La Repubblica sudafricana, in base alla Costituzione del 1997 che ha definitivamente chiuso l’esperienza dell’Apartheid, è una repubblica parlamentare, nella quale però il Capo dello Stato, eletto dall’Assemblea nazionale (Camera bassa del Parlamento cfr. infra) con un mandato di cinque anni, è anche Capo del governo. L’Assemblea nazionale può, a maggioranza assoluta dei suoi membri, sfiduciare il governo con esclusione del Presidente, costringendo quest’ultimo alla nomina di un nuovo governo, oppure sfiduciare il Presidente e il governo, costringendo entrambi alle dimissioni. La Costituzione prevede che il Presidente possa a sua volta sciogliere l’Assemblea nazionale se questa ha approvato una risoluzione per richiedere lo scioglimento e sono passati almeno tre anni dalle elezioni. Il Parlamento è composto da due camere: l’Assemblea nazionale è composta da un minimo di 350 ad un massimo di 400 membri eletti per cinque anni, in parte con sistema proporzionale sulla base di liste nazionali e in parte con sistema proporzionale sulla base di liste provinciali (in entrambi i casi si tratta di liste bloccate) e il Consiglio nazionale delle province, composto da novanta componenti, cioè dieci delegati per ciascuna delle province sudafricane (sei dei quali permanenti e quattro speciali, tra cui il primo ministro della provincia), eletti dalle assemblee provinciali all’inizio di ciascuna legislatura delle stesse in modo da garantire anche la rappresentanza delle opposizioni. Il processo legislativo prevede che i progetti di legge possano iniziare il loro iter indifferentemente in ciascuna delle due Camere, ad eccezione dei progetti di legge in materia finanziaria che devono iniziare il loro iter obbligatoriamente nell’Assemblea nazionale. Nel caso in cui una delle due Camere respinga un progetto di legge approvato dall’altra, viene creato un comitato di conciliazione incaricato di formulare un nuovo testo. I progetti di legge che investano la competenza delle province devono però essere esplicitamente approvati dal Consiglio nazionale delle province.
Per Freedom House, il Sudafrica è uno “Stato libero”, in possesso dello status di “democrazia elettorale”, mentre il Democracy Index 2010 dell’Economist Intelligence Unit lo definisce “democrazia difettosa” (cfr. infra “Indicatori internazionali sul Paese”). Per quel che concerne l’esercizio concreto delle libertà politiche e civili, le libertà di associazione, di riunione e di manifestazione del pensiero, nonché quella di stampa e religiosa appaiono tutelate nella pratica, mentre appaiono ancora insufficienti le misure adottate per combattere la corruzione, che risulterebbe, secondo osservatori indipendenti, pervasiva e diffusa.
L’attuale Presidente della Repubblica è Jacob Zuma (n. 1942), leader dell’African National Congress (ANC), eletto nel 2009.
Nelle elezioni parlamentari svoltesi nel medesimo anno, l’African National Congress si è confermato come partito predominante nella realtà politica sudafricana con 264 seggi, seguito dall’Alleanza democratica di Helen Zille con 67 seggi e dal Congresso del popolo di Musioa Lekota con 30 seggi.
L’ANC governa il Sudafrica ininterrottamente dal 1994, anno delle prime elezioni libere. Questa costante presenza ha generato nel tempo una sovrapposizione tra le istituzioni dello Stato e gli organi del partito, nel senso che molto spesso le linee politiche definite all’interno della formazione politica sono diventate le direttrici di governo.
L’ANC ha sempre avuto un orientamento socialista ed ha tessuto stretti rapporti con le organizzazioni sindacali del paese, come il COSATU (Congresso of South Africa Trade Unions, nonché con partiti quali il SACP (South Africa Communist Party) e per contro da questi ha subito una certa influenza. La cacciata del predecessore dell’attuale Presidente Zuma dalla guida del partito, Thabo Mbeki, è stata ricondotta alle pressioni da questi esercitate contro le politiche di stampo neo –liberista.
La leadership di Zuma è stata recentemente messa in discussione da Julius Malema, che guida la Youth League dell’ANC dal 2008. Quest’ultimo accusava infatti l’attuale presidente di poca incisività nel programma di governo e connivenza con i paesi occidentali. Malema si è fatto portatore di una corrente più populista e classista all’interno dell’ANC, in contrasto con le posizioni più riformiste e concilianti del leader e Capo del governo sudafricano. Tale contrapposizione è sfociata nelle dichiarazioni di Malema contro la ricandidatura di Zuma per le presidenziali del 2014.
Ma il congresso dell’ANC, svoltosi lo scorso dicembre a Bloemfontaine, sembra aver messo definitivamente fine ad ogni tentativo di cambio si leadership. Zuma infatti si è riconfermato alla guida del partito, ottenendo la maggioranza dei voti dei circa 4.500 delegati presenti. Ha sconfitto Kgalema Motlanthe, attuale Vicepresidente.
