La legge 23 novembre 2012, n. 215, reca disposizioni volte a promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali
La novità più significativa è la modifica della legge per l’elezione dei consigli comunali con l’introduzione di misure volte a rafforzare la presenza delle donne, ma di notevole rilievo sono anche gli interventi volti a consolidare la parità di genere nelle giunte e, più in generale, in tutti gli organi collegiali non elettivi di comuni e province.
Per l’elezione dei consigli comunali, nei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti la legge, riprendendo un modello già sperimentato dalla legge elettorale regionale della Campania, prevede una duplice misura volta ad assicurare il riequilibrio di genere:
In caso di violazione delle disposizioni sulla quota di lista, è peraltro previsto un meccanismo sanzionatorio differenziato, a seconda che la popolazione superi o meno i 15.000 abitanti, che di fatto rende la quota effettivamente vincolante solo nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti.
In particolare, nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, la Commissione elettorale, in caso di mancato rispetto della quota, riduce la lista, cancellando i candidati del genere più rappresentato, partendo dall’ultimo, fino ad assicurare il rispetto della quota; la lista che, dopo le cancellazioni, contiene un numero di candidati inferiore al minimo prescritto dalla legge è ricusata e, dunque, decade.
Nei comuni con popolazione compresa fra 5.000 e 15.000 abitanti, la Commissione elettorale, in caso di mancato rispetto della quota, procede anche in tal caso alla cancellazione dei candidati del genere sovrarappresentato partendo dall’ultimo; la riduzione della lista non può però determinare un numero di candidati inferiore al minimo prescritto dalla legge. L’impossibilità di rispettare la quota non comporta dunque in questo caso la decadenza della lista.
Per tutti i comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti è comunque previsto che nelle liste dei candidati è assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi. Tale norma ha particolare rilievo per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti (ai quali, come visto, non si applica la quota di lista). Essa risulta però priva di sanzione esplicita: tra le verifiche che è chiamata a compiere la Commissione elettorale non viene infatti inserito alcun controllo sul rispetto di questa disposizione.
Le disposizioni esaminate per l’elezione dei consigli dei comuni con popolazione superiore a 15.000 si applicano anche ai consigli circoscrizionali. La disciplina delle modalità di elezione dei consigli circoscrizionali è peraltro rimessa agli statuti comunali; saranno pertanto questi ultimi a dover intervenire, introducendo le necessarie modifiche.
Nel caso in cui lo statuto rinvii, ai fini dell’elezione del consiglio circoscrizionale, alle disposizioni per l’elezione del consiglio comunale, come ad esempio accade a Roma, la nuova normativa appare comunque immediatamente applicabile, senza necessità di modifiche.
La legge nulla dispone in ordine ai consigli provinciali, in quanto il sistema elettorale per questi organi, oramai divenuti di secondo grado (eletti dai consiglieri comunali), è ancora in via di definizione.
Per una valutazione circa l’efficacia delle nuove misure ai fini dell’aumento della rappresentanza femminile, qualche elemento può trarsi dalla situazione dei consigli regionali, in quanto diverse leggi elettorali regionali già prevedono quote di lista analoghe a quelle della nuova legge; la Campania inoltre ha già introdotto anche la doppia preferenza di genere.
Per elezioni regionali, le quote di lista contribuiscono notevolmente all’aumento del numero di donne candidate, ma hanno un impatto molto minore sul numero di donne elette.
Ben più rilevante è invece il meccanismo della doppia preferenza di genere: non è un caso che la Campania sia la regione con la maggior percentuale di donne elette (23%).
La nuova legge prevede inoltre che il sindaco nomina la giunta nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi. Uguale disposizione è inserita nell’ordinamento di Roma capitale, per quanto riguarda la nomina della Giunta capitolina.
La disposizione si riferisce formalmente anche alla nomina della giunta provinciale, ma si ricorda che quest’organo risulta in via di soppressione.
La norma si inserisce in un nutrito filone di giurisprudenza amministrativa che ha più volte annullato le delibere di nomina delle giunte che non rispettavano i principi in materia di parità di genere previsti dai rispettivi statuti.
I giudici amministrativi hanno inoltre riconosciuto il carattere vincolante e non meramente programmatico dei principi di parità di accesso agli uffici pubblici e di pari opportunità sanciti dall’art. 51, primo comma, Cost. e riconosciuti a livello legislativo, dichiarando l’illegittimità delle giunte composte da soli uomini anche in assenza di una specifica disposizione statutaria al riguardo (cfr., fra le altre Tar Sicilia, Palermo, sentenza 15 dicembre 2010, n. 14310; Tar Calabria, Reggio di Calabria, sentenza 27 settembre 2012, n. 589).
Un sentenza del TAR Lazio, fra le prime ad applicare la nuova legge, si è spinta oltre e, dopo aver ribadito il carattere vincolante ed immediatamente precettivo dei principi costituzionali di uguaglianza e di parità di accesso agli uffici pubblici, ha rilevato che “l’effettività della parità non può che essere individuata nella garanzia del rispetto di una soglia quanto più approssimata alla pari rappresentanza dei generi, da indicarsi dunque nel 40 per cento di persone del sesso sotto-rappresentato.” La sentenza ha dunque annullato la delibera di nomina di una giunta comunale, che vedeva la presenza, oltre al sindaco, di una sola donna su sette assessori, pur in assenza di norme dello statuto sulle pari opportunità nella composizione degli organi politici (Tar Lazio, sentenza 21 gennaio 2013, n. 633).
La legge modifica inoltre la norma del testo unico degli enti locali (TUEL) che disciplina il contenuto degli statuti comunali e provinciali con riferimento alle pari opportunità.
In particolare, è previsto che gli statuti stabiliscono norme per “garantire”, e non più semplicemente “promuovere” (come nel testo previgente), la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti.
Gli enti locali sono tenuti ad adeguare i propri statuti e regolamenti alle nuove disposizioni entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge.
Per le elezioni regionali è introdotto il principio della promozione della parità tra uomini e donne nell'accesso alle cariche elettive attraverso la predisposizione di misure che permettano di incentivare l'accesso del genere sottorappresentato alle cariche elettive.
In realtà il principio già esiste a livello costituzionale (art. 117, settimo comma, Cost.), ma, trattandosi di una materia rimessa alle regioni, alla legge statale è consentito intervenire solo per le determinazione dei principi fondamentali.
Nella legge sulla parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica (cd. legge sulla par condicio), viene inoltre sancito il principio secondo cui i mezzi di informazione, nell’ambito delle trasmissioni per la comunicazione politica, sono tenuti al rispetto dei principi di pari opportunità tra donne e uomini sanciti dalla Costituzione.
La nuova legge introduce infine una disposizione volta a consentire, in caso di violazione della norma del codice delle pari opportunità che riserva alla donne un terzo dei posti nelle commissioni di concorso, l’intervento delle consigliere di parità, anche con ricorso in via d’urgenza al giudice.