Cerca nel sito

dal 29/04/2008 - al 14/03/2013

Vai alla Legislatura corrente >>

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Fine contenuto

MENU DI NAVIGAZIONE DEL DOMINIO PARLAMENTO

INIZIO CONTENUTO

MENU DI NAVIGAZIONE DELLA SEZIONE

Salta il menu

Strumento di esplorazione della sezione Documenti Digitando almeno un carattere nel campo si ottengono uno o più risultati con relativo collegamento, il tempo di risposta dipende dal numero dei risultati trovati e dal processore e navigatore in uso.

salta l'esplora

Temi dell'attività Parlamentare

La riforma delle professioni: dalla legge al regolamento di delegificazione

Riforma degli ordinamenti professionali: i principi ispiratori nel decreto-legge 138/2011

A partire dall’estate 2011, con i provvedimenti d’urgenza legati alla crisi economico-finanziaria, il Governo ha affrontato il tema delle professioni in un’ottica di liberalizzazione e valorizzazione della concorrenza. Già nel gennaio del 2009, infatti, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato aveva concluso una indagine conoscitiva su diversi ordini professionali, rilevando una certa resistenza da parte dei medesimi all’attuazione dei principi concorrenziali in materia di servizi professionali contenuti nella “riforma Bersani” (decreto-legge 223/2006, convertito dalla legge 248/2006). L’Autorità antitrust in particolare si soffermava sul mancato adeguamento dei codici deontologici a tali principi, sulla questione dell’abolizione dei minimi tariffari, sui temi dell’accesso alle professioni e della formazione dei professionisti, sulla costituzione di società multidisciplinari.

 Dopo che con l'articolo 29 del decreto legge n. 98/2011 il Governo aveva provato a delineare un primo percorso di riforma (in particolare attraverso l’istituzione di un’AltaCommissione per la formulazione di proposte in materia di liberalizzazione dei servizi e successiva elaborazione da parte del Governo di progetti da sottoporre alle categorie interessate) è con il decreto-legge n. 138 del 2011 che il legislatore detta una disciplina che, ispirandosi esplicitamente ai principi di libera concorrenza, delinea il perimetro di una riforma delle professioni regolamentate.

Il decreto-legge 138/2011, all’articolo 3, comma 5, ha introdotto disposizioni volte a favorire la liberalizzazione del settore delle professioni che, ispirandosi esplicitamente ai principi di libera concorrenza, delineano il perimetro di un percorso di riforma.

In generale si prevede, fermo restando l'esame di Stato per l'accesso alle professioni regolamentate, che gli ordinamenti professionali debbano garantire che l'esercizio dell'attività risponda senza eccezioni ai principi di libera concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, alla differenziazione e pluralità di offerta che garantisca l'effettiva possibilità di scelta degli utenti nell'ambito della più ampia informazione relativamente ai servizi offerti. Gli stessi ordinamenti professionali sono chiamati ad autoriformarsi («su base volontaria»), procedendo alla riduzione e all’accorpamento tra professioni che svolgono attività similari.

L'art. 3, comma 5, più in particolare, dettava una serie di principi cui avrebbe dovuto essere ispirata la riforma degli ordinamenti professionali (da attuare entro 12 mesi dall’entrata in vigore del decreto-legge) ovvero:

 a)  libertà di accesso alla professione e, conseguentemente, possibilità per la legge di istituire "numeri chiusi" (ovvero limitazioni territoriali del numero di persone abilitate ad esercitare una certa professione) solo in presenza di ragioni di interesse pubblico (tra le quali in particolare quelle connesse alla tutela della salute); divieto di discriminare in base alla nazionalità o – in caso di esercizio della professione in forma societaria – alla sede della società;

 b)  obbligo per il professionista di seguire percorsi di formazione continua permanente, disciplinati da appositi regolamenti dei consigli nazionali, pena l’incorrere in illeciti disciplinari;

c)  adeguamento del tirocinio all'esigenza di garantire lo svolgimento effettivo dell'attività formativa ed il suo costante adeguamento alle esigenze di miglior esercizio della professione;

d) la pattuizione del compenso del professionista per iscritto al momento del conferimento dell'incarico;

 e)  obbligo, per il professionista, di stipulare idonea assicurazione a tutela del cliente, per i rischi professionali e di comunicare a quest’ultimo gli estremi della polizza e il relativo massimale;

 f)    previsione di organismi disciplinari a livello territoriale ed a livello nazionale separati dagli organi con funzioni amministrative. Divieto di ricoprire contemporaneamente cariche nei consigli disciplinari e nei consigli dell’ordine (incompatibilità). Previsione di una deroga per le professioni sanitarie;

 g)  libertà di pubblicità informativa sulla specializzazione professionale, struttura dello studio e compensi richiesti per le prestazioni.

