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Le missioni militari nei Balcani

La presenza di missioni militari internazionali di pace, umanitarie e di stabilizzazione nei Balcani ha avuto inizio, a partire dal 1991, per attenuare i conflitti determinati dal processo di disgregazione della Repubblica iugoslava e dalla costituzione degli Stati nazionali, per governare le crisi e per arginare le conseguenze di carattere umanitario.

I conflitti che si sono determinati nell’area negli ultimi quindici anni sono stati principalmente di natura interetnica, nazionalistica e religiosa. Le crisi più drammatiche hanno riguardato: la guerra serbo-bosniaca e il conflitto del Kosovo.

Nelle vicende dei Balcani sono intervenute le principali organizzazioni internazionali: l’ONU, la NATO, l’Unione europea, la UEO, l’OSCE. L’Italia ha partecipato a tutte le missioni militari che si sono avvicendate nei Balcani in relazione alle diverse crisi e nelle diverse aree.

Tra il 1991 e il 1992, in un alternarsi di attività diplomatiche e di guerre civili, sono divenuti Stati indipendenti la Bosnia-Erzegovina, la Croazia e la Slovenia.

L’Unione europea ha promosso una serie di iniziative diplomatiche per cercare di contenere nell’ambito diplomatico e pacifico il processo di indipendenza dei diversi Stati ed ha istituito, nel 1991 la missione EUMM (European Community Monitor Mission) che ha svolto, fino al 2006, attività di monitorizzazione degli sviluppi relativi alla sicurezza, all'economia, agli aspetti umanitari e a quelli politici, per consentire all'Unione europea di formulare una politica comune verso i Balcani. La missione si è svolta in Bosnia, Croazia, Macedonia ed Albania e inizialmente, prima dell'inizio del conflitto, anche nella Repubblica Federale iugoslava.

Le attività della missione sono state rilevate, a partire dal 1° gennaio 2003, dalla missione EUPM dell’Unione europea a cui continuano a partecipare unità dei carabinieri e della Polizia di Stato.

Dopo 78 giorni di bombardamenti, il 13 giugno, le truppe serbe cominciarono il ritiro, e i militari della NATO entrarono nel Kosovo.

Sono cinque i militari che hanno perso la vita nel corso della missione KFOR: il caporal maggiore Pasquale Dragano, appartenente al Corpo dei Bersaglieri, morto il 24 giugno 1999 a Djakovica, il caporalmaggiore Samuele Utzeri, che ha perso la vita il 2 aprile 2000 a Pec e, il 2 agosto 2000 il caporal maggiore Luigi Nardone. Il 9 agosto 2001 il Caporal Maggiore Scelto Giuseppe Fioretti ed il Caporal Maggiore Dino Paolo Nigro, del 3° Reggimento Alpini hanno perso la vita cadendo da un elicottero in fase di atterraggio.

La missione ha il compito di condurre attività di sostegno e di consulenza per contribuire al conseguimento degli obiettivi della comunità internazionale finalizzati alla stabilità del Paese e, più in generale, dell'area balcanica. Il Comandante del NHQS svolge le funzioni di NATO SMR (Senior Military Representative), coordinando tutte le attività della NATO in FYROM. Alla missione partecipa un militare italiano sui complessivi 33.

Il NHQT si compone di un Comando MN, un gruppo tattico su un reggimento di manovra, supporti tattici, fra cui assetti elicotteri, ed unità logistiche. La missione è composta da 25 militari di cui 3 italiani.

La NATO ha voluto comunque mantenere una propria presenza in Bosnia-Herzegovina, attraverso questa missione che ha il compito di fornire assistenza alla riforma della difesa della Bosnia, e di favorirne l’adesione al programma PfP. La missione svolge inoltre limitate mansioni operative per il supporto alla lotta al terrorismo ed attività di supporto al Tribunale penale per l’ex Iugoslavia (ICTY), in particolare per la ricerca e la cattura dei criminali di guerra. La missione si compone di 66 unità di cui 7 militari italiani.

