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Temi dell'attività Parlamentare

Il quadro normativo e i tentativi di riforma
Quadro normativo

La più recente regolamentazione organica in Italia in materia di cooperazione allo sviluppo, come sopra già ricordato, è rappresentata dalla legge 26 febbraio 1987, n. 49,"Nuova disciplina della cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo", la cui adozione fu sostenuta da un vasto consenso politico. La legge pone come fine della cooperazione allo sviluppo sia gli interventi di medio-lungo periodo, sia gli interventi straordinari.

Essa introduce inoltre una notevole innovazione definendo la cooperazione come "parte integrante della politica estera dell'Italia", differenziando così lo strumento della cooperazione dal ruolo di promozione dell'economia italiana sul mercato internazionale. A questo principio si affianca quello in base a cui la politica di cooperazione dell'Italia deve ispirarsi ai criteri sanciti dalle Nazioni Unite e dalla Comunità europea, riconoscendo così l'importanza della interrelazione tra i diversi strumenti di aiuto internazionale.

La legge disegna un complesso sistema di organi, procedure e strumenti caratterizzati da una forte autonomia e specialità rispetto alle norme generali. Essa traccia le linee portanti dell'intervento di cooperazione, rinviando la disciplina di dettaglio non solo ad atti normativi secondari del Governo (regolamento di esecuzione, adottato con DPR 12 aprile 1988, n. 177, e decreti ministeriali) ma anche alle delibere degli organi istituiti dalla legge stessa, ossia il Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo (CICS), organo ad hoc subentrato nelle funzioni già assegnate al CIPE prima e al CIPES poi, ed il Comitato direzionale.

I principali strumenti d'intervento per realizzare le iniziative di cooperazione bilaterale sono il dono e il credito d'aiuto. La scelta dello strumento da utilizzare nei singoli casi dipende essenzialmente dalle condizioni economiche del paese beneficiario e dal tipo e dimensione dell'intervento, secondo criteri stabiliti dal CICS con proprie delibere.

Da un punto di vista finanziario, i mezzi per provvedere rispettivamente ai doni ed ai crediti vengono destinati su base annuale, con legge finanziaria, a due diversi fondi: il Fondo speciale per la cooperazione allo sviluppo ed il Fondo rotativo presso il Mediocredito centrale. Entrambi i fondi sono dotati di una speciale autonomia che li sottrae alle procedure di contabilità ordinaria.

Ai sensi della legge n. 49 del 1987, l'attività di cooperazione si svolge attraverso due canali: quello degli accordi bilaterali tra l'Italia e i singoli paesi in via di sviluppo, di cui si è detto, e quello degli accordi multilaterali. Questo secondo canale raccorda la politica di cooperazione dell'Italia con quella svolta a livello internazionale dall’Unione europea e da organizzazioni internazionali (per lo più agenzie specializzate dell'ONU). Le singole nazioni partecipano alla politica internazionale degli aiuti ai paesi in via di sviluppo attraverso la contribuzione a banche o fondi internazionali oppure il versamento di contributi volontari o obbligatori agli organismi delle Nazioni Unite.

Anche la materia della partecipazione dell'Italia a banche e fondi di sviluppo a carattere multilaterale è disciplinata dalla legge 26 febbraio 1987, n. 49 "Nuova disciplina della cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo". In particolare, l'articolo 4 della legge n. 49, attribuisce al Ministro dell’economia, in conformità con i criteri stabiliti dal Comitato interministeriale e d'intesa con i Ministri degli esteri e dell’economia, la cura delle relazioni con tali banche e fondi di sviluppo, nonché il compito di assicurare la partecipazione finanziaria dell'Italia alle risorse di detti organismi e la concessione dei contributi obbligatori agli altri organismi multilaterali di aiuto ai paesi in via di sviluppo. La concessione di contributi volontari ad organismi multilaterali rientra invece tra le finalità proprie della cooperazione a dono ed è gestita dalla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri.

Pur senza giungere ad una riforma organica della disciplina della cooperazione allo sviluppo, a partire dalla fine del 1991 sono intervenute una serie di modifiche legislative, alcune delle quali fortemente incisive; la ratio che unifica molti degli interventi in questione è quella di ricondurre all'ordinario molte delle norme che caratterizzavano la specialità, ormai entrata in crisi, dell'intervento di cooperazione.

