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Le missioni militari in Afghanistan

Dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 che hanno colpito gli Stati Uniti d’America, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il giorno successivo agli eventi, ha adottato la risoluzione n. 1368, nel cui preambolo si riconosceva il diritto di legittima difesa individuale e collettiva degli Stati Uniti. Va aggiunto che il paragrafo 1 definiva gli attacchi terroristici “una minaccia alla pace” e nel paragrafo 5 si affermava che il Consiglio era “pronto ad adottare tutte le misure necessarie per rispondere agli attacchi terroristici”.

Lo stesso 12 settembre 2001, il Consiglio atlantico ha adottato una determinazione in cui si affermava che, qualora fosse stato accertata l’origine esterna degli attacchi terroristici, avrebbe trovato applicazione l’articolo 5 del Trattato NATO, ai sensi del quale un attacco armato contro un membro dell’Alleanza deve essere considerato come un attacco contro tutti i membri dell’Alleanza stessa.

A breve, è risultato chiaro che la grande maggioranza della comunità internazionale concordava, o non nutriva in ogni caso obiezioni, all’equiparazione dell’azione terroristica dell’11 settembre con un attacco armato idoneo a giustificare una conseguente reazione ai sensi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Una coalizione di Stati a guida statunitense ha quindi autonomamente avviato il 7 ottobre l’operazione Enduring Freedom con l’obiettivo di colpire le cellule dell’organizzazione terroristica Al Qaeda presenti in Afghanistan, nonché il regime talebano.

Le operazioni militari, iniziate il 7 ottobre con una serie di attacchi aerei contro obiettivi militari e basi terroristiche in territorio afgano, sono proseguite nei due mesi successivi provocando la caduta del regime talebano e la costituzione, a seguito della Conferenza di Bonn del 5 dicembre, svoltasi sotto il patrocinio dell'ONU, di un governo ad interim, con il compito di governare il paese per i primi sei mesi del 2002.

L’operazione ha progressivamente sviluppato una diversa configurazione e si è proposta di realizzare la definitiva pacificazione e stabilizzazione del Paese, oltre che con lo svolgimento di attività militari di contrasto degli insorti e delle formazioni terroriste, anche attraverso un supporto alle operazioni umanitarie.

L’Italia ha partecipato all’operazione dal 18 novembre 2001 con compiti di sorveglianza, interdizione marittima, nonché di monitoraggio di eventuali traffici illeciti. Tali attività sono state svolte inizialmente da un Gruppo navale d'altura guidato dalla portaeromobili Garibaldi. Successivamente la partecipazione è stata limitata all’impiego di una fregata. Dal 15 marzo al 15 settembre 2003 è stata operativa in Afghanistan la Task Force "Nibbio", costituita dal circa 1.000 unità dell'Esercito, con il compito di effettuare attività di interdizione d'area nella zona di Khowst, al confine tra Afghanistan e Pakistan, impedendo infiltrazioni di talebani e di terroristi.

La partecipazione italiana alla missione si è conclusa il 3 dicembre 2006.

ISAF

L'ISAF (International Security Assistance Force) è stata costituita a seguito della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU n. 1386 del 20 dicembre 2001 che, come previsto dall'Accordo di Bonn, ha autorizzato la predisposizione di una forza di intervento internazionale con il compito di garantire, nell'area di Kabul, un ambiente sicuro a tutela dell'Autorità provvisoria afghana, guidata da Hamid Karzai, che si è insediata il 22 dicembre 2001 e del personale delle Nazioni Unite presente nel Paese.

La missione è iniziata nel gennaio 2002 ed è stata inizialmente svolta dai contingenti di 19 Paesi sotto la guida inglese.

Il 13 giugno 2002 la Loya Jirga (l'Assemblea tradizionale) ha eletto il premier Hamid Karzai alla guida del governo per un periodo di due anni, fino allo svolgimento delle elezioni generali, che si sono tenute il 9 ottobre 2004 e che hanno confermato presidente Karzai.

