La realizzazione degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio nel continente africano è monitorata annualmente dall’AUC (Commissione dell’Unione Africana), dall’UNECA (United Nations Economic Commission for Africa), dall’AfDB (African Development Bank) e dall’Ufficio Regionale per l’Africa dell’UNDP (United Nations Development Programme) e riportata nel Rapporto congiunto Assessing Progress in Africa toward the Millennium Development Goals.
L’edizione 2012 del Rapporto menzionato, a tre anni di distanza dalla scadenza fissata (2015), riferisce innanzitutto del dibattito per la costruzione di un percorso che vada oltre tale scadenza, partendo dalla specificità delle priorità africane che dovranno caratterizzare l’agenda post 2015, in base ai risultati fino a quel momento ottenuti. Il completamento del percorso fissato dagli otto Obiettivi non è comunque considerato il target finale, poiché è da tutti riconosciuto che soprattutto necessario il mantenimento successivo dei progressi realizzati perché la differenza sia tangibile per la gente comune.
Il Rapporto mostra che, prima dell’insorgere della crisi alimentare ed energetica e prima della recessione globale, i paesi africani stavano facendo grandi progressi per il conseguimento degli Obiettivi del Millennio. Sebbene non siano ancora disponibili tutti i dati sull’impatto delle tre crisi sul raggiungimento degli otto Obiettivi, è ormai acclarato che molti paesi africani sono stati duramente colpiti da esse. Tuttavia, grazie al supporto dei partner internazionali, tra i quali anche la Banca africana di Sviluppo e l’UNDP, sono state prese le misure per contrastare le conseguenze della contingenza sfavorevole.
Sebbene dunque il continente africano non potrà raggiungere tutti gli Obiettivi fissati entro il 2015, sono visibili i progressi effettuati nella maggior parte di essi. Non sarà però raggiunto l’Obiettivo di sradicare la povertà estrema e la fame (Goal 1) che, nel continente africano (escluso il Nord Africa), è passata dal 56,5 per cento nel 1990 al 47,5 nel 2008. E’ la macroregione che, a livello mondiale, ha compiuto i più scarsi progressi, mancando ancora, per il conseguimento totale, il 41% dell’Obiettivo. Con i dati disponibili al momento, si può dire con certezza che solo Tunisia, Egitto (paese nel quale il rapporto tra povertà totale e povertà femminile è più elevato) e Cameroon sono riusciti a dimezzare il tasso di povertà rispetto al 1990.
Sia il tasso di povertà che il numero di poveri sono diminuiti negli anni a partire dal 1990, ma la diminuzione avviene troppo lentamente a causa di una crescita troppo modesta, del rilevante aumento della popolazione, delle persistenti ineguaglianze geografiche e di genere.
Come il Rapporto sottolinea, la riduzione della povertà non è soltanto fine a se stessa, ma è la condizione grazie alla quale anche gli altri Obiettivi potranno essere raggiunti in tempi più brevi. Infatti, a titolo esemplificativo, il Rapporto afferma che l’aumento del potere di acquisto delle persone, e in special modo quello delle donne, si ripercuote spesso positivamente su altri aspetti della vita famigliare, come quelli dell’istruzione e delle scelte riguardanti la salute. E’ infatti evidente che le persone che vivono al di sopra della soglia di povertà (1,25 dollari al giorno) ed hanno lavori stabili, sono maggiormente in grado di offrire una buona educazione ai loro figli e possono più facilmente accedere ai servizi medici di base.
Il Rapporto informa però che gli impieghi vulnerabili contano per oltre il 70% e di questi, la maggior parte riguardano il lavoro femminile, e che esiste un fenomeno di nuova povertà che colpisce parte della classe media, cresciuta esponenzialmente negli ultimi tre decenni.
La povertà è ancora inegualmente distribuita tra città e aree rurali, con forte penalizzazione di queste ultime e in alcuni casi, come in Etiopia, la rapida riduzione della povertà nel paese ha però portato con sé un aumento della differenza delle condizioni tra aree urbane e aree rurali.
L’elevato aumento della popolazione è una delle cause del rallentamento della riduzione della povertà, perché diluisce i risultati della crescita economica, appesantisce le strutture sanitarie ed educative, esaspera l’enorme pressione sulla spesa pubblica che l’Africa deve mettere in bilancio per affrontare, ad esempio, alcuni problemi quali la diffusione dell’AIDS e altre epidemie. La povertà stessa, però, favorisce l’aumento della popolazione perché la povertà e le sue cause (la crisi agricola, la scarsa istruzione, la posizione subordinata delle donne) tendono a perpetuare una elevata fertilità, in un circolo vizioso difficile da spezzare. L’esperienza del Ruanda, che negli ultimi cinque anni è riuscita ad accelerare il passo verso la riduzione della povertà, insegna che questo obiettivo è ottenibile solo attraverso una crescita inclusiva orientata alla riduzione dell’ineguaglianza, all’estensione della protezione sociale e al miglioramento dell’accesso al credito.