L’Italia partecipa alla missione con 2 carabinieri.

Alla missione, che conta 2.036 appartenenti, partecipano 3 carabinieri, 20 unità della Guardia di finanza e 21 della Polizia di Stato.

Fonti: Ministero della difesa, Sito Internet NATO 

La guerra serbo-bosniaca

Durante il conflitto serbo-bosniaco e la guerra civile in Bosnia, dal 1992 a tutto il 1995, si svolsero, con la partecipazione italiana, alcune missioni militari navali congiunte NATO-UEO (Sharp Fence e Maritime Guard - unificate successivamente in Sharp Guard - e l’operazione Danubio) per l’attuazione dell’embargo imposto dall’ONU alla federazione Serbo-Montenegrina a partire dal 1991.

Sempre i Balcani sono stati teatro, in quella fase, della prima operazione NATO al di fuori della propriatradizionale area di azione, con il pattugliamento della zona di interdizione al volo sopra la Bosnia decretata dal Consiglio di sicurezza dell’ONU nel marzo 1993. A tale missione, denominata Deny flight e svoltasi tra il 1993 ed il 1995, l’Italia non ha partecipato direttamente, mettendo però a disposizione le basi aeree per il decollo dei velivoli.

Un ulteriore e più determinato intervento della NATO in territorio serbo-bosniaco, sempre in attuazione di quanto disposto dalle risoluzioni ONU, fu, nel settembre 1995, l’operazione aerea Deliberate Force, per dissuadere la Serbia dalla prosecuzione delle ostilità. Le basi di decollo erano in territorio italiano e, in questa occasione parteciparono alla missione anche velivoli militari italiani.

Ancora nell’ambito del conflitto serbo-bosniaco fu realizzata dalla UEO la missione UPFM (United Police Force of Mostar), volta alla creazione e all’addestramento di una forza di polizia unificata composta da croati e musulmani, nella città bosniaca di Mostar, teatro di un violento conflitto tra le due fazioni e posta sotto l'amministrazione dell'Unione europea nel biennio 1995-1996, comprendeva un nucleo di carabinieri.

La guerra serbo-bosniaca, che provocò più di 100.000 morti e più di un milione di profughi, si concluse nel dicembre 1995, con la firma degli Accordi di Dayton che ripartirono la federazione di Bosnia ed Erzegovina tra la Repubblica federale della Bosnia-Erzegovina e la Repubblica Serba.

Dopo la firma degli accordi di Dayton, la NATO ha costituito (autorizzata dall’ONU), nei territori della Bosnia-Erzegovina, nel dicembre 1995 la missione IFOR (Implementation Force), cui è succeduta, un anno dopo, l’operazione SFOR (Stabilization Force), con il compito di garantire il rispetto degli Accordi di pace, la libera circolazione di tutte le etnie e di promuovere il consolidamento della pace, il rafforzamento delle istituzioni democratiche e la cooperazione con la popolazione per aiuti sociali.

L’Italia ha partecipato ad entrambe le missioni, con un contingente che ha superato le 2.000 unità. Alla missione SFOR hanno contribuito più di 40 Paesi, di cui quasi la metà non appartenenti alla NATO, con una consistenza iniziale di 32.000 unità, che si è progressivamente ridotta, fino a contare 7.000 unità nel dicembre 2004, quando la missione si è conclusa, con il trasferimento dei suoi compiti alla missione Althea dell’Unione europea.

In stretto coordinamento con SFOR ha operato, dal 1998, la missione NATO MSU (Multinational Specialized Unit), costituita da carabinieri, che ha svolto compiti di mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica, con possibilità di effettuare anche limitate azioni investigative, a supporto delle autorità locali.

Sempre nel quadro dell’attuazione degli Accordi di Dayton, fu costituita, nel dicembre 1995, la missione IPTF (Task Force Internazionale di Polizia delle Nazioni Unite) dell’ONU, con il compito di ristrutturare e riformare la polizia della Bosnia Erzegovina. A tale missione partecipò un nucleo di carabinieri.

