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Temi dell'attività Parlamentare

Il Rapporto 2012 delle Nazioni Unite sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio

E’ stato presentato il 2 luglio 2012 a New York il Millennium Development Goals(MDGs) Report 2012 pubblicato a cura delle Nazioni Unite che si basa, come i precedenti, su dati raccolti ed elaborati da Agenzie specializzate delle Nazioni Unite e da un gruppo di esperti internazionali, sotto la direzione del Dipartimento degli Affari economici e sociali del Segretariato delle Nazioni Unite. Il Rapporto mette subito in evidenza che tre importanti target sono stati raggiunti: quello del dimezzamento dell’estrema povertà (raggiunto cinque anni prima della scadenza fissata al 2015), quello del dimezzamento della popolazione che non ha accesso a fonti affidabili di acqua potabile e quello che stabiliva, entro il 2020, il miglioramento delle condizioni di vita di cento milioni di abitanti delle baraccopoli. Il raggiungimento degli altri target viene considerato difficoltoso e tuttavia possibile, ma solo se i governi non si discosteranno dagli impegni assunti.

Come ha affermato il Segretario generale dell’ONU, Ban ki-Moon, nel presentare il nuovo Rapporto, gli ulteriori successi sono legati alla realizzazione dell’Obiettivo n. 8, che mira alla costruzione del partenariato globale per lo sviluppo per raggiungere i goals da 1 a 7. Il Segretario generale ha anche lanciato un monito affinché la crisi economica in atto nel mondo sviluppato, non rallenti o inverta i risultati ottenuti.

Il Rapporto tratteggia ancora uno scenario piuttosto articolato: da un lato è dimostrata la validità della scelta fatta nel 2000 di dare vita al progetto ambizioso degli Obiettivi del Millennio, ma dall’altro i progressi fin qui conseguiti mostrano il permanere di una disuguaglianza - sia sotto il profilo geografico, sia riguardo il grado di realizzazione di alcuni Obiettivi rispetto ad altri - che colpisce in maniera drammatica le fasce dei più poveri fra i poveri. Viene messo in luce inoltre il fatto che il procedere verso il traguardo finale è stato rallentato a causa della crisi economico-finanziaria, tuttora in corso, iniziata nel 2008-2009, di poco preceduta da una grave crisi alimentare.

Il Rapporto ricorda una volta ancora che la scadenza del 2015 è alle soglie e per raggiungere gli Obiettivi rimanenti, i governi, la comunità internazionale, la società civile e il settore privato, devono intensificare i loro contributi. Sta prendendo forma una nuova ambiziosa agenda per lo sviluppo per continuare sulla strada degli MDGs oltre il 2015, anche alla luce di quanto emerso dalla Conferenza Rio+20 dello scorso mese di giugno. A questo fine è stato istituito un Task Team interno al sistema delle Nazioni Unite per il coordinamento nella preparazione degli obiettivi post 2015 e a sostegno del lavoro del costituendo Panel ad Alto livello co-presieduto dai presidenti Yudoyono (Indonesia) e Johnson Sirleaf (Liberia) e dal primo ministro Cameron (Regno Unito).

L'Obiettivo 1

Per la prima volta dal 1990, momento nel quale la Banca Mondiale ha cominciato ad osservare le tendenze sulla povertà, sia il numero delle persone che vivono al di sotto della soglia di povertà (meno di 1,25 dollari al giorno) che il tasso di povertà sono diminuiti in tutte le regioni in via di sviluppo. Il numero delle persone estremamente povere, che erano oltre due miliardi nel 1990 (47 per cento della popolazione mondiale) è sceso nel 2008 a meno di 1,4 miliardi (24 per cento) mentre studi condotti dopo il 2008 dimostrano che la percentuale di popolazione mondiale che vive in povertà è ancora in diminuzione nonostante il rallentamento del trend dovuto alla crisi alimentare e all’aumento dei prezzi di cibo e carburanti. Il Rapporto segnala il rilevante progresso della Cina, dove il tasso di povertà è precipitato dal 60 (1990) al 13 per cento (2008), ma anche la diminuzione della povertà nell’Africa Sub sahariana, che pure rimane la regione dove fame e povertà fanno ancora registrare dati allarmanti (Nel 2008 il 47% della popolazione viveva ancora con meno di 1,25 dollari al giorno. La diminuzione del tasso di povertà è stata, nel corso di diciotto anni -1990/2008 -, solo del 9%).