Il testo originario del decreto legge n. 138/2011 (anche a seguito della conversione) non faceva riferimento ad una delegificazione. La disposizione si limitava a stabilire un obbligo di riforma degli ordinamenti professionali, da realizzare nel rispetto di una serie di principi ed entro un termine ordinatorio di 12 mesi. Peraltro, essendo la regolamentazione degli ordini professionali contenuta prevalentemente in atti normativi aventi rango legislativo, l’articolo 3, comma 5, del decreto-legge non era destinato a produrre alcun effetto immediato. Pertanto, la disposizione presentava un carattere programmatico, volto a orientare il futuro legislatore.

La legge di stabilità 2012 (L. 183/2012) e la delegificazione

Sul quadro normativo delineato dal D.L. 138/2011 si è inserito l'art. 10 della legge di stabilità 2012 (legge 183/2011) che, novellando l’art. 3 del decreto-legge 138, disponeva che i principi ivi contenuti dovessero orientare il governo nell'opera di delegificazione degli ordinamenti professionali.

Il termine ultimo per il completamento della delegificazione - poi realizzata con il DPR 7 agosto 2012, n. 137 - era stabilito al 13 agosto 2012 e, dall’entrata in vigore del regolamento governativo di delegificazione - e, in ogni caso (vale a dire anche in assenza del regolamento) dal 13 agosto 2012 – sarebbe intervenuta l'abrogazione delle «norme vigenti sugli ordinamenti professionali» in contrasto con i suddetti principi (art. 3, comma 5-bis).

La legge di stabilità 2012 aveva previsto che entro il 31 dicembre 2012 il Governo dovesse altresì provvedere a raccogliere in un testo unico compilativo le disposizioni aventi forza di legge che non risultassero abrogate per effetto dell’entrata in vigore del regolamento di delegificazione, ovvero per lo spirare del termine del 13 agosto 2012 (art. 3, comma 5-ter). Il testo unico non è stato ancora emanato. L'art. 10 consentiva, inoltre, la costituzione di societa' tra professionisti del sistema ordinistico secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile (sono ammesse, quindi, anche le società di capitali).

Il tema della compatibilità con il sistema costituzionale dell’istituto della “delegificazione” in una materia (le professioni) ampiamente disciplinata dal legislatore e di competenza legislativa concorrente in base all’art. 117, terzo comma, della Costituzione è stato affrontato dalla dottrina e considerato dalle categorie professionali. Di tale dibattito mostra di essere consapevole il Governo che, nella relazione illustrativa dell'allora schema di regolamento di delegificazione, affrontava alcune delle principali questioni.

In particolare, le perplessità dei commentatori si sono incentrate sui seguenti aspetti:

L’articolo 117, terzo comma, della Costituzione inserisce le professioni tra le materie di legislazione concorrente. La Corte costituzionale ha riconosciuto che sui profili ordinamentali, che non hanno uno specifico collegamento con la realtà regionale (da cui la Corte fa derivare la natura concorrente), si giustifica una uniforme regolamentazione sul piano nazionale. Ciò però vale a legittimare una disciplina legislativa statale e non necessariamente un regolamento statale, in quanto l’articolo 117, sesto comma, della Costituzione, stabilisce che «La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materia di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia». La Corte costituzionale, nella sentenza n. 52 del 2010 (e ancor prima nella sentenza n. 200 del 2009) ha affermato che il sesto comma dell’art. 117 della Costituzione attribuisce allo Stato la potestà regolamentare – senza alcuna limitazione connessa alla tipologia dei regolamenti – nelle materie che la stessa Costituzione attribuisce alla esclusiva potestà legislativa statale. Dunque, il fatto che si tratti di un regolamento di delegificazione non dovrebbe avere alcun rilievo particolare. Su questo punto la relazione illustrativa dell'allora schema di regolamento afferma che la disposizione che autorizza la delegificazione va letta nel contesto dell’intero provvedimento d’urgenza che la contiene, volto ad incentivare lo sviluppo economico del Paese attraverso l’affermazione di principi di liberalizzazione e di piena tutela della concorrenza. Vista in quest’ottica, la delegificazione degli ordinamenti professionali andrebbe ascritta alla materia tutela della concorrenza, attribuita dalla Costituzione alla potestà legislativa esclusiva dello Stato: «La materia della professioni viene dunque presa in esame, nel più ampio quadro delle attività che costituiscono esplicazione dell’autonomia economica privata, quale settore, la cui liberalizzazione mira indirettamente alla tutela della concorrenza, espressamente rimessa alla legislazione esclusiva dello Stato dalla lettera e) del secondo comma dell’articolo 117 Cost.».

  • il rispetto delle riserve assolute di legge

La Costituzione pone una riserva assoluta di legge per la disciplina delle giurisdizioni. L’art. 108 della Costituzione stabilisce che «le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge» e aggiunge che «la legge assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse, e degli estranei che partecipano all’amministrazione della giustizia». L’art. 111 aggiunge che «la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge». In tale ambito, pertanto, la fonte secondaria può intervenire solo se si tratta di un regolamento di stretta esecuzione; tale natura non è propria dei regolamenti di delegificazione. Il problema rileva ai fini della delegificazione degli ordinamenti professionali per quanto concerne la riforma degli organi nazionali competenti a conoscere del procedimento disciplinare (lettera f) del comma 5). Si ricorda, infatti, che per molte professioni (l’esempio classico è quello della professione forense, ma vale anche per gli architetti, i chimici, i geometri, gli ingegneri e i periti industriali), regolate da leggi anteriori alla Costituzione, la funzione disciplinare è esercitata in ultima istanza da organi di categoria (es. il Consiglio nazionale forense) riconosciuti dalla Corte costituzionale come organi aventi natura giurisdizionale. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 284 del 1986,ha riconosciuto la natura giurisdizionale delle attribuzioni del Consiglio nazionale dei geometri quando decide sui ricorsi avverso i provvedimenti amministrativi dei collegi provinciali in materia disciplinare e di iscrizione nell'albo. Più in generale, in quella sentenza la Corte ha affermato che «tale natura giuridica é comune, per generale consenso, a tutti gli analoghi Consigli nazionali previsti dalle normative che, anteriormente all'entrata in vigore della Costituzione, hanno ordinato in enti autonomi alcune professioni, ossia quelle indicate negli artt. 1 e 18 d.l. lgt. 23 novembre 1944 n. 382 e successive modificazioni. Essa viene desunta principalmente dal fatto che avverso le decisioni dei Consigli, inerenti alle attribuzioni suddette (materia disciplinare e iscrizione all'albo), é direttamente previsto il ricorso per cassazione, il quale nel nostro sistema é diretto al controllo su provvedimenti di natura giurisdizionale (in questo senso é anche la giurisprudenza di questa Corte: cfr. le sentt. nn. 110/1967; 114/1970; 27/1972 e 175/1980). Invece, per gli ordinamenti professionali posteriori alla Costituzione, il legislatore ordinario non ha potuto adottare la medesima disciplina, a causa del divieto, posto dall'art. 102 della Carta fondamentale, di istituire nuove giurisdizioni, non solo straordinarie, ma anche speciali: sicché ha previsto l'impugnazione dei relativi provvedimenti con le forme dell'ordinario processo civile (tribunale, corte di appello, cassazione), pure se talvolta con qualche deviazione dal modello tradizionale». Nella relazione illustrativa dello schema di regolamento di delegificazione il Governo si era mostrato pienamente consapevole di questo limite della norma di autorizzazione alla delegificazione che, imponendo la separazione tra funzione disciplinare e funzione di amministrazione degli ordini professionali, si rivolge in modo del tutto indifferenziato ad ogni consiglio locale e nazionale di ciascuna professione considerata, escludendo le sole professioni sanitarie.La relazione ribadiva, infatti, che – in tema di giurisdizione - siamo in presenza di una riserva assoluta di legge, «con la conseguenza che non può ritenersi che la previsione di legge abbia abilitato il Governo a regolamentare anche le funzioni giurisdizionali dei Consigli dell’ordine nazionali, dovendosi concludere che il regolamento sia sprovvisto, a riguardo, di ogni potestà d’intervento. Corollario di tale assunto è che la lettera f) dell’articolo 3, comma 5, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, può riferirsi in effetti ai soli procedimenti disciplinari rimessi alla competenza di consigli che decidono in via amministrativa (come nel caso dei commercialisti ed esperti contabili)».

