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Temi dell'attività Parlamentare

Caccia
La legge Comunitaria 2009, legge n. 96/2010, con l'articolo 42 ha apportato significative modifiche alla legge sulla caccia, anche allo scopo di porre termine al contenzioso con l'UE. La normativa introdotta si differenzia da quella originariamente inserita nel disegno di legge presentato al Senato, avendo la Camera, in seconda lettura (AC 2449-B), integralmente sostituito il testo iniziale.

Dopo un lungo iter parlamentare, che ha portato allo stralcio di numerose norme da parte di entrambi i rami parlamentari, è stata infine approvata la legge n. 96/2010, legge Comunitaria 2009, che con l'articolo 42 ha profondamente inciso sulla legge per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, nota come legge sulla caccia.

Le disposizioni di modifica della legge quadro in materia di caccia (legge n. 157 del 1992) sono state introdotte anche nel tentativo di fornire una risposta alle contestazioni che la Commissione Europea ha avanzato all’Italia con numerose procedure di infrazione per incompleto o cattivo recepimento della Direttiva 79/409/CEE sulla protezione degli uccelli selvatici (ora codificata e sostituita dalla direttiva 2009/147/CE).

La revisione della legge

Alla Camera, in seguito ad un dibattito piuttosto vivace sul provvedimento in seconda lettura (C.2449-B), la Commissione Agricoltura ha approvato un emendamento integralmente sostitutivo dell'articolo licenziato dal Senato.

 Le principali innovazioni alla attuale disciplina del prelievo venatorio, introdotte dunque dall'articolo 42, attengono:

  • ad una serie di misure (comma 1, lett. a), b) e c)) che mirano specificamente a preservare lo stato di conservazione degli uccelli e dei loro habitat, in ottemperanza con quanto richiesto dall'art. 2 e dagli articoli 3 e 4 della direttiva. Detti articoli demandano ai singoli Stati membri il compito di adottare tutte le misure necessarie per mantenere o adeguare la popolazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo alle necessità della specie (art.2); e richiedono altresì di adottare tutte le misure necessarie (anche speciali) per preservare, mantenere o ristabilire, per tutte le specie di uccelli indicate, una varietà e una superficie sufficienti di habitat (artt. 3 e 4);
  • all’obbligo (comma 1, lett.d)) di trasmettere alla Commissione le informazioni necessarie per coordinare le ricerche per la protezione degli uccelli, stabilendo anche che un decreto interministeriale dovrà individuare quali sono le informazioni che le regioni dovranno comunicare e le modalità della loro trasmissione. Le novelle rispondono all'articolo 10 della direttiva che impone agli Stati membri di trasmettere alla Commissione tutte le informazioni necessarie al coordinamento delle ricerche e dei lavori necessari per la protezione, la gestione e lo sfruttamento dell'avifauna;
  • all'esplicitazione (comma 2, lett. a)) del divieto di caccia durante il periodo di nidificazione, riproduzione, dipendenza e - per le specie migratrici - durante il periodo di ritorno al luogo di nidificazione, come richiesto dall'articolo 7, par.4 della direttiva;
  • alla facoltà (comma 2, lett. b)) concessa alle Regioni di posticipare, non oltre la prima decade di febbraio, i termini del calendario venatorio per determinate specie, previa obbligatoria acquisizione del parere vincolante espresso dalI’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), che dovrà essere reso entro 30 giorni dalla richiesta;
  • al (comma 3) controllo sugli atti di approvazione della caccia in deroga, adottati da parte delle regioni, con l’inserimento di un termine preciso per l’ annullamento da parte del Governo di eventuali provvedimenti illegittimi di deroga e con la previsione dell’obbligo per le Regioni stesse di rispettare le “linee guida” che dovranno essere emanate con un decreto presidenziale, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni (previsione volta a rispondere alla contestazione contenuta nelle procedure di infrazione circa l’intempestività del controllo statale sulle deroghe che, pure, l'articolo 9 della direttiva consente agli Stati membri);
  • alla previsione (comma 4) della consultazione obbligatoria della Commissione Europea nei casi di introduzione dall'estero di specie di uccelli che non vivono naturalmente nel territorio europeo (l'art. 11 della direttiva impone agli Stati membri non solo di vigilare sull'introduzione di specie non presenti nell'area comunitaria, ma anche di consultare in merito la Commissione);
  • all’integrazione dei divieti elencati dall'articolo 21 della legge (comma 5), diretti non solo ai cacciatori ma anche agli altri eventuali soggetti che possano mettere in atto comportamenti che disturbino o ledano le specie protette. I nuovi divieti ricalcano taluni divieti posti dalla direttiva con l'art. 5 lettere b) e d) e art. 6, primo paragrafo.
Le modifiche al calendario venatorio