Successivamente il vertice NATO di Praga del novembre 2002, ha approvato un nuovo concetto militare che stabilisce un approccio globale per la difesa contro il terrorismo e consente alle forze dell’Alleanza di intervenire ovunque i suoi interessi lo richiedano (quindi anche fuori dall’area dei Paesi membri). Anche a seguito di tali determinazioni, il 16 aprile 2003 il Consiglio Nord Atlantico (NAC) ha deciso l'assunzione, da parte della NATO, del comando, del coordinamento e della pianificazione dell’operazione ISAF, senza modificarne nome, bandiera e compiti. La decisione è stata resa operativa l'11 agosto 2003, con l'assunzione della guida della prima missione militare extraeuropea dell'Alleanza Atlantica.

La risoluzione ONU n. 1510 del 13 ottobre 2003, oltre a prevedere l’ulteriore proroga del mandato di ISAF, ha, altresì, autorizzato l'espansione delle attività della missione anche al di fuori dell'area di Kabul.

La guida politica dell’operazione è esercitata dal NAC, in stretto coordinamento con i Paesi non NATO che contribuiscono all’operazione. Secondo il memorandum sottoscritto fra i Paesi partecipanti e l'Autorità provvisoria afghana il 4 gennaio 2002, mentre le “Coalition Forces, sono quegli elementi militari nazionali della Coalizione guidati dagli Stati Uniti che conducono la guerra al terrorismo in Afghanistan […] ISAF non è parte delle Forze della Coalizione" e rimane pertanto distinta da Enduring Freedom, mantenendo le due missioni differenti mandati e rispondendo a catene di Comando differenti, l'una facente capo al Comando Supremo Alleato della NATO ed al Consiglio Atlantico, l'altra al Central Command statunitense di Tampa (Florida). Le due missioni rimangono però in costante coordinamento operativo, attraverso il Deputy Chief of Staff Operations di ISAF, statunitense, responsabile del raccordo con le Forze di Enduring Freedom.

Lo svolgimento della missione ISAF è articolato in cinque fasi:

  • la prima fase ha riguardato l’attività di analisi e preparazione;
  • la seconda fase ha avuto l’obiettivo di realizzare l’espansione sull’intero territorio afgano, in 4 distinti stages che hanno riguardato in senso antiorario le aree Nord, Ovest, Sud ed Est;
  • la terza fase è volta a realizzare la stabilizzazione del Paese;
  • la quarta fase riguarda il periodo di transizione;
  • la quinta fase prevede il rischieramento dei contingenti.

I quattro stages della seconda fase sono stati realizzati progressivamente con la sostituzione degli Stati Uniti, da parte della NATO, nella guida delle operazioni di stabilizzazione nelle diverse aree del Paese. La fase di espansione è stata completata nell’ottobre 2006 con l’assunzione del controllo ISAF anche sulla regione orientale del paese.

La fase dell’espansione è stata realizzata attraverso la costituzione in ogni area di una FSB (Forward Support Base), ovvero una installazione militare aeroportuale avanzata necessaria innanzitutto per fornire supporto operativo e logistico ai PRT (Provincial Reconstruction Team) presenti nella stessa regione. In alcune regioni (tra le quali Herat) i PRT erano già stati istituiti nell’ambito dell’operazione Enduring Freedom.

Il PRT è una struttura mista composta da unità militari e civili con il compito di assicurare il supporto alle attività di ricostruzione condotte dalle organizzazioni nazionali ed internazionali operanti nella regione. Ogni PRT é strutturato in base al rischio, alla posizione geografica ed alle condizioni socio economiche della regione in cui opera.