Nel presentare il Rapporto 2012, il Segretario generale dell’Onu ha voluto mettere l’accento sulla necessità di porre il lavoro in cima alla lista delle priorità, questione che tanto preoccupa le giovani generazioni, e in particolare un lavoro dignitoso (“decent job” secondo la definizione coniata da Juan Somavia, Direttore Generale dell'ILO - International Labour Organization), che possa procurare un reddito prevedibile e stabile per abitanti delle città, delle campagne, per i poveri e i marginalizzati.

Il Rapporto informa che nel 2011 c’erano 456 milioni di lavoratori che in tutto il mondo vivevano al di sotto della soglia di povertà, 233 milioni meno che nel 2000, e che tale riduzione è da attribuire in gran parte alla rilevante riduzione dell’estrema povertà tra i lavoratori dell’Asia orientale.

Quanto al numero di persone malnutrite nei paesi in via di sviluppo, questo sembra essersi stabilizzato negli ultimi due decenni intorno agli 850 milioni (Dati FAO pubblicati nel 2011 e riferiti al periodo 2006-2008). Cionondimeno, il tasso di malnutrizione in rapporto con il totale della popolazione dei paesi in via di sviluppo è in costante calo (dal 19,8% nel periodo 1990-92 al 15,5% nel periodo 2006-08), non in misura tale, tuttavia, da far ritenere che il target che prevedeva il dimezzamento del tasso di malnutrizione entro il 2015 potrà essere raggiunto. L’area più colpita è ancora quella dell’Africa sub sahariana, dove le conseguenze della crisi alimentare e finanziaria hanno prodotto il maggiore impatto. Nell’Asia orientale (esclusa la Cina), la misurazione dei progressi verso il superamento della privazione da cibo ha addirittura mostrato un’inversione di tendenza a partire dagli anni 2000. Particolarmente grave il dato che riguarda i bambini sottopeso al di sotto dei cinque anni che, nei paesi in via di sviluppo, sono quasi uno su cinque. E’ nell’Asia meridionale la situazione peggiore, dove – India esclusa - quasi un terzo dei bambini erano sottopeso nel 2010.

Il Rapporto riporta anche i dati riguardanti il numero dei rifugiati e degli sfollati, che rimane alto nonostante un incremento dei rimpatri nel 2011. Si calcola che nel 2011 vi siano stati 26,4 milioni di sfollati interni, 15,2 milioni di rifugiati e 900 mila richiedenti asilo, per un totale di 42,5 milioni di persone che, in tutto il mondo, nel 2011, vivevano in un luogo nel quale erano stati forzati ad andare a causa di conflitti armati o persecuzioni. Quattro su cinque rifugiati sono ospiti in paesi sviluppati.

L'Obiettivo 2

Le iscrizioni alle scuole primarie sono aumentate in tutto il mondo in via di sviluppo a partire dall’anno di riferimento 1999, ma ad un passo che, già non molto veloce, è andato ulteriormente rallentando a partire dal 2004. La regione che ha fatto registrare più progressi è quella dell’Africa sub-sahariana anche se, date le condizioni di partenza, continua a rimanere quella con il più alto numero di bambini fuori dalla scuola (33 milioni, pari al 24% della popolazione sub sahariana in età scolare di primo grado e pari ad oltre la metà dei 61 milioni di bambini che in tutto il mondo non avevano frequentato le classi di istruzione primaria nel 2010). Naturalmente i più soggetti all’esclusione sono i bambini poveri, ancor di più le bambine, allo stato di rifugiati o che vivono in zone afflitte da conflitti. Si è registrata, tra il 1999 e il 2010, una diminuzione del tasso di esclusione delle bambine dalla scuola primaria (dal 58 al 53 per cento) ma, se tale miglioramento rispecchia la situazione generale, in alcune aree dell’Asia occidentale, e del Nord Africa, la percentuale è molto più alta (rispettivamente 55,6 e 79 %).

