.

Nonostante lo sviluppo di nuovi temi di discussione nel panorama della società cinese e la focalizzazione su nuovi obiettivi di crescita economica, la leadership che si appresta a guidare la Cina nel prossimo decennio terrà nel complesso una linea simile a quella della precedente, soprattutto, come evidenziato, dal punto di vista politico.

A parte una nuova incombenza per il neo – Presidente, ovvero l’imminente riforma della burocrazia cinese.

A marzo infatti dovrebbe prendere il via una importante riorganizzazione (la più grande dal 1998) della struttura amministrativa cinese. Uno degli obiettivi di Xi Jinping è quello di ridurre il ruolo delle imprese pubbliche per facilitare le forze di mercato. Verosimilmente ci sarà poi l’accorpamento di molte strutture governative e ministeri. Il ministero delle Ferrovie, che per decenni è riuscito a mantenersi separato da quello dei Trasporti, potrebbe essere abolito. Il ministero degli Affari Civili, del Lavoro e della Salute potrebbero essere fusi in un unico ente. Il ministero dell’Ambiente potrebbe allargare le sue competenze, in virtù dell’accresciuta importanza dei temi ambientali (tra cui il progressivo esaurimento delle risorse idriche) e di sviluppo sostenibile.

Il dimezzamento dei ministeri corrisponderà al dimezzamento della burocrazia cinese. Questa importante riforma costituirà il primo banco di prova per la leadership di Xi Jinping. Consentirà di misurare il livello della sua autorevolezza.

Al tempo della riforma apportata da Jiang Zemin la situazione era ben diversa: nel 1998 Pechino era in fermento per l’inefficienza del suo apparato statale, imprese pubbliche comprese. La crisi finanziaria asiatica aveva messo a dura prova il paese, mentre sull’altra sponda, gli Stati Uniti vivevano un momento assai favorevole. La rivoluzione delle imprese statali, che da strumenti di governo si trasformarono in vere e proprie aziende, lasciò sul campo milioni di lavoratori. Ma fu inevitabile per porre un freno allo spreco e all’inefficienza che rischiava di far precipitare la Cina.

Oggi, alle porte della nuova riforma burocratica, lo scenario non è più lo stesso. Gli Stati Uniti e il mondo occidentale in generale faticano ad uscire dalla crisi finanziaria esplosa nel 2008, mentre la Cina continua a far registrare dati economici importanti e costituisce una locomotiva per tutta l’Asia. Per questo il compito di Xi Jinping sarà arduo.

Le strategie in politica estera

Durante il suo mandato Hu Jintao ha spesso sottolineato i “Cinque principi di coesistenza pacifica” (rispetto reciproco della sovranità e dell’integrità territoriale; reciproca non – aggressione; reciproca non – interferenza negli affari interni; uguaglianza e beneficio reciproco; coesistenza pacifica) quali linee guida per la politica estera cinese.

Xi Jinping non potrà esimersi dal continuare sulle stesse direttrici tracciate dal suo predecessore: una proiezione della potenza economica cinese in maniera pacifica e sostenibile.

Dagli interventi tenuti in alcuni occasioni pubbliche (visita di Joe Biden a Pechino nell’agosto 2011, visita dello stesso Xi Jiping a Washington nel febbraio 2011), il neo Presidente cinese ha lasciato intendere la concordanza di pensiero e di vedute con la precedente gestione politica e di governo. Ovvero che non transigerà su quelli che sono stati definiti i core interest del Paese, come le questioni di Taiwan e del Tibet.

Nonostante la natura pacifica della politica estera cinese, la difesa è comunque un settore in continua evoluzione. Questo perché, secondo la teoria della leadership, una maggiore esposizione internazionale comporta l’aumento dei fattori di rischio per il paese, anche a livello interno. Sulla scorta di tali convinzioni, a partire dal 2001, la Cina ha destinato risorse crescenti al budget militare, che in soli dieci anni è aumentato del 214%, passando da 41 a quasi 130 miliardi di dollari.

Lo scorso settembre è ufficialmente entrata in servizio la prima portaerei cinese della storia (anche se non è di produzione interna, bensì si tratta di un’ex portaerei sovietica, acquistata dall’Ucraina nel 1998 e rimessa a nuovo dall’industria militare cinese).

Il piano di potenziamento della flotta rientra in quella necessità di controllo su un’ampia parte del Mar cinese meridionale, essenziale per il transito delle merci. Tale strategia espansiva ha provocato un contenzioso con il Vietnam (per le isole Paracel), con le Filippine e più recentemente con il Giappone, riguardo le isole Senkaku/Diaoyu, site nel Mar cinese orientale.

In merito alle isole contese, un importante dovere di Xi Jinping sarà quello di proseguire sulla strada del dialogo con Tawain, tracciata molto sapientemente da Hu Jintao. Gli sforzi dell’ormai ex Presidente cinese hanno consentito, secondo alcuni analisti, di gettare le basi per una possibile riunificazione.