Si ricorda, infine, il tema della riduzione del debito estero dei Paesi in via di sviluppo, e in particolare la legge 25 luglio 2000, n. 209, recante “Misure per la riduzione del debito estero dei Paesi a più basso reddito e maggiormente indebitati”.

Il provvedimento è diretto a rendere operative le intese raggiunte dai Paesi creditori in ambito multilaterale in tema di trattamento del debito estero, nonché a favorire e promuovere misure destinate alla riduzione della povertà delle loro popolazioni. Per i soli Paesi aderenti all’Iniziativa HIPC (Paesi poveri altamente indebitati), tale annullamento può essere concesso a condizioni diverse da quelle concordate in ambito multilaterale.

Le iniziative legislative di riforma nelle ultime legislature

Il disegno normativo tracciato dalla legge n. 49 del 1987 si è tuttavia presto rivelato inadeguato.

Non solo si andava ampliando la cooperazione a diretta conduzione dell'Unione Europea (a seguito dell'introduzione nel Trattato di Maastricht di uno specifico Titolo avente ad oggetto la cooperazione allo sviluppo), ma soprattutto richiamavano attenzione i sospetti adombrati sulla gestione della cooperazione, tali da dare luogo a vicende giudiziarie e all'istituzione, nella XII legislatura, di un'apposita Commissione parlamentare d'inchiesta.

In quella temperie emerse per la prima volta, ad esempio, la proposta di affidare la gestione dei progetti di cooperazione ad una agenzia esterna, mantenendo alla struttura amministrativa statale il coordinamento, la decisione e la negoziazione.

Al contempo si susseguivano, sul piano normativo, più interventi legislativi, tali da erodere il regime di specialità disegnato dalla legge n. 49 del 1987 per la cooperazione.

Così, ad esempio, la disposizione della legge n. 49 che prevedeva in determinati casi il ricorso alla stipula di contratti in forma diretta e a trattativa privata per l'attuazione di iniziative di cooperazione, era abrogata da nuova disposizione (articolo 3 della legge 30 dicembre 1991, n. 412), che rendeva obbligatoria l'effettuazione di gare pubbliche secondo la normativa comunitaria (ad esclusione degli interventi straordinari e delle iniziative delle organizzazione non governative riconosciute idonee, secondo deroga poi estesa al settore delle attività di formazione e di ricerca dalla successiva legge 16 luglio 1993, n. 255). Ancora, il Fondo speciale per la cooperazione allo sviluppo (uno dei due strumenti finanziari previsto dalla legge n. 49 (l'altro è il Fondo rotativo presso il Mediocredito centrale) era soppresso (dall'articolo 4 della legge 23 dicembre 1993, n. 559), riconducendo quella gestione fuori bilancio alle ordinarie poste dello stato di previsione del Ministero degli affari esteri.

Infine, veniva soppresso il Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo (per effetto della legge 24 dicembre 1993, n. 537 e del d.P.R. 20 aprile 1994, n. 373), riconducendo l'indirizzo e la programmazione al CIPE, organo “generalista”.

Nella XIII legislatura, l'intento riformatore della legge n. 49 raccolse consensi presso ampia parte dello schieramento politico. Si giunse così all'approvazione presso il Senato prima e presso la Commissione esteri della Camera poi, di un disegno di legge di riforma della cooperazione allo sviluppo. Il successivo esame presso l'Assemblea fu tuttavia interrotto anche per l'intervenuta cessazione della legislatura.

Nella XIV legislatura furono presentati in Senato otto disegni di legge, ma i lavori del comitato ristretto istituito nell’ambito della Commissione esteri si chiusero senza la pubblicazione di un testo unificato. Dal raffronto dei progetti di riforma presentati, emerge come uno dei profili centrali e maggiormente dibattuti fosse già allora la collocazione istituzionale per così dire operativa della cooperazione, se posta entro una apposita Agenzia, o in un Ente per la cooperazione allo sviluppo ovvero in apposito dipartimento nell’ambito della Presidenza del Consiglio o ancora, mantenuta all'amministrazione degli affari esteri.