Ma il dato deve essere letto insieme a quello – anch’esso in miglioramento - che riguarda il completamento del ciclo scolastico primario che, globalmente, è salito dall’81% nel 1999 al 90% nel 2010.

L’analfabetismo investe però ancora circa 122 milioni (dati riferiti al 2010) di giovani fra i 15 e i 24 anni - 74 milioni donne, 48 milioni maschi – che abitano per lo più nell’Asia meridionale e nell’Africa Sub sahariana.

L'Obiettivo 3

L’Obiettivo di raggiungere la parità di genere in tutti i livelli di istruzione sta avanzando, anche se ancora persistono disparità in molte regioni. Riguardo l’educazione primaria, la parità è raggiunta nelle regioni del Caucaso e dell’Asia centrale, dell’America latina e dell’Asia sudorientale; riguardo l’istruzione terziaria, invece, va notato come in ben cinque macroregioni vi sia una prevalenza femminile (Asia orientale, Nord Africa, Caucaso-Asia centrale, Asia sudorientale e America Latina).

Il gap tra uomini e donne sul piano dell’accesso a lavori retribuiti in campi diversi dall’agricoltura rimane in almeno la metà delle regioni, con le maggiori disparità in Asia occidentale, Asia meridionale e Nord Africa.

Le donne tendono ad essere impiegate nei lavori collocati ai osti più bassi della scala lavorativa e, a livello globale, le posizioni di senior manager sono ricoperti da donne solo per il 25 per cento. La percentuale di donne che svolgono lavori informali al di fuori dell’agricoltura è ancora molto alta in alcuni paesi come Mali, Zambia, India e Madagascar (oltre l’80%) e Perù, Paraguay, Uganda, Honduras, Bolivia, El Salvador e Liberia (75%).

La rappresentanza femminile nei parlamenti di tutto il mondo (monocamerali, o nelle camere basse) è in continuo, ancorché molto lento aumento. Persiste dunque una forte disparità fra il numero delle donne parlamentari e i loro colleghi uomini, talché il target della parità sarà ben lontano dall’essere raggiunto nel 2015. Alla fine di gennaio del 2012 le donne ricoprivano il 19,7% dei seggi parlamentari a livello globale: il 23 % dei seggi nei paesi sviluppati contro il 18% dei paesi in via di sviluppo. Le situazioni peggiori si registrano in Oceania, Asia occidentale e Africa settentrionale, mentre il livello più alto di presenza femminile si riscontra nei parlamenti dei paesi del nord Europa.

L'Obiettivo 4

La riduzione di due terzi della mortalità dei bambini al di sotto dei cinque anni sta continuando ad avanzare in tutti i paesi, ma ad un passo troppo lento, tale per cui il traguardo non sarà raggiunto nel termine prefissato della fine del 2015.

Nonostante gli innegabili progressi in tutti i pvs (il tasso di mortalità è sceso del 35% dal 1990 al 2010), la mortalità infantile rimane considerevolmente alta nell’Africa sub Sahariana e nell’Asia Meridionale, regioni nelle quali si concentra l’82% dei decessi di bambini (6,2 milioni nel 2010). L’Obiettivo è invece stato raggiunto nell’Africa settentrionale, dove il tasso di mortalità è sceso del 67% nel ventennio 1990-2010, mentre l’Asia orientale sta per raggiungerlo, essendosi verificata una diminuzione pari al 63%. Prescindendo dalle differenze geografiche, tuttavia, i bambini che vivono in aree rurali o molto difficili da raggiungere, o che appartengono a famiglie poverissime, sono naturalmente molto più a rischio della media. Buona parte dei miglioramenti nel perseguimento dell’Obiettivo è dovuta alla diffusione della vaccinazione antimorbillo che, nei paesi in via di sviluppo, ha raggiunto l’84% dei bambini nel 2010 (contro il 70% nel 2000) determinando una riduzione dei decessi pari al 74% in dieci anni.