La legge 183/2011 ha, poi, dettato (art. 10, commi 3-10) specifiche disposizioni sulle società tra professionisti (poi integrate dal D.L. 1/2012, v. ultra). L'art. 10 esplicitamente prevedendo che società tra professionisti potessero essere costituite sulla base dei modelli societari previsti dai titoli V e VI del libro V del codice civile (così ammettendo anche le società di capitali), ha stabilito:

  • l'esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci;
  • che possono assumere la qualifica di socio soltanto i professionisti iscritti ad ordini, albi o collegi, nonché i cittadini di Stati membri dell’UE in possesso del titolo di studio abilitante all’esercizio della professione; sono peraltro ammessi soci non professionisti per lo svolgimento di prestazioni tecniche ovvero per finalità di investimento;
  • definizione di modalità tali da garantire che la singola prestazione professionale sarà eseguita dai soci in possesso dei requisiti e che l’utente possa scegliere all’interno della società il professionista che dovrà seguirlo o, in mancanza di scelta, riceva preventiva comunicazione scritta del nominativo del professionista;
  • definizione di modalità che garantiscano che il socio radiato dal proprio ordine professionale sia anche escluso dalla società;
  • la denominazione sociale debba comunque contenere l'indicazione di società tra professionisti;
  • il professionista socio può partecipare ad una sola società tra professionisti e deve osservare il codice deontologico del proprio ordine; la società è soggetta al regime disciplinare dell’ordine al quale risulta iscritta;
  • la società tra professionisti può essere anche di natura multidisciplinare (ovvero essere costituita per l'esercizio di più attività professionali).       .

La legge rimetteva ad un regolamento ministeriale, da approvare entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge di stabilità (e dunque entro il 1° luglio 2012, ma non ancora adottato), la disciplina relativa all’esecuzione dell’incarico conferito alla società da parte di soci in possesso dei requisiti, alla scelta del professionista da parte dell’utente, all’incompatibilità e al rispetto del regime disciplinare dell’ordine (e dunque presumibilmente la definizione di modalità di iscrizione delle società tra professionisti agli ordini professionali). Infine, l’articolo 10 faceva salvi i diversi modelli societari e associativi vigenti abrogando proprio la legge n. 1815 del 1939 sulle associazioni professionali.

 

    Il decreto legge 1/2012 (cd. decreto liberalizzazioni)

    Prima dell'adozione del regolamento di delegificazione, il Governo era intervenuto nel settore delle professioni con il decreto-legge 1/2012 (cd. decreto liberalizzazioni) che agli articoli 9 e 9-bis ha introdotto disposizioni in materia di tariffe, di tirocinio e di società tra professionisti.

    • Abrogazione del sistema tariffario

    L'articolo 9, comma 1, del DL abroga le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico. Le professioni interessate, in quanto aventi un ordine o un collegio e un albo professionale, sono le seguenti: agenti di cambio (il Testo Unico finanziario D.Lgs. 58/1998 ha disposto lo scioglimento degli ordini professionali degli agenti di cambio, ad esclusione di quelli di Roma e Milano, e la cessazione dal ruolo al compimento del settantesimo anno di età); agronomi e dottori forestali; agrotecnici e agrotecnici laureati; architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori; assistenti sociali; attuari; avvocati; biologi; chimici; consulenti del lavoro; dottori commercialisti ed esperti contabili; farmacisti; geologi; geometri e geometri laureati; giornalisti; infermieri; ingegneri; medici chirurghi e odontoiatri; medici veterinari; notai; ostetriche; periti agrari e periti agrari laureati; periti industriali e periti industriali laureati; psicologi; revisori contabili; spedizionieri doganali; tecnici sanitari di radiologia medica; tecnologi alimentari.

