Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Strumento di esplorazione della sezione Documenti Digitando almeno un carattere nel campo si ottengono uno o più risultati con relativo collegamento, il tempo di risposta dipende dal numero dei risultati trovati e dal processore e navigatore in uso.

salta l'esplora

Temi dell'attività Parlamentare

Previdenza nel pubblico impiego
Nel settore della previdenza pubblica sono state a più riprese modificate le norme relative alla permanenza in servizio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo, è stata riconosciuta alle amministrazioni la facoltà di risolvere il rapporto di lavoro dopo 40 anni di servizio effettivo ed è stata introdotta l'anticipazione del TFR. Inoltre, a seguito della sentenza di condanna della Corte di giustizia delle Comunità europee, si è provveduto ad innalzare l'età pensionabile delle dipendenti del pubblico impiego.
Permanenza in servizio oltre i limiti di età

L’articolo 72 del D.L. 112/2008 aveva rimesso alla valutazione dell’amministrazione di appartenenza il riconoscimento della possibilità per i dipendenti pubblici di permanere in servizio per un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo (in precedenza la scelta di permanere in servizio era rimessa unicamente al dipendente, configurandosi pertanto come diritto soggettivo). L’amministrazione era tenuta a valutare la richiesta in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali, tenendo conto di vari parametri (quali la particolare esperienza professionale acquisita dal dipendente in specifici ambiti e l’efficiente andamento dei servizi). La domanda di permanenza in servizio doveva essere presentata all’amministrazione di appartenenza dai 24 ai 12 mesi precedenti il compimento del limite di età per il collocamento a riposo previsto dal proprio ordinamento.
Successivamente, l’articolo 1, comma 17, del D.L. 138/2011, ha stabilito che la facoltà di trattenimento in servizio viene esercitata unilateralmente dall’amministrazione sulla base della semplice disponibilità del dipendente e non più su sua richiesta.
Da ultimo, nel quadro della riforma previdenziale attuata con il D.L. 201/2011 (riforma Fornero), l'istituto è stato di fatto abrogato (articolo 24, comma 14).

Risoluzione del rapporto di lavoro

L’articolo 72 del D.L. 112/2008, cosi come modificato dall’articolo 17, commi 35-novies e decies del D.L. 78/2009, ha riconosciuto la facoltà per le pubbliche amministrazioni, per il triennio 2009-2011, di risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro nel caso in cui il dipendente (compresi i dirigenti) abbia maturato un’anzianità contributiva pari a 40 anni (con un preavviso di sei mesi e fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenze dei trattamenti pensionistici). Viene specificato che tale facoltà rientra nei poteri di organizzazione della P.A. ai sensi dell’articolo 5 del D.Lgs. 165/2001.
La nuova disciplina non trova applicazione nei confronti dei magistrati, dei professori ordinari e dei dirigenti medici responsabili di struttura complessa.
Successivamente, l'articolo 16, comma 11, del D.L. 98/2011, ha previsto che, in caso di risoluzione del rapporto di lavoro derivante dall’esercizio della facoltà richiamata, la pubblica amministrazione non debba fornire ulteriori motivazioni, qualora essa abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri applicativi con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto dei competenti organi di controllo. Specifici criteri e modalità applicative per i dipendenti dei comparti sicurezza, difesa ed esteri, sono rimessi ad appositi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Da ultimo l’articolo 1, comma 16, del D.L. 138/2011, ha disposto la proroga dell’applicazione dell’istituto per il triennio 2012-2014 (così come anche confermato dall'articolo 24, comma 20, del D.L. 201/2011).

 


Trattamenti di fine servizio (TFR) e di fine rapporto (TFS)

L’articolo 4, commi 4 e 5, del D.L. 185/2008, ha esteso ai dipendenti pubblici la possibilità (già riconosciuta ai dipendenti del settore privato) di ottenere l’anticipazione del trattamento di fine rapporto in determinati casi. L’attuazione della nuova disciplina è rimessa a un decreto ministeriale (fin qui non emanato).

L’articolo 12 del D.L. 78/2010 ha disposto la corresponsione dei TFS in forma rateale. In particolare, i TFS (comunque denominati) spettanti in seguito a cessazione di servizio vengono erogati:

  • in un unico importo annuale, qualora l'ammontare complessivo, al lordo delle trattenute fiscali, sia complessivamente pari o inferiore a 90.000 euro;
  • in due importi annuali, qualora l'ammontare sia complessivamente superiore a 90.000 euro ma inferiore a 150.000 euro. In tal caso, il primo importo erogato sarà pari a 90.000 euro, il secondo sarà pari all'ammontare residuo;
  • in tre importi annuali, qualora l'ammontare sia pari o superiore a 150.000 euro. In tal caso, il primo importo erogato rata sarà pari a 90.000 euro, il secondo a 60.000 euro ed il terzo all'ammontare residuo.