L’attività di stabilizzazione sta incontrando crescenti difficoltà, in particolare nell’area meridionale del Paese, per la resistenza talebana che sembra essersi rafforzata, anche in ragione di una preoccupante alleanza tra i Talebani e alcuni dei cosiddetti “signori della guerra” che detengono il controllo politico ed economico – in particolare sulla coltivazione di oppio – di numerose aree del paese. Accanto alle attività militari, ISAF continua a svolgere il compito di assicurare la fornitura di beni di necessità alla popolazione e promuovere la ricostruzione delle principali infrastrutture economiche; a tal fine, la missione intrattiene relazioni con numerose organizzazioni internazionali e non-governative e collabora in modo stretto con l’Assistance Mission delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA). ISAF comprende attualmente circa 131.980 militari appartenenti a contingenti di 48 Paesi. Il contributo maggiore è fornito dagli Stati Uniti (90.000 unità), seguiti dal Regno Unito (9.500), dalla Germania (4.920), dalla Francia (4.000 unità), dall’Italia (3.770), dal Canada (2.905), e dalla Polonia (con 2.490).

La partecipazione italiana, iniziata il 10 gennaio 2002, è inizialmente consistita in un contingente di 450 unità, di cui 400 militari dell’Esercito a Kabul e 50 unità dell’Aeronautica, con compiti di supporto, di stanza ad Abu Dhabi (negli Emirati Arabi).

L’Italia ha assunto, dal giugno 2005, il compito di coordinare la FSB di Herat ed i PRT della regione ovest del Paese (che comprende le province di Farah, Badghis e Ghor, oltre a quella omonima di Herat). L’impegno italiano, accresciuto in questa fase da 600 a 2.000 unità , è stato ulteriormente rafforzato anche a seguito dell'assunzione del comando ISAF, che è stato ricoperto dall’Italia dal 4 agosto 2005 al 4 maggio 2006.

Il contingente italiano ammonta attualmente, secondo dati forniti dal Ministero della difesa, a circa 3.770 unità delle Forze armate, dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di finanza e dovrebbe raggiungere, nel primo semestre 2011, i 4.350 militari, secondo quanto previsto dal D.L. n. 228/2010 di proroga delle missioni internazionali.

La componente principale delle forze nazionali è costituita dal personale proveniente dalla Brigata Alpina "Julia" dell'Esercito. Il Contingente nazionale di stanza a Herat è dal 18 ottobre 2010 al comando del Generale di Brigata Marcello Bellacicco, comandante in Patria della Brigata Alpina "Julia".

Tra i mezzi aerei utilizzati dal contingente, si segnalano: i velivoli AMX per assicurare al contingente nazionale un maggior livello di sicurezza e protezione, i velivoli senza pilota Predator, da ricognizione e sorveglianza, i C27J e i C130J per il trasporto tattico, gli elicotteri AB212, per il supporto alle operazioni terrestri, gli elicotteri A129 Mangusta, per il supporto aereo, e i CH47 per il trasporto.

Durante la missione ISAF hanno perso la vita 34 militari italiani, di cui 24 in seguito ad attentati.

EUPOL Afghanistan

Nel quadro del processo di riforma della polizia afgana, il Consiglio dell’Unione Europea ha predisposto, con l’azione comune 2007/369/PESC del 30 maggio 2007, un’attività di pianificazione connessa alla iniziativa PESD denominata European Police Afghanistan (EUPOL AFGHANISTAN).

La missione ha il compito di favorire lo sviluppo di una struttura di sicurezza afgana sostenibile ed efficace, in conformità agli standard internazionali. Tale iniziativa è finalizzata allo svolgimento delle attività di monitoring, training, advising e mentoring a favore del personale afgano destinato alle unità dell’Afghan National Police (ANP), e dell’Afghan Border Police (ABP).

Attualmente sono presenti unità dell’Arma deiCarabinieri e della Guardia di finanza.

La missione ha sede a Kabul (organismo di direzione) ed opera sia a livello regionale (presso i 5 Comandi regionali della Polizia nazionale afgana) che provinciale (presso i PRT).

La missione si avvale di circa 285 unità provenienti da 22 Stati dell’Unione europea.