Le attività della missione sono state rilevate, a partire dal 1° gennaio 2003, dalla missione EUPM dell’Unione europea a cui continuano a partecipare unità dei carabinieri e della Polizia di Stato.

Il conflitto del Kosovo

Nel corso del 1998, l’escalation di tensione e di violenze nella provincia serba del Kosovo, aveva determinato lo svolgimento da parte della NATO, nella giornata del 15 giugno dello stesso anno, dell’operazione Determined Falcon, volta a dissuadere la Serbia da ulteriori iniziative militari. A tale operazione, consistita in una serie di manovre aeree effettuate in prossimità del confine serbo, che impegnavano 85 velivoli, l’Italia aveva partecipato con un contributo di 6 aerei.

In relazione all’aggravamento della situazione in Kosovo, d’intesa con il Governo serbo, l’OSCE costituiva, nell’ottobre 1998, una missione di 2.000 osservatori denominata KVM (Kosovo Verification Mission), cui era affidato il compito di controllare l'attuazione delle decisioni ONU (che chiedeva la cessazione delle ostilità tra le parti e il rispetto del cessate il fuoco), di osservare il ritiro delle forze speciali serbe dal Kosovo, il rientro dei profughi e il corretto svolgimento entro l'autunno del 1999 di elezioni locali.

L’operazione è stata supportata da un’azione di controllo aereo svolta dalla NATO nell’ambito della missione Eagle Eye. Contemporaneamente, a seguito del perdurare di continui e violenti combattimenti e visti gli inutili tentativi di risolvere politicamente la crisi, la NATO aveva avviato, il 24 settembre 1998, l'operazione Determined Force, che prevedeva un graduale intervento militare aereo. La minaccia della NATO assume un carattere operativo, il 12 ottobre 1998, con l’adozione dell’Activation Order, meccanismo che autorizza i comandi a mettere in atto il piano militare per l’attacco aereo senza ulteriori determinazioni politiche.

Il repentino peggioramento della situazione costrinse inoltre la NATO ad organizzare la missione Joint Guarantor, per l'evacuazione dal Kosovo degli osservatori OSCE. La forza di intervento della NATO è stata attivata nel dicembre 1998 e l’Italia ha partecipato con circa 250 uomini. L’evacuazione del personale OSCE fu effettuata dopo il precipitare degli eventi, a seguito del fallimento dei negoziati di Rambouillet, nel febbraio-marzo 1999, tra governo serbo e rappresentanti indipendentisti kosovari, organizzata del Gruppo di contatto, composto dai ministri degli Esteri di Italia, Francia, Russia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti d'America.

Il mancato accordo di Rambouillet determina, il 24 marzo 1999, la decisione della NATO di iniziare una serie di attacchi aerei e missilistici contro gli obiettivi militari serbi in Kosovo, che si estendono rapidamente ad una serie di obiettivi strategici in tutta la Repubblica serba.

Si tratta dell’operazione Allied Force (la cosiddetta guerra del Kosovo), a cui i serbi reagiscono provocando la fuga di centinaia di migliaia di profughi kosovari verso le frontiere di Albania e Macedonia.

Il problema dei profughi diviene presto una componente essenziale ed imponente dell'intervento, e la NATO decide di inviare truppe in Albania e Macedonia a protezione delle operazioni umanitarie costituendo, nell’aprile 1999, la forza multinazionale AFOR (Albanian Force), con prevalenti compiti di soccorso umanitario ai profughi kosovari in fuga verso l’Albania. Essa ha visto l'impiego di circa 8.000 uomini di 25 diversi Paesi, tra i quali il nostro.

Proseguivano intanto, parallele alle operazioni militari, le trattative diplomatiche che, il successivo 9 giugno portavano all'accordo tecnico-militare tra i vertici militari serbi e la NATO, per concordare le modalità ed i tempi del ritiro delle truppe jugoslave dal Kosovo e l'entrata delle truppe NATO.

Il giorno successivo, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione 1244, concordata dal G8, che riprendeva quanto stabilito nell’accordo di pace.