Il Rapporto informa anche che i progressi registrati non sono però riferibili alle morti nel periodo neonatale (il primo mese dopo la nascita) che, al contrario sono in aumento. Il livello di istruzione delle madri è un fattore che incide fortemente sulla mortalità infantile, che si presenta tanto più bassa quanto maggiore è il grado di cultura delle genitrici, come dimostrano i dati raccolti nel 2010 in 78 paesi in via di sviluppo.

L'Obiettivo 5

Rimane un evidentissimo gap tra i dati sulla salute materna riguardanti le regioni sviluppate e quelle in via di sviluppo, dove il tasso di mortalità è di 15 volte superiore. Malgrado gli interventi effettuati per prevenire i decessi in gravidanza o durante il parto, i progressi sono ancora troppo deboli in molte parti del mondo, prima fra tutte l’Africa sub sahariana, dove si registrano (dati del 2010) 500 donne decedute ogni 100.000 nati vivi. Il dato è ancor più drammatico se paragonato a quello dei paesi sviluppati, dove il rapporto è di 16 a 100.000.

Del resto, l’Africa sub sahariana è anche la regione nella quale si verifica un numero molto basso di parti assistiti da personale qualificato (45 %) e i dati, se confrontati con quelli del 1990 (42%), non sembrano mostrare tendenze incoraggianti. Molto diversa invece la situazione nel Nord Africa, dove si registra il cambiamento più rilevante (dal 51% nel 1990 all’84% del 2010).

L’Obiettivo 5, attraverso i suoi target, monitora altri e diversi aspetti correlati con la salute materna. Si viene così a conoscenza del fatto che è in aumento la percentuale di donne (età tra 14 e 49) che riceve almeno una visita medica (o di altro personale qualificato) durante la gravidanza, ma che non abbastanza donne ricevono una sufficiente assistenza prenatale (il numero raccomandato è di almeno quattro visite in gravidanza); quest’ultimo dato è addirittura in calo nell’Africa sub sahariana dove si stima che, nel 2010, 46 donne su 100 siano state sottoposte ad un minimo di quattro visite in gravidanza, mentre nel 1990 il numero era di 50.

Vi è poi ancora il grave problema delle gravidanze adolescenziali (tra i 15 e i 19 anni): la gravidanza, infatti, se iniziata troppo precocemente, reca con sé maggiori rischi di complicazioni e perfino di morte. Sebbene si riscontrino dei miglioramenti, i progressi in questo campo vanno molto a rilento, soprattutto, ancora una volta, nell’Africa sub-sahariana, dove rimane elevatissimo il numero delle nascite da madri adolescenti(120 su mille nel 2009), oltre cinque volte in più della media nei paesi in via di sviluppo ed oltre il doppio della media dei pvs (nelle regioni sviluppate la proporzione è di 23 madri adolescenti ogni 1.000 nascite; nell’insieme dei paesi in via di sviluppo è di 52). In quasi tutte le regioni, inoltre, si registra, dopo un’iniziale sensibile diminuzione del numero delle madri adolescenti (avvenuta nel corso degli anni Novanta), un rallentamento di tale tendenza, quando non addirittura una sua inversione.

Il capitolo dei contraccettivi mostra un aumento del loro uso fra le donne - tra i 15 e i 49 anni - sposate o comunque accoppiate: oltre la metà di queste faceva ricorso nel 2010 ad una qualche forma di contraccezione, salvo che in due regioni, l’Africa sub-sahariana e l’Oceania. Nell’Asia orientale, dove l’uso dei contraccettivi è mediamente superiore a quello del mondo sviluppato, si è registrata negli ultimi dieci anni un’inversione di tendenza (da 86 donne accoppiate su cento nel 2000 a 84 nel 2010).

Il Rapporto rileva inoltre un lento declino del bisogno non soddisfatto di pianificazione famigliare da parte di donne che vorrebbero ritardare la gravidanza ma non fanno uso di contraccettivi; ancora una volta le percentuali indicano nell’Africa sub-sahariana (seguita dai Caraibi) la regione dove il fenomeno è più accentuato. Gli aiuti per la pianificazione famigliare, in proporzione al totale degli aiuti destinati alla salute sono diminuiti percentualmente nell’ultimo decennio. Una minima inversione di tendenza si è riscontrata però tra il 2009 e il 2010 dove i fondi per i servizi di pianificazione famigliare, rispetto a quelli destinati alla salute in generale, sono passati dal 2,5 al 3,2 per cento.