Grazie a questa riconferma, Zuma sarà il candidato Presidente dell’ANC anche alle elezioni del 2014.
Grazie al sostenuto tasso di crescita del PIL registrato tra il 2004 e il 2007 (quando ha toccato la punta del 5,1%) è stato incluso nel club (ideale) delle nuove potenze emergenti, identificato con l’acronimo BRICS. Nonostante questo importante riconoscimento da parte della comunità internazionale, il Sudafrica non è stato in grado di proseguire lo sviluppo economico ai livelli sui quali si era attestato in quegli anni. La crisi economica e finanziaria globale, scoppiata nel 2008, ha pesato in modo determinante sul rallentamento del paese. Solo nel biennio 2008/09, circa un milione di persone hanno perso il lavoro in Sudafrica (la gran parte delle quali erano impiegate nel settore manifatturiero). L’aumento del tasso di disoccupazione si è riflesso negativamente sullo sviluppo sociale (a quasi venti anni dalla transizione democratica ancora permangono differenze tra la condizione degli afrikaners, discendenti dei colonizzatori boeri, e il resto della popolazione) e sul livello di criminalità.
Le recenti difficoltà attraversate dal settore minerario, che rappresenta una delle locomotive dell’economia sudafricana, hanno inferto un duro colpo alla crescita del PIL (il tasso di crescita nel 2012 è stato del 2,6%).
Questo settore rappresenta circa il 6% di tutto il PIL sudafricano e dà lavoro a circa 500mila persone. Riveste dunque un’importanza fondamentale nel sistema sudafricano, non solo dal punto di vista economico ma anche da quello sociale.
Già la recessione del 2008/2009 aveva duramente colpito il settore. A causa di un significativo calo della domanda mondiale, i prezzi delle risorse minerarie avevano infatti subito un pesante ridimensionamento: il platino era calato del 56%, il carbone del 50% e i diamanti del 40%. Questo si era tradotto in una diminuzione del fatturato dell’industria estrattiva del 32% nel solo 2009.
Qualche anno dopo il settore ha dovuto fronteggiare nuovi problemi, questa volta non a causa della negativa congiuntura economica, ma per lo scoppio di tensioni sociali interne. Nell’agosto 2011, nella città di Marikana, le forze dell’ordine hanno ucciso trentaquattro minatori che protestavano contro le compagnie di estrazione per ottenere condizioni di lavoro più dignitose e stipendi più alti. La mano dura della polizia ha innescato la scintilla della protesta, che è esplosa in tutta la sua violenza il settembre successivo, con migliaia di minatori che hanno invaso le strade della città e molti altri che hanno proclamato lo sciopero. I manifestanti chiedevano l’aumento del salario di circa tre volte il valore corrente. Il braccio di ferro tra sindacati e compagnie di estrazione si è protratto per molto tempo (alcuni scioperi sono durati anche per sei settimane di seguito) ed è stato molto duro. Da una parte c’erano migliaia di posti di lavoro a rischio, dall’altra c’era il timore degli investitori di veder diminuire competitività e introiti a seguito degli aumenti salariali. Durante il periodo di agitazione, le maggiori imprese, come la Anglo American Platinum o la Platinum Belt o la Anglo Gold Ashnati (quest’ultima tra le più grandi attive nel settore dell’oro) hanno denunciato l’interruzione della loro attività a causa di scioperi che hanno coinvolto tra i 25mila e i 35mila lavoratori. I numerosi giorni di attività rallentata nel settore dell’estrazione del platino e dell’oro è costato al Sudafrica circa mezzo punto di PIL nel 2012. La centralità del comparto minerario è l’ovvia conseguenza dell’abbondanza di risorse di cui il paese dispone. Il sottosuolo sudafricano detiene l’80% delle riserve mondiali di platino e consente al paese di piazzarsi al quarto posto nella classifica mondiale dei produttori di oro. Il Presidente Zuma ha comunicato che nel solo settore del platino si sono registrate perdite per 4,5 miliardi di rand (pari a circa 380 milioni di euro).
Le agitazioni del settore minerario si sono sommate alle già pesanti difficoltà che in cui versa il mercato del lavoro in Sudafrica, afflitto da una disoccupazione cronica, che ormai interessa quasi il 25% della forza lavoro. Data questa situazione precaria, è salito a ben 15 milioni il numero di persone che oggi beneficiano di programmi assistenziali e forme di sussidi.
Questo tasso di disoccupazione (uno dei più alti tra i paesi sviluppati) ha contribuito a mantenere quel divario sociale che fatica a richiudersi sin dalla fine dell’apartheid (nonostante l’implementazione di politiche come la Black Economic Empowerment) e un significativo aumento della criminalità.