Dopo 78 giorni di bombardamenti, il 13 giugno, le truppe serbe cominciarono il ritiro, e i militari della NATO entrarono nel Kosovo.

KFOR

L’Accordo del 9 giugno 1999 e la successiva risoluzione ONU determinarono la costituzione, da parte del Consiglio atlantico, della KFOR (Kosovo Force) per il ristabilimento ed il mantenimentore della pace e della sicurezza nel Kosovo.

L’operazione ha comportato inizialmente un dispiegamento, nella fase iniziale, di circa 43.000 militari sia della NATO, che di Paesi non appartenenti all’Alleanza, compresa la Russia.

L'obiettivo della missione è stato inizialmente quello di attuare e, se necessario, far rispettare gli accordi del cessate il fuoco o dell’Interim Agreement, allo scopo di fornire assistenza umanitaria e supporto per il ristabilimento delle istituzioni civili, agevolando il processo di pace e stabilità.

Il compito attuale della missione, che è costituita da circa 15.700 militari, è quello di svolgere un’azione di presenza e deterrenza che mantenga un ambiente sicuro e che impedisca il ricorso alla violenza.

Nello specifico, i militari della KFOR effettuano il controllo dei confini tra il Kosovo e la Serbia; svolgono compiti di ordine pubblico e controllo del territorio; collaborano con l’UNMIK e realizzano attività di assistenza umanitaria

Le attività di gestione dell'ordine pubblico sono affidate alla missione MSU (che ha supportato anche la missione SFOR in Bosmia), con sede a Pristina, posta alle dirette dipendenze del comandante di KFOR e composta prevalentemente dal personale dell'Arma dei Carabinieri.

Nell’ambito di KFOR si è inoltre svolta la missione NATO COMMZ W (Communication Zone West), che ha avuto inizio il 1° settembre 1999, con il compito di assicurare le vie di comunicazione per i rifornimenti logistici a KFOR e mantenere i necessari contatti con le organizzazioni internazionali presenti. Nell’ambito della riconfigurazione della presenza NATO nei Balcani, dal giugno 2002, la missione è stata rilevata dalla missione NHQ Tirana, con il compito di contribuire al coordinamento tra le Autorità albanesi, la NATO e le Organizzazioni della Comunità Internazionale.

Nell’ambito del processo di ricostituzione delle forze a guida NATO nei Balcani, il 12 novembre 2002, sono state accorpate le brigate multinazionali Nord e Ovest ed è stata costituita la Multinational Brigade South-West (MNB-SW) alla cui guida si sono alternate l’Italia e la Germania.

Alla fine del 2004, in occasione del passaggio di responsabilità delle operazioni militari NATO in Bosnia all’Unione europea, le autorità NATO hanno deciso di raggruppare tutte le operazioni condotte nei Balcani in un unico contesto operativo, dando origine all’operazione Joint Enterpriseche comprende le attività di KFOR, MSU, l’interazione NATO-UE, e gli Headquarters della NATO presso Skopje, Tirana e Sarajevo.

L’Italia ha retto il Comando di KFOR dal 1° settembre 2005 al 1° settembre 2006.

Nel maggio 2006, al fine di accrescere la flessibilità di impiego e la capacità di risposta a fronte di crisi improvvise, è stata decisa una ulteriore trasformazione della struttura di KFOR, completata nell’estate 2007, che, senza prevedere riduzioni numeriche dei contingenti, ha visto il passaggio dalla precedente articolazione su quattro Brigate multinazionali aventi ognuna la propria area di competenza, a cinque Task Forces, dotate di particolare flessibilità operativa, più una Forza di Reazione Rapida (Quick Reaction Force).

La MNB-SW è stata riarticolata in due distinte Multinational Task Force: una sotto Comando italiano (MNTF-W) che comprende contingenti di Spagna, Ungheria, Slovenia e Romania e una a guida tedesca (MNTF-S).

Le 5 Task Force sono basate a Mitrovica (Nord), Pristina (Centro), Gnjlane (Est), Prizren (Sud) e Belo Polje - PEC (Ovest).