L'Obiettivo 6

Nell’Africa sub-sahariana, dove l‘epidemia di AIDS ha colpito il maggior numero di persone, si registra un trend incoraggiante, dato che dei 33 paesi nei quali il numero delle nuove infezioni è diminuito, 22 appartengono proprio a quella regione. I nuovi casi registrati nel 2010 a livello globale – 2,7 milioni di persone, fra cui 390 mila bambini – sono stati inferiori del 21 per cento rispetto ai nuovi casi del 1997 (l’anno in cui si è riscontrato il picco più alto) e inferiori del 15 per cento rispetto al 2001.

Alla fine del 2010, circa 34 milioni di persone vivevano con il virus dell’HIV, il 17% in più rispetto al 2001. Questo aumento, sostenuto anche dalle nuove infezioni, riflette soprattutto la significativa diffusione dell’accesso alla terapia antiretrovirale: sempre alla fine del 2010, 6,5 milioni di persone erano sottoposte a tale terapia nei paesi in via di sviluppo. Sebbene questo costituisca un incremento di circa 1,4 milioni di persone in confronto a quelle in trattamento alla fine dell’anno precedente, il target dell’accesso universale entro il 2010 è stato mancato ampiamente. L’accesso al trattamento è in aumento in tutte le macroregioni; fa eccezione l’Asia occidentale dove, tra il 2009 e il 2010, si è registrata addirittura una lieve flessione. Si calcola comunque che, a partire dal 1995, nei paesi a basso e medio reddito si siano evitate circa 2,5 milioni di morti proprio grazie all’introduzione della terapia antiretrovirale.

Le donne e i giovani sono i soggetti più vulnerabili e, soprattutto i secondi, sono i più inconsapevoli del fatto che l’uso del preservativo riduce il rischio di contagio. La maggiore ignoranza si registra tra le giovani donne (tra i 15 e i 24 anni) che vivono nell’Africa sub-sahariana.

Si deve anche registrare una diminuzione per quanto riguarda le morti per cause riconducibili all’AIDS, che nel 2010 sono state 1,8 milioni contro i 2,2 milioni negli anni a metà del 2000.

Considerevoli progressi sono stati fatti sul piano della lotta alla malaria grazie all’uso di reti impregnate di insetticida sotto le quali proteggere i bambini nel sonno e grazie anche al trattamento con i farmaci. Fra il 2000 e il 2010 si sono registrati il 50% dei casi in meno in 43 paesi (sui 99 nei quali la malaria è ancora presente). Si calcola che nel 2010 vi siano stati 216 milioni di casi di malaria, dei quali l’81 per cento circa (ossia 174 milioni di casi) si è verificato in Africa. Le morti – sempre nel 2010 – sono state pari a circa 655mila in tutto il mondo. I più colpiti sono i bambini al di sotto dei cinque anni di età anche se si deve notare che nell’Africa sub sahariana – la regione maggiormente affetta dal problema – la percentuale dei bambini che dorme sotto l’apposita rete è salita dal 2 per cento del 2000 al 39 per cento del 2010.

Accanto agli innegabili progressi (si sottolinea fra l’altro il caso dell’Armenia che nel 2011 è stata dichiarata paese libero da malaria), il Rapporto segnala anche la comparsa di sintomi di rallentamento della spinta al debellamento di questa malattia, in larga parte dovuto alla inadeguatezza dei finanziamenti internazionali che, per raggiungere un tale obiettivo, avrebbero dovuto raggiungere un totale di circa 5-6 miliardi di dollari nel 2011, contro gli 1,9 effettivamente erogati.