Il punto sul quale si è maggiormente concentrato il dibattito attiene alla disciplina dei periodi di attività venatoria (articolo 18 della legge n.157 del 1992 modificato dal comma 2 dell'articolo 42).

La disciplina previgente stabiliva - con il primo comma dell'art. 18 - il “periodo” entro il quale ogni specie tutelata poteva essere oggetto di prelievo venatorio, intendendosi con ciò il giorno d’inizio e di fine caccia. Modifiche del calendario venatorio da parte delle Regioni erano consentite dal comma 2, ma le date dovevano cadere in ogni caso tra il 1° settembre ed il 31 gennaio, e inoltre il numero complessivo delle giornate riservate alla caccia di ogni singola specie doveva restare quello stabilito dalla legge. Le modifiche erano inoltre ammesse "per determinate specie in relazione alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali". La legge infine poneva talune ulteriori condizioni: di acquisire preventivamente il parere dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA); che fossero predisposti "preventivamente" adeguati piani faunistico-venatori.

Il testo introdotto dal Senato ampliava significativamente la facoltà delle Regioni di apportare modifiche ai termini di inizio e fine caccia stabiliti dalla legge, prevedendo, per i soli mammiferi, il rispetto dell'arco temporale compreso tra il 1° settembre ed il 31 gennaio, senza peraltro alcun riferimento al limite del numero delle giornate riservate alla caccia. Per le modiche al calendario venatorio degli uccelli la disciplina introdotta al Senato non sembrava inoltre far riferimento ad alcuno specifico limite temporale, se non quello di un generico rispetto della Direttiva 79/409.

Il testo licenziato dalla Camera e diventato legge, ha in primo luogo introdotto un comma aggiuntivo nell'art. 18 (comma 1-bis), che impone che sia vietata comunque la caccia, per ogni singola specie, nelle seguenti ipotesi:
a) durante il ritorno al luogo di nidificazione;
b) durante il periodo della nidificazione e le fasi della riproduzione e della dipendenza degli uccelli.

In aggiunta poi alla variazioni del calendario già enunciate, le modifiche apportate al comma 2 hanno consentito alle Regioni anche di posticipare i termini del calendario, che non possono tuttavia andare oltre la prima decade di febbraio e debbono applicarsi al determinate specie. Anche l’esercizio di tale facoltà è stato peraltro subordinato alla previa obbligatoria acquisizione del parere espresso dall'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), che deve essere reso entro 30 giorni e al quale le Regioni devono uniformarsi.

Sono infine rimaste invariate le disposizioni del comma 4 che impone alle regioni, sempre dopo aver sentito l'ISPRA, di pubblicare, entro e non oltre il 15 giugno, il calendario regionale e il regolamento relativi all'intera annata venatoria, che deve anche includere l'indicazione del numero massimo di capi da abbattere in ciascuna giornata di attività venatoria.
Lo stesso dicasi per i successivi: comma 5, che stabilisce le restrizioni al numero delle giornate di caccia settimanali, obbligando al silenzio venatorio nelle giornate di martedì e venerdì; il comma 6, che consente alle regioni di regolamentare diversamente l'esercizio venatorio da appostamento alla fauna selvatica migratoria nei periodi intercorrenti fra il 1° ottobre e il 30 novembre; il comma 7 che delimita l'arco diurno entro il quale la caccia è consentita; il comma 8 che vieta talune modalità di caccia a beccaccia e beccaccino.