Dei circa 15.700 militari che appartengono ai contingenti di KFOR, i maggiori contributi sono offerti dalla Germania (2.508 unità), dall’Italia (2.152), dalla Francia (1.953) e dagli USA (1.454).

La missione KFOR continua a svolgere i propri compiti nell’area kosovara anche dopo la proclamazione dell’indipendenza del Kosovo avvenuta il 17 febbraio 2008 (vedi Note di politica internazionale n. 9 del Dipartimento esteri).

Sono cinque i militari che hanno perso la vita nel corso della missione KFOR: il caporal maggiore Pasquale Dragano, appartenente al Corpo dei Bersaglieri, morto il 24 giugno 1999 a Djakovica, il caporalmaggiore Samuele Utzeri, che ha perso la vita il 2 aprile 2000 a Pec e, il 2 agosto 2000 il caporal maggiore Luigi Nardone. Il 9 agosto 2001 il Caporal Maggiore Scelto Giuseppe Fioretti ed il Caporal Maggiore Dino Paolo Nigro, del 3° Reggimento Alpini hanno perso la vita cadendo da un elicottero in fase di atterraggio.

NATO Headquarters Skopje

La missione è stata costituita il 17 giugno 2002 ed ha la responsabilità delle attività NATO in Fyrom. L'impegno principale assunto dalla NATO in Macedonia è quello di rendere le strutture di quel paese pienamente integrate in quelle euroatlantiche.

La missione ha il compito di condurre attività di sostegno e di consulenza per contribuire al conseguimento degli obiettivi della comunità internazionale finalizzati alla stabilità del Paese e, più in generale, dell'area balcanica. Il Comandante del NHQS svolge le funzioni di NATO SMR (Senior Military Representative), coordinando tutte le attività della NATO in FYROM. Alla missione partecipa un militare italiano sui complessivi 33.

NATO Headquarters Tirana

La missione ha avuto inizio il 17 giugno 2002 ed ha rilevato i compiti di COMMZ-W. Compito della missione è quello di facilitare il coordinamento tra il governo albanese, la comunità internazionale e la NATO, assistere le autorità albanesi nelle attività di controllo dei confini e contrasto ai traffici illeciti, garantire il monitoraggio delle linee di comunicazione.

Il NHQT si compone di un Comando MN, un gruppo tattico su un reggimento di manovra, supporti tattici, fra cui assetti elicotteri, ed unità logistiche. La missione è composta da 25 militari di cui 3 italiani.

NATO Headquarters Sarajevo

La missione è stata costituita il 2 dicembre 2004, dopo la conclusione della missione SFOR ed il passaggio delle sue competenze alla missione Althea dell’UE.

La NATO ha voluto comunque mantenere una propria presenza in Bosnia-Herzegovina, attraverso questa missione che ha il compito di fornire assistenza alla riforma della difesa della Bosnia, e di favorirne l’adesione al programma PfP. La missione svolge inoltre limitate mansioni operative per il supporto alla lotta al terrorismo ed attività di supporto al Tribunale penale per l’ex Iugoslavia (ICTY), in particolare per la ricerca e la cattura dei criminali di guerra. La missione si compone di 66 unità di cui 7 militari italiani.

EUPT Kosovo

La missione EUPT (European Union Planning Team) è stata istituita con l’Azione comune 2006/304/PESC del 10 aprile 2006 del Consiglio europeo. Il mandato della missione è stato da ultimo prorogato al 14 giugno 2008 dall’azione comune 6819/08/PESC.

Essa ha lo scopo di avviare la pianificazione del passaggio di una parte delle funzioni di UNMIK ad una operazione civile dell’Unione europea denominata EULEX Kosovo, che dovrebbe svolgere compiti di gestione delle crisi nel settore dello stato di diritto e in altri settori individuati dal Consiglio europeo nel quadro del processo di status. (vedi Note di politica internazionale n. 9 del Dipartimento esteri).

L’Italia partecipa alla missione con 2 carabinieri.