In declino anche la diffusione della tubercolosi e il numero delle morti causate da questa malattia mentre  è in aumento il numero di pazienti trattati con successo fra quelli individuati attraverso il DOTS (Directly Observed Treatment Short Course) e il programma che lo ha in seguito sostituito (Stop TB Strategy) (Il DOTS, e lo Stop TB Strategy – che si basa sul precedente - sono strategie, articolate in vari punti, raccomandate a livello internazionale che hanno il fine di prevenire e tenere sotto controllo la diffusione della TBC e di indirizzare i malati verso la giusta terapia).

L'Obiettivo 7

L’Obiettivo 7 contiene numerosi target relativi alla sostenibilità ambientale.

La superficie coperta da foreste sta riducendosi con velocità allarmante in Sud America e Africa, mentre in Asia, e soprattutto in Cina, essa sta aumentando. Il guadagno netto di circa 2,2 milioni di ettari di foresta l’anno in Asia è da attribuirsi principalmente ai programmi di rimboschimento su vasta scala messi in atto in Cina, India e Vietnam. La rapida deforestazione a favore di altri tipi di sfruttamento del terreno è invece ancora in atto in altri paesi asiatici.

La diminuzione delle aree forestali impatta negativamente su una serie di benefici che la foresta fornisce, a livello economico e sociale, difficilmente misurabili in denaro, che hanno a che vedere con la vita di una grande parte della popolazione mondiale, specialmente nei paesi in via di sviluppo. Il Rapporto riferisce tuttavia che la gestione e la conservazione delle foreste danno lavoro a circa dieci milioni di persone, oltre ad altri benefici diretti o indiretti.

Crescono le aree protette che oggi coprono circa il 12,7 per cento delle terre emerse, ma la protezione del mare si estende solo sull’1,6 per cento degli oceani (al 2010).

Il rallentamento delle attività produttive, dovuto alla crisi economica, ha determinato una leggerissimadiminuzione delle emissioni di CO2 che, nel 2009, assommavano globalmente a 30,1 miliardi di tonnellate, mentre nel 2008 a 30,2 (ma erano 21,8 nel 1990). La diminuzione è totalmente a carico delle regioni sviluppate, dove però le emissioni rimangono altissime (10 tonnellate di CO2 pro capite nel 2009). Nei paesi in via di sviluppo, invece, le emissioni continuano ad aumentare, ma ad una velocità inferiore a quella degli anni precedenti al 2009.

Come già rilevato, è stato raggiunto il target che prevede il dimezzamento della popolazione che nel 1990 non aveva accesso all’acqua potabile. Se la tendenza attuale sarà mantenuta anche nei prossimi anni, nel 2015 il 92 per cento della popolazione mondiale potrà avervi accesso. In tutto il mondo rimane ancora alto il gap tra popolazione urbana e rurale – a sfavore di quest’ultima – in merito alla copertura con fonti di acqua potabile e, tra le più sfavorite, le genti che abitano le zone rurali dell’Africa sub sahariana.

Quando i rifornimenti idrici non sono facilmente disponibili, l’acqua deve essere prelevata alla fonte e trasportata. Uno studio condotto in 25 paesi dell’Africa sub sahariana, rappresentanti il 48% della popolazione della regione, nei quali solo un quarto degli abitanti aveva impianti idrici nell’edificio di abitazione, ha messo in luce che sono principalmente le donne, di tutte le età, ad occuparsi dei rifornimenti. Lo studio ha stimato che, in questi 25 paesi, le donne occupano almeno 16 milioni di ore al giorno per compiere il tragitto di andata e ritorno per procurarsi l’acqua, mentre gli uomini e i bambini 4 milioni di ore.

Nonostante i progressi, non è invece ipotizzabile il raggiungimento del target che prevede il dimezzamento della popolazione che non ha a disposizione bagni provvisti di sciacquone o altre forme di servizi igienici avanzati che, nel 2010, era pari a circa la metà degli abitanti delle regioni in via di sviluppo. Al ritmo di progresso attuale, nel 2015 solo il 67% della popolazione sarà fornita di tali servizi, una percentuale ben al di sotto del 75% necessario per raggiungere il target. Inoltre, la defecazione all’aperto, che costituisce un forte rischio per la salute pubblica, è ancora praticata diffusamente in molti paesi, tra i quali l’India dove si registra il primato peggiore (626 milioni di persone che utilizzano tale sistema).