Lo sviluppo economico sudafricano è stato frenato, in questi ultimi anni, anche dal mancato ammodernamento delle sue infrastrutture, in particolare quelle energetiche.
Il Sudafrica vanta uno dei costi più bassi al mondo dell’energia elettrica, circa 42 centesimi di rand (0,035 euro) per kilowatt ora. Questo prezzo viene ulteriormente scontato per i paesi verso cui il Sudafrica esporta elettricità, come Mozambico, Namibia, Swaziland, Lesotho, Botzwana e Zambia. La fornitura di elettricità in questo caso funge anche da “stabilizzatore sociale”, ovvero per favorire condizioni di vita dignitose agli abitanti dei paesi confinanti e in tal modo evitare che masse di profughi in cerca di una migliore qualità della vita si riversino in Sudafrica.
Ma questa politica si è rivelata un’arma a doppio taglio. Soprattutto perché nel corso degli anni ha reso estremamente esegui i profitti per la società monopolista Eskom e poco appetibile il mercato per nuovi investimenti di capitale.
La mancanza di utili ha reso impossibili i necessari interventi per l’ammodernamento e il potenziamento delle strutture di produzione e ben presto il paese si è trovato a dover fronteggiare una domanda (cresciuta soprattutto grazie allo sviluppo economico interno) maggiore dell’offerta.
Tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008 il Sudafrica ha attraversato un periodo di continui black out elettrici, causati dall’insufficienza di energia prodotta. Cittadini ed imprese sono rimasti al buio con cadenza regolare. Anche le imprese di estrazione dei minerali, importante costola dell’economia sudafricana, sono state costrette a rallentare la propria attività a causa dell’impossibilità di garantire una continua ventilazione ai lavoratori che operavano sotto terra.
Il dibattito interno si è sviluppato lungo due idee principali, trovare fonti di produzione alternative (in questo momento la risorsa maggiormente utilizzata è il carbone) o diminuire la quantità di energia esportata e dirottarla verso il mercato interno.
Il periodo tra il 2007 e il 2009 è stato di recessione per il Sudafrica anche nel settore del commercio internazionale, sia sul fronte delle importazioni sia su quello delle esportazioni. Per quanto riguarda l’interscambio commerciale con l’Italia, le statistiche del biennio in questione mostrano una pesante flessione del volume di importazioni e una diminuzione più contenuta di quello delle esportazioni. L’interscambio del 2012 si è attestato intorno ai 3,3 miliardi di euro, con il Sudafrica che ha importato dall’Italia principalmente macchinari industriali, mentre vi ha esportato perlopiù metalli preziosi e altri metalli non ferrosi.
Il Sudafrica ha ospitato nel 2010 i Mondiali di calcio. Questo ha consentito una notevole attrazione di investimenti e di turismo, che hanno fatto da volano per l’economia del paese. Il governo ha investito importanti risorse per il potenziamento delle infrastrutture necessarie, come gli stadi e le aree circostanti con insediamenti commerciali e ricreativi. Tali risorse sono state utilizzate anche per migliorare la rete stradale, ferroviaria e per l’ammodernamento degli aeroporti.
In vista di un aumento del flusso turistico (che nel 2009, alla soglia dei Mondiali di calcio, contava già 9 milioni di utenti), sono state poi migliorate le strutture ricettive (come alberghi o alloggi nelle riserve naturali) con la creazione di circa 200mila nuovi posti. In quel periodo, anche il mercato immobiliare ha beneficiato dell’effetto mondiali: i prezzi delle case sono infatti saliti mediamente del 20%.
Secondo il rapporto recentemente pubblicato (dal ministero dello sport del Sudafrica) 2010 FIFA World Cup Country Report, il governo sudafricano ha speso in totale circa 3 miliardi di dollari per l’evento, di cui 1,1 per la costruzione e l’ammodernamento degli stadi e 1,3 per interventi su strade, ferrovie ed aeroporti.
Secondo uno studio della compagnia di analisi finanziarie Grant Thornton (citato nel documento), lo svolgimento dei mondiali di calcio ha significato e significherà durante gli anni a venire (data la proiezione di medio – lungo periodo) per l’economia sudafricana una spinta da 6 miliardi di dollari. Oltre il valore economico, c’è anche quello sociale: come riportato nel documento, “la Coppa del mondo ha lasciato un’eredità intangibile di orgoglio ed unità tra la popolazione ed ha cambiato l’immagine di un paese fino ad allora considerato sottosviluppato, soffocato dal crimine e pericoloso”.
Una delle poche stime certe fornite dal governo nel report è che l’introito generato dal flusso turistico, di circa 300mila durante il periodo di svolgimento dei mondiali, è stato di oltre 400 milioni di dollari.