UNMIK

UNMIK (United Nations Mission In Kosovo) è stata istituita dalla risoluzione ONU 1244/1999, che ha autorizzato la costituzione di una amministrazione civile provvisoria guidata dalle Nazioni unite per favorire un progressivo recupero di autonomia nella provincia del Kosovo, devastata dalla guerra. La missione, che lavora a stretto contatto con i leader politici locali e con la popolazione, svolge un ruolo molto ampio, coprendo settori che vanno dalla sanità all’istruzione, dalle banche e finanza alle poste e telecomunicazioni. (vedi Note di politica internazionale n. 9 del Dipartimento esteri)

L'Italia partecipa alla missione con un contingente composto da unità dei Carabinieri, della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza di stanza a Pristina. In seno alla missione è costituita un'unità di intelligence anticrimine CIU (Criminal Intelligence Unit), di supporto alla Amministrazione Provvisoria, anche per quanto riguarda i conflitti interetnici.

Alla missione, che conta 2.036 appartenenti, partecipano 3 carabinieri, 20 unità della Guardia di finanza e 21 della Polizia di Stato.

Althea

La missione Altea è un’operazione PESD che ha avuto inizio il 2 dicembre 2004, e ha rilevato le attività condotte dalla missione SFOR della NATO in Bosnia-Erzegovina, con l’obiettivo di rafforzare l’approccio globale dell’Unione europea nei confronti del Paese e di sostenerne i progressi verso la sua integrazione nell’Unione europea.

Il passaggio di consegne ha avuto luogo dopo che il vertice NATO di Istanbul del giugno 2004 aveva consentito sulla disponibilità dell’UE a rilevare i compiti della SFOR ed il Consiglio di sicurezza dell’ONU aveva successivamente approvato tale operazione.

Nella fase iniziale la componente militare (EUFOR) è rimasta invariata rispetto a quella di SFOR, sia riguardo la consistenza che riguardo i Paesi partecipanti. Il Quartier Generale è stato fissato a Camp Butmir, a Sarajevo, già sede del comando operativo di SFOR.

Secondo quanto disposto dal Consiglio Affari generali e relazioni esterne dell’UE la nuova missione si svolge avvalendosi di mezzi e delle capacità comuni della NATO; il compito della missione rimane quello di assicurare il rispetto degli aspetti militari dell’Accordo di Dayton; di esercitare un ruolo deterrente nei confronti delle Forze Armate delle parti e degli altri gruppi armati; di contribuire a un ambiente sicuro e di impedire l’eventuale insorgere di episodi di violenza e/o di tentativi di ostacolare il processo di pace.

L’operazione, il cui comando operativo UE ha sede presso il Quartier Generale di SHAPE (Belgio), è guidata dal vice comandante delle Forze NATO in Europa (D-SACEUR);

Nell'ambito della missione Althea opera forze di polizia ad ordinamento militare EUROGENDFOR (European Gendarmerie Force), destinate al contrasto alle organizzazioni criminali ed alla sicurezza della Comunità internazionale. L’Arma dei carabinieri costituisce una componente di tali forze, denominata IPU (Integrated Police Unit), con sede a Sarajevo.

Dal 6 dicembre 2005 al 5 dicembre 2006 la missione è stata posta sotto il comando italiano.

La missione Althea è stata da ultimo prorogata per ulteriori dodici mesi con la risoluzione 1785 del 21 novembre 2007 del Consiglio di sicurezza dell’ONU.

Il 28 febbraio 2007 il Consiglio europeo ha deciso, in seguito al miglioramento della situazione relativa alla sicurezza in Bosnia Erzegovina, una progressiva riduzione degli assetti operanti nel teatro bosniaco. Il 26 aprile 2007 è avvenuta infatti la chiusura della MNTFs (Multinational Task Force South East), a guida italiana,che gestiva una delle tre aree di competenza territoriale in cui era suddivisa Althea.

Attualmente i militari italiani sono 322 su un totale di 2.611 appartententi.

Fonti: Ministero della difesa, Sito Internet NATO