    Si ricorda che il tema delle tariffe era stato affrontato dall’art. 2 del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006, c.d. decreto Bersani, che aveva disposto l'abrogazione delle disposizioni che prevedono l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti. Ha inoltre soppresso il divieto del patto di quota-lite (il patto concluso dagli avvocati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali) ed ha fatto salve le tariffe massime prefissate in via generale a tutela degli utenti. Ha in fine confermato che iI giudice provvede alla liquidazione delle spese di giudizio e dei compensi professionali, in caso di liquidazione giudiziale e di gratuito patrocinio, sulla base della tariffa professionale. Il medesimo art. 2 del decreto-legge n. 223 – con riferimento al complessivo tema delle professioni - ha inoltre abrogato: il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni; il divieto di fornire all'utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti, fermo restando che l'oggetto sociale relativo all'attività libero-professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità. Il decreto-legge ha inoltre disposto l’adeguamento delle disposizioni deontologiche e pattizie e dei codici di autodisciplina, le cui norme sono altrimenti nulle. Sulle tariffe è poi intervenuto il citato decreto-legge n. 138 del 2011 (poi modificato sul punto dall’art. 10, comma 12, della legge n. 183 del 2011), che aveva previsto che il compenso spettante al professionista dovesse essere obbligatoriamente pattuito per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale. Il professionista è tenuto, nel rispetto del principio di trasparenza, a rendere noto al cliente il livello della complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell'incarico. In caso di mancata determinazione consensuale del compenso, quando il committente è un ente pubblico, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi, ovvero nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell'interesse dei terzi si doveva far ricorso alle tariffe professionali stabilite con decreto dal Ministro della Giustizia. L’art. 10, comma 12, della legge n. 183 del 2011 ha espunto dal testo del decreto-legge 138 il richiamo alle tariffe professionali quale elemento di riferimento per la determinazione del compenso spettante al professionista pattuito per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale. Ha inoltre espunto la disposizione che ammetteva la pattuizione dei compensi anche in deroga alle tariffe. Il tema delle tariffe è stato affrontato a più riprese anche dalla Corte di giustizia dell’Unione europea. In particolare è stato affrontato di recente dalla sentenza del 29 marzo 2011 (causa C-565/08), in ordine alle disposizioni che impongono agli avvocati l’obbligo di rispettare tariffe massime. Secondo la Commissione, la Repubblica italiana sarebbe venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 43 CE e 49 CE. Secondo la Corte di giustizia, “la Commissione non è riuscita a dimostrare che la normativa in discussione è concepita in modo da pregiudicare l’accesso, in condizioni di concorrenza normali ed efficaci, al mercato italiano dei servizi di cui trattasi. Va rilevato, al riguardo, che la normativa italiana sugli onorari è caratterizzata da una flessibilità che sembra permettere un corretto compenso per qualsiasi tipo di prestazione fornita dagli avvocati. Così, è possibile aumentare gli onorari fino al doppio delle tariffe massime altrimenti applicabili, per cause di particolare importanza, complessità o difficoltà, o fino al quadruplo di dette tariffe per quelle che rivestono una straordinaria importanza, o anche oltre in caso di sproporzione manifesta, alla luce delle circostanze nel caso di specie, tra le prestazioni dell’avvocato e le tariffe massime previste. In diverse situazioni, inoltre, è consentito agli avvocati concludere un accordo speciale con il loro cliente al fine di fissare l’importo degli onorari”. In precedenza, i limiti alle tariffe per i compensi degli avvocati erano già stati esaminati dalla Corte di giustizia. Nella causa C-35/99 (Arduino), la Corte aveva dichiarato il 19 febbraio 2002 che le norme del Trattato CE non ostavano a che uno Stato membro adottasse una misura legislativa o regolamentare che approvasse, in base ad un progetto stabilito da un ordinamento professionale di avvocati, una tariffa che fissa minimi e massimi per gli onorari dei membri della professione. A conclusioni analoghe era giunta anche la sentenza della Corte di Giustizia sulle cause riunite C-94/04 (Cipolla) e C-202/04 (Capoparte e Macrino). Invece, con riguardo ad una tariffa italiana obbligatoria per tutti gli spedizionieri doganali, la Corte aveva considerato la normativa italiana che imponeva ad un’organizzazione professionale l’adozione di detta tariffa in contrasto con il diritto comunitario, poiché si trattava di una decisione di associazione di imprese e non di una misura statale (causa C-35/96).