Il provvedimento, inoltre, ha applicato a tutti i dipendenti delle pubbliche amministrazioni con effetto sulle anzianità contributive maturate dal 1° gennaio 2011, seppur con il principio del pro-rata temporis, il regime del trattamento di fine rapporto (TFR) (di cui all'articolo 2120 del codice civile), in sostituzione dei trattamenti di fine servizio (e delle indennità equipollenti), per tutti i dipendenti assunti entro il 31 dicembre 2000 i quali non abbiano optato per il TFR stesso. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 223/2012 , ha tuttavia dichiarato illegittima tale norma (peraltro successivamente abrogata dall’articolo 1, commi 98-101, della L. 228/2012), con ciò ripristinando la piena applicazione dei regimi di trattamento di fine servizio (comunque denominati) già vigenti per i dipendenti pubblici anteriormente al 1° gennaio 2011.

Specifiche norme sui termini per la corresponsione dei trattamenti di fine servizio (comunque denominati) dei dipendenti pubblici sono state introdotte dall’articolo 1, commi 22-23 e 32, del D.L. 138/2011.
In primo luogo si prevede un posticipo di 6 mesi per i TFS riconosciuti per raggiungimento dei limiti di età o di servizio e per il collocamento a riposo d’ufficio previsti dagli ordinamenti di appartenenza (per i quali nella normativa previgente non era previsto alcun posticipo).
Inoltre, si incrementa a 24 mesi il posticipo (rispetto ai 6 previsti dalla legislazione previdente), per i TFS erogati per altre cause (es. dimissioni, licenziamento).
Per i soggetti che abbiano maturato i requisiti per il pensionamento prima della data di entrata in vigore del decreto-legge (13 agosto 2011) e per i dipendenti del comparto scuola che maturino i medesimi requisiti entro il 31 dicembre 2011 resta ferma la disciplina previgente.

Infine, sono stati modificati i criteri di calcolo delle pensioni e dei trattamenti di fine servizio (comunque denominati) nell'ipotesi in cui il dipendente pubblico sia stato titolare di un incarico dirigenziale per un periodo inferiore al minimo generale di tre anni (richiesto dall’articolo 19, comma 2, del D.Lgs. 165/2001), a causa del conseguimento del limite di età per il collocamento a riposo. In sostanza, la norma ha lo scopo di evitare che nel caso in cui al momento del collocamento a riposo il dipendente sia titolare di un incarico dirigenziale inferiore a 3 anni, lo stipendio erogato nel periodo dell’incarico sia preso come parametro di riferimento ai fini del calcolo della base pensionabile. La disposizione si applica agli incarichi conferiti successivamente alla data di entrata in vigore del decreto-legge e, qualora abbiano una decorrenza successiva al 1° ottobre 2011, anche agli incarichi conferiti precedentemente.

Età pensionabile delle donne

Con la sentenza del 13 novembre 2008, emessa a seguito della procedura di infrazione avviata nel luglio 2005 dalla Commissione europea, la Corte di giustizia delle Comunità europee ha condannato l’Italia per aver mantenuto in vigore una normativa in forza della quale i dipendenti pubblici hanno diritto a percepire la pensione di vecchiaia a età diverse a seconda che siano uomini o donne.
In relazione a tale sentenza, la Commissione di studio sulla parificazione dell’età pensionabile, istituita nell’ambito del Ministero per la pubblica amministrazione e l’innovazione, ha prodotto, il 23 febbraio 2009, una relazione in ordine al recepimento della pronuncia della Corte di giustizia.
Con l’articolo 22-ter del D.L. 78/2009, il legislatore ha inteso dare attuazione alla richiamata sentenza, modificando la disciplina relativa ai requisiti anagrafici richiesti ai fini del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia delle lavoratrici dipendenti. In sostanza, la norma ha disposto l’incremento di un anno dell’età anagrafica richiesta (quindi 61 anni) ai fini della pensione di vecchiaia a decorrere dal 2010, prevedendo altresì ulteriori incrementi di un anno per ogni biennio successivo, a decorrere dal 1° gennaio 2012, fino al raggiungimento dei 65 anni, a regime, nel 2018.
Successivamente, l'articolo 12, comma 12-sexies, del D.L. 78/2010, modificando in parte l'articolo 22-ter, ha disposto che il raggiungimento del requisito anagrafico dei 65 anni ai fini del riconoscimento della pensione di vecchiaia operi a regime a decorrere dal 1° gennaio 2012, quindi con un incremento anagrafico pari a quattro anni (in luogo del sistema di incrementi progressivi previsti in precedenza dallo stesso articolo 22-ter). Tale limite è stato innalzato a 66 anni a decorrere dal 1° gennaio 2012 dall’articolo 24 del D.L. 201/2011 (Riforma Fornero), il quale, attuando una revisione complessiva del sistema pensionistico, ha ridefinito i requisiti anagrafici per il pensionamento di vecchiaia a decorrere, appunto, dal 1° gennaio 2012, anche per i pubblici dipendenti.

Dossier pubblicati