Il caso del Ruanda rafforza la convinzione che è necessario rafforzare il legame tra crescita e riduzione della povertà. Una delle ragioni per cui una crescita economica considerevole può spesso non tradursi in un’altrettanto considerevole diminuzione della povertà è la relativamente scarsa reattività della riduzione della povertà alla crescita (misurata attraverso l’indice di “elasticità della povertà in rapporto alla crescita”, che rivela la riduzione della povertà associata ad un aumento unitario della crescita. Più è alta l’elasticità ella povertà in rapporto alla crescita, più gli effetti della crescita sulla riduzione della povertà sono evidenti). La crescita media dell’elasticità della povertà, in valori assoluti, in rapporto alla crescita, in Africa è inferiore - talvolta in larga misura - a quella delle altre regioni.
Anche l’accesso limitato delle zone rurali alle infrastrutture moderne come strade, elettricità e telecomunicazioni, ha inoltre ridotto il potenziale contributo alla crescita.
Nonostante la riduzione del tasso di povertà, nell’Africa Subsahariana rimane molto alta la malnutrizione tra i bambini al di sotto dei cinque anni, che sono proporzionalmente diminuiti in misura molto ridotta. Il continuo aumento dei prezzi dei generi alimentari è stata una delle cause che hanno ostacolato un progresso in questo ambito e, ancora una volta, i più colpiti sono i bambini che vivono nelle aree rurali con la consueta ulteriore penalizzazione che interessa le bambine.
Sarà raggiunto invece l’Obiettivo riguardante l’istruzione primaria universale (Goal 2): in alcuni paesi africani il tasso di iscrizione alla scuola primaria è superiore al 90 per cento - Algeria, Burundi, Egitto, São Tomé e Principe, Tanzania, Togo e Tunisia hanno già superato il target - anche se la qualità dell’istruzione non è ancora soddisfacente. Anche i dati sul completamento del ciclo primario sono sconfortanti, in particolar modo per quanto riguarda il numero di bambine che abbandona prematuramente la scuola. Il Rapporto elenca una serie di cause che contribuiscono alla scelta di abbandonare la scuola e che concorrono a produrre un’istruzione di scarsa qualità. Fra queste: l’assenteismo degli insegnati, l’iscrizione in un’età troppo avanzata rispetto al ciclo di insegnamento, la malnutrizione e i problemi di salute dei bambini, l’eccessiva distanza dalla scuola, le ristrettezze finanziarie.
Notevoli progressi sono stati registrati, sempre per quanto riguarda l’istruzione, anche nel campo della parità di genere, che costituisce una parte importante del Goal 3 (Promuovere l’uguaglianza di genere e l’autonomia delle donne) del quale si prevede il raggiungimento entro il 2015. Il Rapporto ragazze/ragazzi nel ciclo scolastico primario è in generale in via di miglioramento anche se le iscrizioni dei ragazzi sono ancora superiori a quelle delle ragazze. Secondo i dati UNESCO riferiti al 2012, su 50 paesi africani di cui sono noti i dati, 32 hanno un indice di parità di genere nell’insegnamento primario inferiore a 1 (meno iscrizioni femminili rispetto a quelle maschili), 16 paesi hanno un indice uguale a 1 e solo 2 paesi (Gabon e Zimbabwe) hanno un indice superiore ad 1 (con una maggioranza di iscrizioni di bambine rispetto ai bambini). I progressi nel raggiungimento della parità di iscrizione nella scuola secondaria e terziaria sono invece più lenti.
Molto consistenti i progressi per quanto riguarda l’impiego delle donne nella politica: il Rapporto informa che per quanto riguarda la proporzione dei seggi assegnati alle donne nei parlamenti nazionali, sette paesi africani (Rwanda, Sudafrica, Mozambico, Angola, Tanzania, Burundi e Uganda) hanno già raggiunto il target del 30 per cento, mentre gli altri paesi stanno avanzando rapidamente verso questo obiettivo. I progressi più consistenti si sono registrati nell’Africa del Nord.