    Il comma 2 dell'art. 9 prevede che, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del ministro vigilante (v. il D.M. 140/2012). Il D.L. demanda ad un decreto del Ministro della giustizia il compito di stabilire parametri per oneri e contribuzioni alle casse professionali e agli archivi precedentemente basati sulle tariffe (in attuazione, vedi il D.M. 265/2012). Il decreto deve salvaguardare l'equilibrio finanziario, anche di lungo periodo, delle casse previdenziali professionali.

    Il comma 3 reca una norma transitoria relativa alle tariffe vigenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 1, che continuano ad applicarsi, limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali, sino all’entrata in vigore dei decreti ministeriali di cui al comma 2 e, comunque, non oltre il centoventesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.

    Il comma 4 stabilisce che il compenso per le prestazioni professionali è pattuito, nelle forme previste dall'ordinamento, al momento del conferimento dell'incarico professionale. Il professionista deve rendere noto al cliente il grado di complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell'incarico e deve altresì indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell'esercizio dell'attività professionale. In ogni caso, la misura del compenso è previamente resa nota al cliente con un preventivo di massima, deve essere adeguata all'importanza dell'opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi. Al tirocinante è riconosciuto un rimborso spese forfettariamente concordato dopo i primi sei mesi di tirocinio.

    Il comma 5 prevede l’abrogazione delle disposizioni vigenti che rinviano alle tariffe a loro volta abrogate per la determinazione del compenso del professionista.

    Il comma 7 reca alcune abrogazioni di coordinamento relative al comma 5 dell'articolo 3 del decreto-legge 138 del 2011, in particolare, inserimendo un richiamo espresso alla riduzione e all’accorpamento, su base volontaria, fra professioni che svolgono attività similari.

     

    • Disciplina del tirocinio

    L'art. 9, comma 6, del D.L. 1/2012 prevede che la durata del tirocinio previsto per l'accesso alle professioni regolamentate non potrà essere superiore a diciotto mesi e per i primi sei mesi potrà essere svolto, in presenza di un'apposita convenzione quadro, in concomitanza con il corso di studio per il conseguimento della laurea di primo livello o della laurea magistrale o specialistica. Analoghe convenzioni possono essere stipulate per lo svolgimento del tirocinio presso pubbliche amministrazioni, all'esito del corso di laurea. Per le professioni sanitarie resta, invece, confermata la normativa vigente.

     

    • Società tra professionisti

    La legge 27/2012, di conversione del decreto-legge 1/2012, ha novellato la disciplina sulla società tra professionisti introdotta dalla legge 183/2011, prevedendo (articolo 9-bis):

    • che se la società tra professionisti assume la forma cooperativa, la società deve essere costituita da un numero di soci non inferiore a tre (lett. a));
    • che in ogni caso i soci professionisti per numero e partecipazione al capitale sociale devono avere la maggioranza dei 2/3 nelle deliberazioni;
    • che il venir meno di tale requisito (senza che si ripristinino le condizioni precedenti entro 6 mesi) rappresenta causa di scioglimento della società con obbligo per i consigli dell’ordine (o collegi) di cancellare la società dall’albo (lett. b));
    • che la società deve prevedere nell’atto costitutivo la stipula di una polizza di assicurazione per la copertura dei rischi derivanti dalla responsabilità civile per i danni causati ai clienti dai singoli soci professionisti nell'esercizio dell'attività professionale (lett. c));
    • che il socio professionista può opporre agli altri soci il segreto professionale per le attività a lui affidate (lett. d));
    • che sono fatti salvi i diversi modelli societari già previsti dall’ordinamento e le associazioni professionali (lett. e)).

    Come sopraricordato, la disciplina delle associazioni professionali era contenuta nella legge n. 1815 del 1939, abrogata dalla citata legge di stabilità (articolo 10, comma 11).