Un ulteriore target, che prevede il raggiungimento di un significativo miglioramento delle condizioni di vita di circa cento milioni di abitanti delle baraccopoli entro il 2020 è stato raggiunto ben prima del termine fissato. Dal 2000 al 2012 la percentuale dei residenti in baraccopoli nei PVS è diminuita dal 39 al 33 per cento ma, in valori assoluti, il loro numero continua ad aumentare a causa del continuo e rapido aumento dell’urbanizzazione. Si stima che gli abitanti delle baraccopoli – la cui maggiore presenza è nell’Africa sub sahariana - siano oggi 863 milioni, mentre erano 650 milioni nel 1990 e 760 milioni nel 2000. Oltre 200 milioni di essi hanno avuto accesso a servizi igienici adeguati o ad abitazioni più stabili e meno affollate.

L'Obiettivo 8

Riguardo questo Obiettivo (“Sviluppare un partenariato per lo sviluppo”), il Rapporto ci informa innanzitutto che gli aiuti allo sviluppo – nelle varie forme - hanno raggiunto nel 2010 l’ammontare di 133,5 miliardi di dollari, che equivale allo 0,31 per cento del reddito nazionale (cumulativo) dei paesi sviluppati. Nonostante questa cifra costituisca un aumento in termini assoluti, in termini reali essa si traduce in una diminuzione pari al 2,7 per cento degli aiuti provenienti dai paesi donatori dell’OCSE, per effetto della crisi finanziaria in atto. Escludendo le voci relative alla cancellazione totale o parziale del debito e gli aiuti umanitari, l’aiuto bilaterale per lo sviluppo è diminuito del 4,5 per cento.

L’analisi delle tendenze dell’aiuto pubblico allo sviluppo basata sui dati forniti dall’OCSE (che cita l’Italia tra i paesi che nel 2011 hanno fatto registrare un aumento dell’aiuto pubblico allo sviluppo in termini reali) rivela che gli aiuti continuano ad essere maggiormente diretti ai paesi più poveri, e per circa un terzo ai Paesi meno sviluppati (Least Developed Countries – LDCs).

Uno dei target di questo Obiettivo prevede l’ulteriore sviluppo di un sistema finanziario aperto, regolamentato, prevedibile e non discriminatorio. Sotto questo profilo, il Rapporto sottolinea che, nonostante le pressanti richieste di gruppi di interesse per un ritorno al protezionismo, avanzate dopo il 2008-2009, l’incidenza di tali azioni è rimasta molto circoscritta nelle economie sviluppate e non ci sono stati contraccolpi sui mercati dei paesi in via di sviluppo.

Per quanto riguarda in particolare i Paesi meno sviluppati (LDCs), questi continuano a godere di un trattamento preferenziale nei commerci con le nazioni più ricche poiché le esportazioni dai Paesi meno sviluppati beneficiano di un margine preferenziale dal quale sono invece esclusi gli altri paesi in via di sviluppo.

In particolare, la diminuzione dei dazi applicati sull’esportazione di prodotti dai paesi in via di sviluppo e paesi meno sviluppati nel 2010, è stata significativa solo nel caso dei prodotti agricoli, con il risultato di un aumento del margine preferenziale sulla tariffa della nazione più favorita, particolarmente evidente nel caso dei paesi meno sviluppati.

Le nuove tecnologie, specialmente nel campo dell’informazione e della comunicazione, sono sempre più a disposizione degli abitanti del pianeta. Alla fine del 2011 il numero degli abbonati alla telefonia mobile era salito a 6 miliardi, 1,2 miliardi dei quali rappresentati da cellulari a banda larga. Il livello di penetrazione della telefonia mobile ha così raggiunto l’87 per cento a livello mondiale, il 79 per cento nei paesi in via di sviluppo.

Più di un terzo della popolazione mondiale, inoltre, utilizza internet, sempre più attraverso collegamenti a banda larga e, tra questi, circa i due terzi sono cittadini delle regioni in via di sviluppo. Un digital divide separa comunque il mondo sviluppato da quello in via di sviluppo, sotto forma di quantità e qualità di collegamenti a banda larga.