Gli obiettivi riguardanti la riduzione della mortalità infantile (Goal 4) e il miglioramento della salute materna (Goal 5), strettamente collegati, non saranno raggiunti. Tutti gli indicatori infatti mostrano che i progressi, pur in atto, non sono sufficientemente rapidi per garantire i cambiamenti auspicati.
Non sarà raggiunto il Goal 6 sulla lotta all’AIDS, malaria e altre malattie infettive, ma i progressi sono continui ed evidenti. La caduta nel tasso di diffusione, soprattutto fra le donne, è rilevante, così come la diminuzione del tasso di incidenza (cioè le nuove infezioni) e la riduzione del numero delle morti per cause collegate all’AIDS e la trasmissione del virus HIV da madre a figlio. Tali progressi sono da attribuire ai cambiamenti comportamentali avvenuti negli ultimi anni ed all’accesso sempre più diffuso alle terapie antiretrovirali in tutti i paesi africani. L’accesso a tali terapie è pero attualmente minacciato – e in tal senso potrà creare problemi ai paesi maggiormente interessati dalla malattia – a causa dei problemi riguardanti il reperimento dei fondi per finanziare il Fondo Globale per la lotta contro AIDS, TBC e malaria, per il quale è stato annunciato l’annullamento dell’11 round di rifinanziamento.
Il Goal 7, che prevede la realizzazione di un ambiente sostenibile, influisce nettamente sull’andamento di tutti gli altri Obiettivi dato che la conservazione dell’ambiente e una sua sana gestione costituiscono uno degli elementi fondamentali per la riduzione della povertà. La diminuzione della superficie coperta da foreste costituisce un serio problema per il continente africano che, più di altre regioni, si trova ad affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici in corso. Le emissioni di biossido di carbonio si sono stabilizzate nella maggior parte dei paesi africani, che hanno anche abbassato i consumi di sostanze nocive per l’ozono. 27 paesi, inoltre, hanno fatto registrare aumenti di aree protette, sia terrestri che marine, con un conseguente effetto di maggiore protezione della biodiversità (25 paesi nel 2010 hanno raggiunto il target di avere assegnato almeno il 10 per cento del proprio territorio e delle aree marine ad aree protette. Botswana, Zimbabwe e Guinea Bissau sono al vertice di questa classifica).
Il target che prevede il dimezzamento del numero di persone che non hanno accesso all’acqua potabile e a servizi igienici di base è stato raggiunto in tutto il mondo tranne che in Africa. La percentuale di popolazione africana che ha avuto accesso a questi servizi è passata dal 56 per cento nel 1990 al 66 per cento nel 2010, un dato ancora troppo lontano dal 78 per cento fissato per il raggiungimento del target.
Quanto al Goal 8 (Sviluppare una partnership globale per lo sviluppo) si segnala solo che, riguardo al target relativo agli aiuti per le necessità dei paesi meno sviluppati, l’aiuto pubblico allo sviluppo proveniente dai donatori dell’OCSE (paesi DAC) ha raggiunto il picco più alto nel 2010 con finanziamenti pari a 129 miliardi di dollari, equivalenti allo 0,32 per cento del PIL degli stessi paesi (una percentuale di PIL superiore dello 0,01 per cento rispetto all’anno precedente). Tale impegno resta tuttavia ancora lontano dall’obiettivo dello 0,7% fissato dalle Nazioni Unite, raggiunto solo da cinque paesi, tutti europei: Danimarca, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia.
Il finanziamento dello sviluppo rimane ancora un punto importante e irrisolto nell’agenda internazionale e il Rapporto sottolinea con forza la necessità che l’Africa si affranchi da una dipendenza troppo forte dagli aiuti dell’OCSE - i cui paesi sono nella contingenza afflitti dalla crisi economica globale - e che diversifichi pertanto le proprie fonti di finanziamento. In tale direzione, l’African Steering Group per gli Obiettivi del Millennio, supportata dai maggiori leader africani, ha individuato nel miglioramento del sistema fiscale e della gestione delle tasse un importante traguardo per una parziale soluzione del problema.
Inoltre, la promozione dei prodotti africani sul mercato globale potrà costituire un valido supporto, così come è dimostrato dalla continua crescita dell’iniziativa AfT (Aid for Trade). AfT è un’iniziativa in ambito WTO che ha lo scopo di aiutare i paesi in via di sviluppo, e in particolare i paesi meno sviluppati, a mettere a punto pratiche ed infrastrutture necessarie per implementare e beneficiare degli accordi WTO e per espandere i loro commerci. Sconta al momento il limite di essere circoscritta a troppo pochi paesi.