Contenzioso Stato-regioni

Il complesso quadro derogatorio, diretto ad evitare che fosse aggirata la legislazione di tutela della fauna selvatica, non ha invero impedito che proseguisse un contenzioso fra lo Stato e le regioni, in merito al quale la Corte costituzionale ha continuato ad essere adita.

Limitando la rassegna ai fatti più recenti, può essere menzionata la seguente giurisprudenza costituzionale:

- sentenza n. 310/2011, con la quale la Corte ha accolto in sostanza la difesa statale che, pur riconoscendo che i termini del calendario venatorio possono essere modificati, lamentava che la regione non avesse acquisito il preventivo parere dell'ISPRA. Il mancato parere, a detta della Corte, ha comportato "la violazione delle norme statali interposte, che stabiliscono standard minimi e uniformi di tutela della fauna in tutto il territorio nazionale".
La regione peraltro, proseguendo lungo una direttrice già tracciata da altre regioni, aveva eccepito la sopravvenuta carenza di interesse a coltivare il ricorso, poichè la norma in questione aveva ormai cessato di produrre effetti (in data 31 gennaio 2011) e non era dimostrato che avesse avuto effettiva applicazione: tali eccezioni non sono state ritenute fondate dalla Corte che ha riaffermato - quanto alla prima - "che il venir meno degli effetti della norma non esclude il sindacato di costituzionalità della stessa, che trova una specifica ragion d'essere nell'esigenza di ristabilire il corretto riparto di competenze tra Stato e Regioni", e - quanto alla seconda - "dalla formulazione della norma impugnata si deve ritenere che la stessa abbia trovato applicazione nella stagione venatoria 2010/2011.";

- sentenza n. 20/2012, nella quale per la prima volta è stata sottoposta all'esame della Corte la legittimità costituzionale della scelta regionale dello strumento legislativo, per la modifica del calendario, in luogo dell'atto amministrativo, fenomeno peraltro diffuso a livello regionale.
Precisato che si tratterebbe di "tipiche  leggi-provvedimento", - in  quanto  le disposizioni che esse contengono sono prive di astrattezza  e generalità, e sono destinate ad esaurire  i  propri  effetti contingenti con lo spirare della stagione di caccia - alla Corte "appare evidente che il legislatore statale, prescrivendo la pubblicazione del calendario venatorio e contestualmente  del  "regolamento"  sull'attività venatoria e imponendo l'acquisizione  obbligatoria  del  parere dell'ISPRA, e dunque esplicitando la natura tecnica del provvedere, abbia inteso realizzare un procedimento amministrativo, al termine del quale la Regione è tenuta a provvedere nella forma che naturalmente ne consegue, con il divieto di impiegare, invece, la legge-provvedimento.".
I motivi addotti possono così essere sintetizzati:
- nel caso di specie, è pacifico che la selezione, sia delle specie cacciabili, sia dei periodi aperti all'attività venatoria, implichi l'incisione di profili propri della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, che fanno capo alla competenza esclusiva dello Stato (ex plurimis, sentenze n. 191 del 2011, n. 226 del 2003 e n. 536 del 2002): il legislatore nazionale ha perciò titolo per imporre alle Regioni di provvedere nella forma dell'atto amministrativo, anziché in quella della legge;
- nei casi in cui la legislazione statale, nelle materie di competenza esclusiva, conformi l'attività amministrativa all'osservanza di criteri tecnico-scientifici, lo slittamento della fattispecie verso una fonte primaria  regionale  fa  emergere  un  sospetto  di illegittimità;
- la scelta dell'atto amministrativo, si riconnette altresì ad un regime di flessibilità certamente più marcato che nell'ipotesi in cui il contenuto del provvedimento sia cristallizzato nella forma della legge. Ove si tratti di proteggere la fauna, un tale assetto è infatti il solo idoneo a prevenire i danni che potrebbero conseguire a un repentino ed imprevedibile mutamento delle circostanze di fatto in base alle quali il calendario venatorio è stato approvato;
- le deroghe non possono venire introdotte dalla Regione con legge-provvedimento, poichè verrebbe vanificato il potere di annullamento assegnato dall'art. 19-bis della legge n. 157 del 1992 al Presidente del Consiglio dei ministri (sentenza n. 250 del 2008);
- l'irrigidimento con la legge sarebbe anche in contrasto con l'art. 9, comma 1, lettera a), della direttiva n. 2009/147/CE. La norma consente l'allargamento dei limiti entro cui ordinariamente è consentita la caccia se è per un verso tollerato dalla direttiva comunitaria, per altro verso si impone, allo scopo di preservare significativi interessi ambientali di segno contrario, ovvero di altra natura - (l’art. 9 della direttiva menziona l'interesse della salute e della sicurezza pubblica o della sicurezza aerea): in tali casi angusto, e potenzialmente insufficiente, sarebbe lo spazio temporale concesso dalla legge-provvedimento;
- infine il ricorso alla legge implica un mutamento del regime di tutela giurisdizionale, tutela che dal giudice comune passa alla giustizia costituzionale;