Nella XV legislatura, il tema della riforma della cooperazione allo sviluppo venne riproposto in Senato, oltre che con l’indagine conoscitiva deliberata nel gennaio 2007 dalla Commissione esteri (e conclusa il 26 febbraio 2008), con la presentazione di quattro disegni di legge di iniziativa parlamentare e, per la prima volta, di un disegno di legge governativo .

La collaborazione tra gruppi parlamentari e Governo in seno al Comitato ristretto ha dato vita, il 5 dicembre 2007, al testo unificato proposto dal relatore che si configurava non già come un disegno di legge delega – come era il ddl governativo – ma come un ddl ordinario contenente alcune deleghe su punti specifici.

Nonostante una generale condivisione di tale testo, alcuni membri del Comitato ristretto hanno continuato ad avanzare le loro riserve su alcuni aspetti cruciali della riforma, primo fra tutti, ancora una volta, l’istituzione e le caratteristiche dell’Agenzia per la cooperazione la cui istituzione era demandata, dall’art. 14 del testo unificato, a successivi decreti legislativi.

La Commissione ha stabilito quindi (5 dicembre 2007) di riprendere i lavori dell’indagine conoscitiva incentrando le successive audizioni sul testo base del relatore; a causa dello scioglimento anticipato delle Camere la Commissione non ha potuto portare a termine l’intero programma di audizioni né, di conseguenza, le successive fasi dell’iter del provvedimento.

 

Il testo unificato dei disegni di legge nn. 83, 517, 1260, 1398, 1537, 1599 e 1641

Il testo unificato di riforma della disciplina sulla Cooperazione allo sviluppo è composto di 20 articoli raggruppati in sei Capi.

Il Capo I delinea i principi fondamentali e le finalità della cooperazione allo sviluppo; viene riconfermato che essa è parte integrante della politica estera italiana e viene stabilita la finalità della costruzione di relazioni fondate sui principi di indipendenza e di partenariato.

Il Capo II (indirizzo politico, governo e controllo della cooperazione) stabilisce innanzitutto che la responsabilità politica è posta in capo al Ministro degli affari esteri e prevede l’elaborazione di un documento triennale di programmazione e di indirizzo, aggiornato annualmente, approvato dal Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro degli affari esteri con il parere delle competenti Commissioni parlamentari di Camera e Senato, della Conferenza unificata Stato, Regioni e autonomie locali e della Consulta per la cooperazione.

Inoltre, il Capo II istituisce un Vice Ministro competente ad hoc e un Fondo unico cui dovrebbero confluire tutte le risorse destinate all’APS, salvo quelle di competenza del Ministero dell’economia e delle finanze; istituisce anche un Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo (CICS), che costituisce la principale differenza rispetto all’impianto del disegno di legge di iniziativa governativa.

Il Capo III definisce gli ambiti di applicazione con riferimento ai contributi multilaterali, alle relazioni bilaterali, alle iniziative di carattere multibilaterale, all’emergenza umanitaria e alla questione della cooperazione decentrata.

Il Capo IV attribuisce al governo la delega per l’istituzione dell’Agenzia per la cooperazione e la solidarietà internazionale. Rispetto al ddl del governo, da cui prende spunto, il testo unificato si differenzia in parte nell’accentuare il carattere esecutivo dell’Agenzia stessa snellendone al contempo la struttura ed eliminando gli elementi che ne avrebbero potuto configurare un ruolo politico, che nel testo unificato del relatore spetta invece al Ministro degli esteri e al CICS.

Il Capo V è dedicato alla partecipazione della società civile nella realizzazione di programmi e progetti di cooperazione allo sviluppo, che deve avvenire sulla base del principio di sussidiarietà. Il Capo V conferisce una delega al governo ad adottare i decreti legislativi necessari a disciplinare il servizio civile prestato all'estero dai volontari internazionali e ad istituire una Consulta per la cooperazione allo sviluppo, rappresentativa dei soggetti della società civile, con il compito, tra l’altro, di fornire al Ministro degli esteri osservazioni e pareri su ogni aspetto della cooperazione e della solidarietà internazionale.

Il Capo VI, infine, contiene le clausole transitorie e finali.