- sentenza n. 105/2012, con la quale la Corte ha confermato l'inappropriato ricorso alla legge provvedimento, per la modifica del calendario venatorio. Il legislatore ligure (legge n. 1/11), non solo avrebbe illegittimamente attratto a sé la competenza provvedimentale, ma si sarebbe spinto fino a irrigidire nella forma della legge il calendario per tre stagioni, indebolendone ulteriormente il "regime di flessibilità. Peraltro il vizio di legittimità costituzionale - così la Corte - colpisce l'intero testo dell'art. 1 sul calendario, con l'eccezione del comma 1, lettera D), numero 2): infatti, quest'ultima previsione, nel rimettere alle Province l'approvazione dei piani annuali di abbattimento in forma selettiva degli ungulati, non attiene al calendario venatorio;

- con la sentenza n. 116/2012 è stata dichiarata la incostituzionalità della legge regionale delle Marche n. 15/11, nella parte in cui disponeva che il calendario venatorio regionale avesse validità minima annuale e massima triennale, anziché prevedere unicamente la validità annuale, in contrasto, quindi, con il comma 4 dell'articolo 18 che richiede la cadenza annuale del calendario.
La Corte ha ribadito in tale occasione che l'annualità risponderebbe all'esigenza che la rilevazione delle situazioni ambientali locali, che si pone alla base delle deroghe alla generale disciplina statale in tema di specie cacciabili e di periodi di esercizio venatorio, abbia luogo - anche tramite il prescritto parere dell'ISPRA - a cadenze non eccessivamente diluite nel tempo, così da garantire un costante adeguamento del calendario al mutare di tali situazioni;

- la sentenza n. 278/2012 ha dichiarato la incostituzionalità delle norme delle legge della provincia di Bolzano (n. 14/119) che per talune specie prevedevano un calendario regionale più ampio e il conseguente superamento dei limiti di prelievo venatorio stabiliti dall'art. 18; sono state, altresì, censurate le norme che consentivano la caccia di talune specie in tutti i giorni della settimana. Le disposizioni statali interposte (art. 18 comma 6) prevedono invece l'assoluta inderogabilità del silenzio venatorio e la possibilità di una disciplina speciale soltanto nell'arco temporale intercorrente tra il 1° ottobre ed il 30 novembre.

La giurisprudenza avviata dalla Corte ha trovato conferma da ultimo con la sentenza n. 310/2012 che ha ancora una volta ribadito il divieto di modificare il calendario con legge, essendo consentito il solo ricorso all'atto amministrativo (sentenza n. 20 del 2012), ed ha altresì confermato che il rilevato vizio di legittimità colpisce non solo le parti impugnate, ma si estende all'intero testo di tale disposizione (sentenza n. 105 del 2012).

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